Educazione sessuale a scuola, l’esperto: “Docenti da formare, nei 60 CFU prevederne 25/30 sul sesso e l’affettività. Necessario cambio di paradigma”

L’attuale reticenza nel trattare l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole nonostante la chiara necessità espressa dai giovani, è il risultato di un retaggio culturale e politico che influenza profondamente la nostra società.
A La Stampa, Fabrizio Dal Passo, esperto in tematiche di genere, sottolinea come questa situazione sia sintomatica di un gap culturale che persiste nonostante le evidenti esigenze dei giovani di oggi.
Con l’abbassamento dell’età dei femminicidi, diventa sempre più chiaro che la violenza di genere nei giovani adulti è un problema che necessita di un intervento tempestivo. Dal Passo evidenzia come questa violenza sia un’espressione di insicurezza e prevaricazione maschile, un problema radicato culturalmente che richiede una risposta educativa efficace.
Per affrontare queste problematiche, Dal Passo propone di estendere l’educazione al rispetto della donna e della sessualità anche agli adulti, specialmente nella fascia 30/50 anni che detiene le chiavi del potere amministrativo. Iniziare l’educazione affettiva e sessuale già dalla scuola elementare è fondamentale, con un approccio graduale che cresca con l’età degli studenti: “Nella formazione dei docenti chi fa biologia ha la facoltà di insegnare le differenze sessuali, ma non è un insegnamento ‘contemporaneo’. Non si affrontano temi come la sessualità fra uomo e donna e siamo indietro se pensiamo alle problematiche del mondo reale che ci circonda. Sono stato in tanti istituti scolastici al Nord, al Centro, al Sud Italia e ho constatato che dipende anche dalla bravura dei singoli docenti. Chi è più giovane è più preparato. Affronta l’argomento sessualità anche se non è la sua disciplina. Può essere anche un insegnante d’inglese che apre la porta a eventuali dibattiti all’interno delle classi. Ma sono solo iniziative dei singoli docenti e presidi. Non basta. Non essendoci una normativa, in Italia, l’educazione sessuale in aula è a macchia di leopardo”.
Il sistema scolastico svolge un ruolo cruciale in questo contesto. Attualmente, l’educazione sessuale è spesso gestita a discrezione dei singoli docenti, senza un approccio omogeneo e strutturato. È necessario un cambio di paradigma, con un’integrazione di moduli specifici nell’ambito della formazione dei docenti e l’introduzione di una materia specifica di educazione sentimentale e sessuale: “Io formerei il corpo docente di tutte le discipline. A costo zero. Sono stati decisi i 60 CFU (crediti formativi) per avere l’abilitazione all’insegnamento, con moduli specifici di pedagogia, psicologia, ecc. Che cosa impedisce di dare una direttiva per inserire, di questi 60 crediti, 25/30 crediti formativi sull’educazione sessuale e sentimentale, perché non farlo? Il problema non è quello di dire ‘c’è il rischio di insegnare ai bambini troppo presto o meglio farlo dopo perché almeno sono maturi’. Se un alunno dovesse chiedere ‘Se ho un rapporto orale mi prendo l’HIV?’ l’insegnante deve essere in grado di rispondere”.
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Educazione sentimentale a scuola, 15 milioni per pagare i docenti coinvolti e 30 ore all’anno. Il progetto del Ministero
Educare alle relazioni è un progetto sperimentale introdotto dal Ministero dell’Istruzione e del Merito che mira a promuovere la formazione affettiva e relazionale delle nuove generazioni attraverso una formazione specifica rivolta agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, al fine di contrastare la violenza di genere e favorire il rispetto dell’altro.
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato la direttiva che si articola in cinque articoli. L’iniziativa invita le istituzioni scolastiche a promuovere percorsi educativi mirati a sviluppare una cultura di rispetto reciproco e a contrastare ogni forma di violenza. L’accento è posto sulle scuole secondarie di secondo grado, con un approccio basato su metodologie laboratoriali e attività pluridisciplinari, focalizzandosi in particolare sulle tematiche del rispetto e del contrasto alla violenza maschile sulle donne.
I primi due articoli della direttiva delineano le modalità operative, evidenziando l’importanza della formazione adeguata dei docenti. Questi ultimi avranno il compito di moderare i gruppi di discussione, in un impegno che si estende per trenta ore. Ogni scuola nominerà un docente referente per il progetto, assicurando una gestione coordinata ed efficace delle attività. Questo aspetto sottolinea la centralità del ruolo docente nel progetto, con una particolare attenzione alla loro preparazione e competenza.
La direttiva stabilisce un finanziamento di 15 milioni di euro per supportare le attività extracurriculari, garantendo così le risorse necessarie per la realizzazione del progetto. Inoltre, prevede la formazione specifica per i docenti coinvolti attraverso l’Indire, con la collaborazione di professionisti qualificati.
Un altro aspetto significativo è il rafforzamento del coinvolgimento delle famiglie nel processo educativo, attraverso il Fonags. Questo assicura una visione educativa completa, integrando le esigenze e le osservazioni dei genitori. Inoltre, si prevede un monitoraggio accurato degli interventi realizzati, per valutare l’efficacia e garantire un impatto positivo sulle future generazioni.
Il progetto sarà inizialmente lanciato come sperimentazione nelle scuole superiori, con partecipazione facoltativa. Al termine, si procederà con una valutazione per determinare le pratiche migliori e valutare l’opportunità di renderlo un elemento obbligatorio nel curriculum scolastico.
La proposta include anche l’intervento di influencer, cantanti e attori per aumentare l’engagement degli studenti. Saranno coinvolti anche psicologi, avvocati, assistenti sociali e organizzazioni contro la violenza di genere. Un focus specifico sarà sulla diffusione del numero verde antiviolenza 1522, coinvolgendo anche il mondo dello sport.