Docenti innamorati dello stipendio? Galiano risponde a Galimberti: “Difficile essere attaccati a uno stipendio fra i più bassi d’Europa”
Enrico Galiano, scrittore e insegnante, interviene in merito alle dichiarazioni di Umberto Galimberti, il filosofo che ha parlato degli insegnanti pochi giorni fa e le cui dichiarazioni sono finite nell’occhio del ciclone.
“Mica tutti i professori hanno la vocazione e sono innamorati della scuola. Molti insegnanti sono innamorati dello stipendio e del posto di lavoro. Se c’è una buona scusa per non andare a scuola la si usa”, ha detto il filosofo in diretta a In Onda, programma di approfondimento su La7.
Parole che hanno fatto discutere. A distanza di qualche giorno però interviene Enrico Galiano, che su Il Libraio, racconta il suo punto di vista.
“In realtà la sua è una battaglia che va avanti da anni: contro una scuola – quella italiana – dove nel reclutamento degli insegnanti di ruolo non trovano alcuno spazio gli aspetti umani, motivazionali, psicologici ed emotivi, ma solo il mero punteggio nelle graduatorie“, scrive Galiano in premessa, specificando di essere stato allievo proprio di Galimberti.
Il problema, semmai, fa notare Galiano, è che Galimberti “generalizza troppo. E, come ogni generalizzazione, è ovvio che abbia un ampio margine di errore“. E poi, “essere attaccati allo stipendio: be’, potrei darle ragione se fosse quantomeno accettabile, ma è un po’ difficile essere attaccati a uno stipendio fra i più bassi d’Europa. Diciamo che c’è più un amore platonico: una relazione a distanza, per restare in tema…”
“Nessuno degli insegnanti che conosco io – e ne conosco tantini – è felice di fare la dad. Stipendio o non stipendio, motivati o non motivati, la dad è un po’ come la pizza con l’ananas o i calzini bianchi con gli zoccoli: non piace a nessuno che sia sano di mente. (sono ironico eh)”, prosegue lo scrittore-insegnante.
E ancora: “Su una cosa quindi mi sento di poter, se non generalizzare, almeno parlare a nome di molti: che vorremmo solo poter tornare a fare quello che abbiamo sempre fatto – in modo diverso, certo – ma lì, in classe, poter girare fra i banchi, poter stare senza quelle benedette mascherine che non ti sente mai nessuno e comunque torni a casa ogni volta senza voce, poter dare di nuovo una pacca sulla spalla, un fazzoletto a chi piange, poter offrire un tè alla macchinetta allo studente dell’altra classe che è si è appena beccato un brutto voto e cerca consolazione, poter ancora sederti lì al banco con lui o con lei a vedere di risolvere insieme quel maledetto esercizio, e a ricreazione vederli abbracciarsi, o giocare insieme”.
“Per tutte queste cose, caro professore, mi creda, non c’è stipendio che le possa ripagare“, conclude Galiano.