Educazione alla differenza di genere nuova sfida della scuola italiana. Lettera

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Inviata da Gabriele Petrone, Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo di Sesto Imolese – I recenti episodi di violenza sulle donne, i continui drammatici casi di femminicidio, il permanere, purtroppo, anche nel discorso pubblico di linguaggi e di comportamenti sessisti e discriminatori, pongono certamente alla scuola compiti educativi significativi che il Ministro Valditara ha fatto bene a porre all’attenzione dell’opinione pubblica nelle scorse settimane.

L’aspetto più inquietante di questi fenomeni è quello di avere un carattere assolutamente trasversale sia dal punto di vista generazionale che sociale.

Inoltre, la presenza sempre più vasta nelle nostre scuole, di bambini e ragazzi provenienti da altri contesti etnici, culturali e sociali rappresenta un ulteriore elemento da tenere presente per garantire quella scuola laica, aperta ed inclusiva di cui un grande Paese democratico come l’Italia dovrebbe essere forse, di tanto in tanto, un po’ più orgoglioso.

Il primo problema, per chi opera quotidianamente nella scuola, è quello di definire con chiarezza i termini di un intervento educativo, i suoi caratteri, il suo spazio all’interno del quadro degli insegnamenti offerti a bambini e adolescenti in un momento assai delicato della loro esistenza, quello della crescita personale, emotiva, sociale e culturale.

In questo quadro mi sento di proporre, senza pensare, ovviamente, di introdurre nuovi insegnamenti, di articolare una parte dei percorsi di educazione civica, ai temi specifici dell’educazione alla differenza di genere. Uso questa definizione non a caso, perché non è assolutamente possibile costruire nessuna forma di parità dei diritti senza il mutuo riconoscimento delle diversità.

In una società come quella attuale che subisce la duplice spinta alla massificazione e alla individualizzazione, anche la sfera legata alla identità sessuale ha subito profonde modificazioni culturali. Il “genere” viene, e non potrebbe essere altrimenti, percepito sempre più in termini “aperti”, di “autodefinizione”, e di “autoriconoscimento”.

Al bambino e, in generale, al soggetto in formazione, non può non essere garantito, da quella scuola inclusiva, aperta e democratica di cui si parlava prima, questo percorso di autodefinizione e di autoriconoscimento di sé, rompendo stereotipi e pregiudizi che sono alla base del sessismo e della discriminazione.

La molestia, la violenza, lo stupro, il femminicidio rappresentano, infatti, il punto di arrivo proprio di questo non riconoscimento dell’altro e, soprattutto, dell’altra, che si esprime prima in sottovalutazione e poi in una concezione, al contempo, di superiorità e di inferiorità. Da qui i comportamenti predatori, di possesso e infine di distruzione.

L’idea che, addirittura, si possano concepire gli stupri di gruppo come veri e propri riti in cui il sesso diventa solo uno dei tanti “momenti” di consumo, la presunzione che la donna sia sempre “consenziente”, fino alla “distruzione” e all'”annientamento” del corpo femminile solo perché colpevole di un “no”, ci danno la misura dei compiti ardui che l’educazione alla differenza di genere ha davanti a sé.

E’ dunque necessario che la scuola si attrezzi costruendo percorsi con esperti che coinvolgano alunni e studenti in momenti di autoriflessione e, quindi, di autoeducazione.

Percorsi differenziati per ogni ciclo scolastico, dall’infanzia alle superiori, sui, quali, sin da subito, le istituzioni scolastiche possono impegnare, anche in rete, quote della loro autonomia, in attesa che il Ministero possa emanare apposite linee guida e impegnare, insieme e di concerto con gli enti locali, anche le necessarie risorse.

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