Docenti precari, possono stare in servizio fino a 70 anni per maturare la pensione. INCHIESTA
Insegnanti precari a un passo dal ruolo sono beffati dai raggiunti limiti d’età e non arrivano in tempo per poter firmare la tanto agognata e attesa assunzione in ruolo. Gli episodi sono tanti e il fenomeno s’infittisce a mano a mano che la reiterazione dei contratti a termine nella scuola italiana si ripropone ogni anno ad onta delle immissioni in ruolo che sono sempre poche rispetto al dovuto. Le notizie che arrivano dalle varie province mettono il luce il disagio, l’amarezza e la delusione di tante persone che hanno vissuto nel precariato tutta la propria vita scolastica e che sono condannati a chiuderla allo stesso modo.
Con evidenti disagi non solo di tipo economico. Ma siamo davvero sicuri che questi lavoratori non abbiano il diritto di rimanere in servizio oltre i limiti di legge per sperare ancora in un’assunzione a tempo indeterminato?
Qui Salerno
Abbiamo già riferito della situazione paradossale verificatasi a Salerno dove ventiquattro maestre di 65 anni dopo la mancata assunzione di agosto scorso si apprestano ad andare in pensione tra gennaio e agosto del 2020 senza essere potute passare di ruolo. Sono tantissimi gli insegnanti in queste condizioni ma la convinzione che non ci sia nulla da fare, stando a quanto stabiliscono norme mai abrogate, rilanciate da una costante e anche recente giurisprudenza, è tutt’altro che fondata. Alcuni sindacati, che abbiamo interpellato, sostengono che il diritto di trattenimento in servizio non spetti ai docenti precari e che a 67 anni si viene cancellati dalle graduatorie. Il diritto al trattenimento in servizio, insomma, spetterebbe solo ai docenti di ruolo.
Qui Avezzano
Per altri versi, e come pure avevamo riferito, il 2 luglio 2019 il Giudice del lavoro di Avezzano, Antonio Stanislao Fiduccia, aveva accolto tutte le richieste formulate dagli avvocati della UIL scuola Salvatore Braghini e Renzo Lancia del foro di Avezzano a tutela di un collaboratore scolastico costretto a cessare il servizio senza vedere mai l’immissione in ruolo, senza progressione economica ed anche senza pensione, in quanto non aveva maturato i 15 anni per conseguire la pensione minima.
Il lavoratore aveva svolto per 13 anni mansioni di collaboratore scolastico in diverse scuole della provincia dell’Aquila senza venire mai assunto in ruolo, nonostante i suoi contratti fossero stati reiterati dall’amministrazione scolastica con nomine al 31 agosto attingendo dalla graduatoria permanente. Giunto all’età di 66 anni e 3 mesi, come previsto dopo l’entrata in vigore della riforma Fornero, è stato cancellato dalla graduatoria provinciale dell’Aquila per raggiunti limiti di età ancorché non avesse maturato i requisiti della pensione minima. Gli avvocati della Uil hanno però proposto ricorso al Giudice del lavoro contestando soprattutto il diritto del lavoratore a permanere in servizio fino al 70esimo anno di età, sul presupposto che, benché precario, il dipendente non dovesse essere discriminato rispetto al personale di ruolo in ordine alla possibilità, prevista dal testo unico della scuola soltanto a vantaggio di quest’ultima categoria, di protrarre l’attività lavorativa e, quindi, hanno chiesto il reinserimento nella rispettiva graduatoria. Di qui la condanna e l’ingiunzione al Ministero di ripristinare la sua posizione nella Graduatoria ad esaurimento della Provincia di L’Aquila sino al compimento del 70esimo anno di età ovvero fino al conseguimento dell’anzianità contributiva minima di 15 anni, oltre che il riconocimento al collaboratore scolastico del risarcimento del danno legato alla abusiva reiterazione dei contratti a termine, come pure richiesto dai suoi legali con lo stesso ricorso. “L’originalità della decisione – spiega l’avvocato Salvatore Braghini su dirittoscolastico.it, “sta nella motivazione del Giudice, per il quale si applica al personale non di ruolo la clausola di salvaguardia di cui all’art. 517 del T.U. sulla scuola (che applica le disposizioni del personale di ruolo a quello non di ruolo “in quanto compatibili”), ravvisando che non sussistono “ragioni di incompatibilità tali da precludere l’estensione soggettiva della norma anche ai docenti privi di un contratto a tempo indeterminato”. Il Giudice di prime cure osserva che “il diritto al conseguimento dei requisiti minimi di anzianità per il pensionamento è avvertita anche dal personale non di ruolo”; diversamente – precisa lo stesso – essendo abrogata la norma che consentiva al solo personale non di ruolo di permanere sino a 70 anni, “si perverrebbe ad un totale ribaltamento del regime precedentemente operante, facendo transitare il personale precario da un regime di favore ad uno di sfavore, con preclusione della protrazione dell’attività lavorativa anche nell’ipotesi infausta di mancato raggiungimento del numero di anni richiesto per ottenere il minimo pensionistico”.
Qui Sulmona
L’ordinanza fa il paio con un’altra analoga, ma collegiale, del Tribunale di Sulmona, sempre ottenuta dagli stessi legali della Uil. “Il Tribunale sulmontino e avezzanese – prosegue l’avv. Salvatore Braghini – con le due recenti pronunce del febbraio 2016, convergono nel riconoscere l’equiparazione del diritto previdenziale minimo tra personale scolastico di ruolo e precario, non contemplato dalla normativa di settore, in quanto la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea “ha precisato che l’Accordo Quadro si applica anche ai rapporti di lavoro con la Pubblica Amministrazione, aggiungendo che lo stesso può essere invocato per rivendicare, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, soltanto ove fosse dimostrata l’esistenza di ragioni oggettive, le quali, tuttavia, – secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia – devono essere strettamente attinenti alle modalità di svolgimento della prestazione e non possono consistere nel carattere temporaneo del rapporto di lavoro”. Gli avvocati Braghini e Lancia mettono sottolineano, sempre su dirittoscolastico.it “come le tre ordinanze colmino un vuoto della legislazione scolastica mediante l’introduzione di un principio normativo in grado di evitare che anche in tema di pensioni si continui a discriminare i lavoratori in base alla durata del rapporto del rapporto, penalizzando la categoria dei precari, che evidentemente, rispetto al personale di ruolo, è la meno protetta”.
Qui Velletri
Nel 2017, l’Anief aveva già ottenuto una importante e significativa sentenza presso il Tribunale di Velletri, dove un supplente di 67 anni si era visto negare il diritto all’inserimento nella seconda fascia delle Graduatorie d’Istituto della capitale per “sopraggiunti limiti di età”. “All’Ufficio Scolastico – spiegano all’Anief – non è bastato sapere che al precario storico mancassero due anni per raggiungere la soglia del ventennio di contributi, indispensabile per ottenere l’assegno di quiescenza minimo”. A quel punto, attraverso il legale dell’Anief, Salvatore Russo, il docente si è rivolto al Tribunale del Lavoro di Velletri. Il quale gli ha dato ragione: potrà insegnare – ha deciso il giudice – per altri tre anni, come i colleghi di ruolo. Per il giudice è infatti illegittima la parte del Decreto Ministeriale di aggiornamento delle graduatorie d’istituto 2017/2020 che nega la permanenza nelle graduatorie per le supplenze a quanti non hanno ancora raggiunto il minimo pensionabile. Marcello Pacifico, leader di Anief, sottolinea come “secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale, conseguire la pensione minima costituisce un bene inviolabile e il Miur non può eludere tale principio con previsioni che discriminano il lavoratore precario rispetto al personale di ruolo, per cui è espressamente prevista la possibilità di permanere in servizio fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, se può raggiungere il minimo contributivo ai fini della quiescenza”. Il Tribunale ha sancito che “se è vero, com’è vero, che nell’attuale sistema scolastico, fermo restando il limite di età di 70 anni, un docente possa continuare a svolgere attività di insegnamento oltre i 66 anni e 3 mesi per il conseguimento del minimo della pensione, una lettura costituzionalmente orientata dell’art.509 comma 3° del T.U. della Scuola, anche alla luce della norma di rinvio di cui all’art.541 del medesimo TU, impone di garantire il mantenimento nella graduatoria di II Fascia anche per coloro che al 1° settembre successivo al raggiungimento del limite di età di 66 anni e 7 mesi non abbiano ancora maturato i requisiti contributivi per il conseguimento della pensione al minimo, tenuto conto che trattasi di un bene costituzionalmente protetto”. Sempre per i giudici, l’opportunità del trattenimento in servizio oltre il predetto limite di età, espressamente previsto per il personale di ruolo, infatti, “deve a maggior ragione valere, al fine di evitare un’ingiustificata disparità di trattamento, per il mantenimento della mera iscrizione nelle graduatorie di Circolo e Istituto del personale precario, proprio in ragione del fatto che si tratta di una situazione di precarietà in una fase della vita dell’iscritto in cui la collocazione in altri ambiti lavorativi risulta, secondo l’id quod plerumque accidit, quasi del tutto preclusa”. A corollario di quanto già precisato, poi, il Giudice del Lavoro di Velletri precisa come non possa non tenersi conto “che la stessa Corte di Giustizia UE si è espressa nel senso che, in linea di principio, non siano ammissibili, perché ostano alla direttiva 2000/78/CE in tema di occupazione e condizione del lavoro, limiti di età per l’accesso al lavoro, non giustificabili per ragioni oggettive di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale (cfr. Corte di giustizia UE 13/11/2014 n.416)”. Pacifico sottolinea come la sentenza dia seguito all’intendimento della Corte Costituzionale, “secondo cui il conseguimento della pensione minima costituisce un bene inviolabile e il Miur non può eludere tale principio con previsioni che discriminano il lavoratore precario rispetto al personale di ruolo, per cui è espressamente prevista la possibilità di permanere in servizio fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, se può raggiungere il minimo contributivo ai fini della quiescenza.
Non ci fermeremo qui: a quel docente va assegnato un assegno di pensione corrispondente a tutti gli anni prestati, non solo a una parte. Il prof di 67 anni potrà infatti chiedere, con un altro ricorso, il riconoscimento per intero dei vent’anni di supplenze. Oggi la normativa scolastica gli riconoscerebbe solo i primi quattro anni per intero e tutti gli altri rimanenti solo per due terzi. In pratica, applicando la legge, perderebbe tra i 5 e i 6 anni di carriera. Con incidenza negativa su stipendio, scatti di anzianità, da assegnare anche per il periodo di precariato e, di conseguenza, sull’assegno pensionistico. Invece, Anief chiederà di fargli riconoscere tutti gli scatti di anzianità maturati durante il lungo precariato e la conseguente anzianità di servizio maggiorata dopo il decreto di ricostruzione di carriera”.
Qui Bari
L’Anief ricorda peraltro quanto accaduto a un docente precario sessantaseienne di Bari: Riuscito in extremis a partecipare al concorso a cattedra 2016, dopo aver svolto il Tfa a Roma, aveva stravinto il concorso della sua disciplina d’insegnamento laboratoriale alle superiori, aveva preso atto della disponibilità dei posti, e assaporato l’assunzione a tempo indeterminato, ma poi il colpo di scena e la doccia ghiacciata. A ridosso delle convocazioni per le immissioni in ruolo nella sua classe di concorso, la B022, si è visto infatti “recapitare una e-mail dall’Ufficio scolastico regionale della Puglia, di cui non si capacita, nella quale gli si annuncia che alle operazioni di assunzione non potrà partecipare, in quanto non destinatario di proposta di nomina a tempo indeterminato per superamento limiti d’età’. Il docente, in pratica, viene considerato troppo vicino alla pensione. Peccato che però anche lui probabilmente non riceverà mai l’assegno di quiescenza e che la legge non preveda questo genere di esclusioni”.
Qui Palermo
Viceversa, nello stesso periodo, una maestra di Palermo, è stata invece assunta a 69 anni. “La donna, classe 1948, ha speso la sua vita professionale – raccontano all’Anief – barcamenandosi tra graduatorie permanenti, poi ad esaurimento, di merito, concorsi, anche per colpa della decurtazione dei posti di lavoro derivanti dalla scomparsa, nell’ultimo decennio, del maestro prevalente e dell’insegnante specialista in lingua inglese, per il ritorno al maestro unico e la riduzione del tempo scuola da 30 a 24/27 ore”. Ora, dopo aver vinto “la sua battaglia contro la supplentite, dovrà anche vivere la beffa dalla mancata pensione, ma almeno potrà dire di essere stata assunta nei ruoli dello Stato e avere anche la possibilità di presentare ricorso per vedersi riconosciuti tutti gli scatti di anzianità maturati durante il lungo precariato e la conseguente anzianità di servizio maggiorata dopo il decreto di ricostruzione di carriera”.
Approfondimento
Sentenza Tar Lazio 7346/2005
Quello dei docenti precari di lavorare fino a 70 anni è un diritto storico
Già nel 2011 il Consiglio di Stato, con sentenza n. 764/2011, aveva dato ragione a una docente che aveva chiesto di essere reinserita nella graduatoria provinciale di Roma dopo essere stata esclusa dall’Usp poichè aveva già compiuto 65 anni d’età. E se il Miur aveva sostenuto nelle memorie difensive l’estensione della normativa vigente relativa alla pensione di vecchiaia del personale della scuola (art. 1, comma 1, decreto n. 351/1998) anche per il personale non di ruolo, i giudici amministrativi hanno invece operato una distinzione tra personale di ruolo e non di ruolo, sostenendo la non applicabilità su questi ultimi delle norme sul pensionamento dei primi, confermando integralmente il contenuto di una sentenza del TAR del Lazio, la n. 7346/2005, e certificando la permanente vigenza dell’art. 24 della legge 160/55. E cioè: le regole del collocamento a riposo d’ufficio vanno riferite al solo personale di ruolo poiché il limite di età di 70 anni ai sensi della legge del 1955 non è mai stato abrogato.
Alla sentenza 7346/2005 del Tar del Lazio si è ispirato anche lo stesso Tar che con la successiva sentenza n. 12541 del 2006 ha condannato il Ministero della pubblica Istruzione a riammettere nelle graduatorie dei precari una docente sessantacinquenne della scuola dell’infanzia, espulsa per raggiunti limiti di età. Per i precari, sancisce il Tar, l’età pensionabile non è a 65 anni ma a 70. Il tutto sulla base della legge n. 160 del 1955 che sancisce il diritto di insegnare da supplenti fino a 70 anni. Spiega il Tar: “Sulla questione questo Tribunale si è già pronunciato sia in sede di merito (sent. n. 7346/05) che in sede cautelare (ord. n. 5071/06) affermando il principio che il collocamento a riposo d’ufficio al 65° anno di età non è previsto per gli insegnanti non di ruolo, dovendosi la fattispecie ritenere disciplinata dalla legge 19 marzo 1955 n. 160, che prevede il collocamento a riposo all’età di anni 70. Il Collegio non ha motivo di discostarsi da tale orientamento”. Ne consegue l’annullamento dell’atto impugnato e la condanna al pagamento delle spese di causa.
Qui Brindisi e Macerata
Con un’analoga sentenza del 2009 il Giudice del Lavoro di Brindisi ( Sezione Lavoro, sentenza RGL 3469/2009) innovando peraltro sulla questione di competenza in materia in favore del giudice ordinario, stabilisce che i docenti precari hanno diritto a rimanere in servizio sino ai 70 anni. Eppure l’amministrazione continua per la sua strada. Alla legge n. 160 del 1955 è pure dovuta l’analoga condanna che il Mpi ha subìto a luglio 2007 su un ricorso di un altro sessantacinquenne, Giancarlo Montemarani, nato l’8 aprile 1941 insegnante precario di Francese in una scuola media di Macerata, assistito dal legale Narciso Ricotta, che ha ottenuto dai giudici amministrativi (Ordinanza cautelare del 9 luglio 2007 del Tar Lazio) di essere riammesso in graduatoria (Usp di Macerata – Prot. 9310, 25 luglio 2007) dopo essere stato mandato in pensione per raggiunti limiti di età. Nel 2008, proprio mentre stava per entrare in ruolo a 67 anni, Montemarani si doveva ancora rassegnare al precariato. Ed era costretto a ricorrere ancora una volta al Tar perché l’Ufficio scolastico regionale non gli avrebbe riconosciuto gli ultimi due anni di carriera.
Pensione di vecchiaia con 20 anni di contributi, quando i 67 anni non bastano?