Educazione alla relazione, il non compreso potenziale pedagogico della cultura umanistica. Lettera

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Inviato da Nicola Tenerelli e Vittoria Bosna – Le efferate vicende di cronaca che vedono troppi giovani protagonisti di relazioni distruttive ha chiamato in causa la loro mancata formazione sentimentale di cui, improvvisamente, la politica ha sentito la necessità.

La scuola sembrerebbe rea per omissione, come sempre accusata di non essere in grado di insegnare ciò che serve: fu introdotta l’educazione alla legalità come se non fossero impartiti contenuti etici;  è stato imposto ai docenti un giorno dedicato alla Memoria, accortisi a un tratto dell’antisemitismo mai sopito; le “stragi del sabato sera” necessitavano di educazione stradale; causata dallo studio troppo teorico, la disoccupazione ha portato l’urgenza di scuola-lavoro e competenze;  invece di imputare la Consob, per evitare gli acquisti di titoli bancari fallimentari si sta definendo nelle scuole lo studio dell’educazione finanziaria.

Dai giorni immediatamente seguenti al triste caso Filippo-Giulia, nuovamente la scuola è stata messa in modo implicito sotto accusa allorquando i partiti hanno gridato all’unisono circa la necessità di istituire per i giovani “l’educazione ai sentimenti e alla relazione” – guai a chiamarla educazione sessuale -.

Ma di quale educazione e di quali sentimenti si tratta? Per (non) spiegarcelo si sono affannati improvvisati commentatori ma la voce dei pedagogisti, gli unici che avrebbero la titolarità per parlare in modo compiuto e sintetico della formazione dei giovani, rimane sconosciuta, inospitata dai talk show.

I giovani devono innanzitutto strutturare la capacità di intuire il proprio sé nelle situazioni più varie e di immedesimarsi in ciò che provano i loro simili: ecco le fondamentali competenze che i nostri giovani dovrebbero assumere.

Se soldati, devono aver sperimentato nelle loro coscienze la differenza tra un video game e un drone da guerra. Se medici, devono possedere le categorie per comprendere e accompagnare la sofferenza del malato. Se imprenditori non possono finalizzare l’azione solo al proprio utile, border line nei rapporti con i dipendenti e col fisco. Se insegnanti, devono accettare di esercitare correttamente il dovere morale della valutazione.

È la cultura umanistica, condensato di situazioni fantastiche, che permette di surrogare l’esistenza non vissuta; un libro, un racconto sono un concentrato di esperienze e suggestioni che si sedimentano nella coscienza; la comprensione della storia e delle ragioni che l’hanno mossa rappresentano un vaccino atto a fornire gli elementi per le future decisioni. Leggendo si fanno proprie le vite degli altri, per appropriarsi delle loro esperienze e motivazioni e dolore.

L’ennesimo eventuale progetto del ministero – “Educazione alle relazioni”, 30 ore di dibattito tra studenti – si tradurrà nell’ennesima diluizione dello sforzo professionale e culturale che tutti i docenti fanno nelle loro aule per avvicinare i giovani all’onestà intellettuale di un Socrate suicida, alla sofferta diversità di Wilde, alla lezione antimaterialista di Verga, alla solitudine di Nietzsche, al libertinismo di De Sade, al monito della Segre…

Si deve partire dal presupposto che i nostri giovani vengano narcotizzati dalla comunicazione massmediale – anche dall’educazione delle famiglie, ma è un altro argomento… – che li tiene al riparo dal dolore e dalle difficoltà di impegnarsi per un mondo migliore; la concessione alle nuove generazioni di tutto il perdono possibile indebolisce i giovani e impedisce la loro crescita morale, allontanati dalle responsabilità in maniera vana, poiché essi conservano le prerogative di azione date dalla loro età.

Come confessava Baricco, quando si dicono queste cose si è sempre timorosi di demonizzare il nuovo che avanza, di considerare barbarica l’inevitabile evoluzione delle nuove generazioni. Eppure, dovremmo ricordare tutti che la cultura umanistica si chiama così in virtù non solo della capacità di trasmettere valori e modelli comportamentali – che certamente diventano obsoleti -, ma anche di far sperimentare nelle coscienze ogni aspetto inconfessabile, ogni desiderio recondito, ogni esperienza censurabile: educazione sentimentale, per l’appunto!

Grazie alla cultura umanistica ogni giovane può immaginare sé stesso nelle situazioni più inconfessabili, spingendosi oltre i limiti ma restando al riparo da danni e dolori possibili per sé e per gli altri: con Sofocle si può ammazzare i propri cari, con Saba scoprire i propri orientamenti, con Petronio fantasticare sulla sessualità: intere generazioni si sono formate leggendo “Porci con le ali” o discutendo “Cento colpi di spazzola”!

In passato, una classe politica colta seppe stemperare pericolose e sopraggiunte dinamiche sociali invitando a mettere fiori nei cannoni. Solo se la classe politica attuale capisse le deleterie implicazioni metapedagogiche del sistema massmediale potrebbe invitare i giovani ad anteporre i libri ai propri computer, affinché strutturino una mente critica e autonoma: al contrario, non dovremo aspettare a lungo prima che qualcuno accusi la cultura umanistica – la poesia e la letteratura, la storia e l’arte – di essere “cultura patriarcale”!

Dai massmedia, assieme all’ipocrisia e all’incompetenza dei commentatori, sta passando l’ennesima potenziale distorsione culturale che, trasmutando le coscienze, tende a ridefinire la rappresentazione della famiglia e della relazione tra i sessi, finanche il valore della soggettività; la cultura massmediale che ha trasformato ogni luogo della nostra vita, un tempo diversificato per destinazione di ruolo e affettività, in un’unica algoritmica melassa che induce i soggetti a rivendicare gli stessi obbiettivi con l’unico asessuato linguaggio – un “non luogo”, direbbe Meyrowitz .

Siamo immersi in processo di fahrenheitizzazione che colpisce i più giovani, una bolla di comunicazione che spinge verso il negazionismo del valore della cultura e della tradizione: «Stammi a sentire, Montag: a tutti noi una volta nella carriera, viene la curiosità di sapere cosa c’è dentro questi libri; ci viene come una specie di smania, non è vero? Beh, dai retta a me, Montag, non c’è niente lì dentro, i libri non hanno niente da dire».

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