Don Milani? “Un equivoco: non aveva intenzione di fare una riforma della scuola”. INTERVISTA ad Adolfo Scotto Di Luzio

“Dopo la fine del comunismo e il crollo dei simboli politici del Novecento, Don Milani è diventato la bandiera sotto la quale è potuto avvenire l’incontro compromissorio tra ciò che restava del vecchio Pci ed i sopravvissuti della sinistra democristiana . Negli anni Novanta, poi, Don Milani è stato utilizzato anche per legittimare i progetti di riforma della scuola. Sono questi i termini attraverso i quali è passata la riscoperta del prete di Barbiana sulla soglia del nuovo secolo. Oggi Don Milani è parte integrante dell’ufficialità culturale italiana.
Non ci sono dubbi per Adolfo Scotto di Luzio, professore di Storia della pedagogia all’Università di Bergamo, con una lunga esperienza di ricerca nell’ambito della storia della cultura e delle istituzioni educative, che per Einaudi ha appena pubblicato L’equivoco Don Milani, “ Il parroco di Barbiana era sicuramente un uomo scomodo e una figura complessa, ma è anche all’origine di un equivoco ideologico che ha pesato, e pesa, sull’evoluzione della scuola italiana”.
Ad Orizzonte Scuola il professor Di Luzio racconta in un’intervista la sua ultima fatica letteraria, mettendo in chiaro luci ed ombre sulla figura di questo maestro d’altri tempi, diventato icona della pedagogia progressista.
Professore, intanto vorrei chiederle perché equivoco?
L’equivoco nasce dal fatto che Don Milani non aveva intenzione di fare una riforma della scuola. Era un prete e pensava che i cristiani avrebbero dovuto fare una rivoluzione. Personalmente ritengo che o non sia stato letto abbastanza o, nella maggior parte dei casi, è stato letto senza prestare attenzione alla sua scelta cristiana. La sua idea di fondo era che la cultura, in quanto porta una inestirpabile radice borghese, fosse un fattore di corruzione del popolo.
Eppure la figura di Don Milani è diventata icona della pedagogia progressista, come se lo spiega?
Certamente Don Lorenzo Milani è diventato in questi anni non solo il simbolo della pedagogia progressista ma anche di tutta l’ufficialità italiana: le celebrazioni del centenario rappresentano la compiuta assunzione del prete di Barbiana nel quadro della cultura ufficiale della Repubblica. Don Milani è, a tutti gli effetti, un Italiano della Repubblica.
Quale è la differenza tra la scuola di Don Milani e la scuola italiana di oggi?
La scuola di Don Milani non esiste. Non ha lasciato continuatori, nessuno ne ha raccolto il testimone dopo la sua morte. La scuola di Barbiana era don Milani e, morto il prete, si è semplicemente esaurita. In compenso, Don Milani è diventato, di volta in volta, un testimone dipace, un campione della costituzione, un simbolo dell’antiautoritarismo. Tutte cose che hanno a che fare con valori etici, ma niente che dica qualcosa di concreto sul fare della scuola.
Quindi è stato strumentalizzato dalla politica?
Non direi questo, piuttosto direi che è servito a legittimare un discorso politico di tipo nuovo. Dopo il Sessantotto, con la fine delle ideologie, Don Milani ha conosciuto una nuova stagione di interesse in funzione della necessità di tenere a battesimo una nuova sinistra. Ebreo convertito al cristianesimo e prete in odio alla borghesia, che nella Chiesa aveva aperto un’aspra polemica in nome dei poveri, Don Milani sembrò incarrnare una potente richiesta di cambiamento. Il fatto è che don Milani, figura del nuovo, sarebbe rimasto fedele fino alla fine all’antico, al messaggio di Cristo e alla Chiesa. E a ben riflettere, è sorprendente come una figura così complessa, piena di tante cose, ambigua, contraddittoria e indubbiamente carica di fascino, sia stata poi ridotta al figurino senza spessore del pedagogismo nostrano.
Don Milani parla però di una scuola che punisce e che non sa integrare, secondo lei la scuola moderna ha imparato a farlo?
Secondo Don Milani la scuola pubblica era organizzata per ratificare la subalternità delle classi popolari attraverso un’istruzione “colta” priva di qualunque utilità pratica e che ai poveri non solo non diceva niente, ma che inibiva fino al puntodi privarli della propria voce.
Quali sono i punti focali dei due libri scritti da Don Milani: Esperienza Pastorale e Lettera a una professoressa?
Esperienza Pastorale è il libro che lui firma nel 1958. Racconta il mondo contadino che ha scoperto a Calenzano e che vede esposto al grave pericolo della scristianizzazione. Don Milani è il testimone della nascita della società secolare. Tutto il suo impegno sta nel difendere la salute dell’anima del povero. Lettera a una professoressa esprime una prospettiva diversa. A mio avviso di profondo ripiegamento. È un libro della sconfitta. La prospettiva ideologica del cattolicesimo politico a cui Don Milani aveva aderito nell’immediato dopoguerra è ormai dissolta. Dossetti, sconfitto, e Don Milani ripiega su un versante estremista, tanto radicale quanto privo di qualsiasi aggancio con la realtà in trasformazione dell’Italia del tempo.
Perché leggere il suo libro?
Perché è un punto di vista critico e alternativo sulla figura di Don Lorenzo Milani.