Docente stalkera dirigente, “piaggeria”. Imposto divieto di avvicinamento, ma così non può più recarsi a lavoro. Sentenza
La Corte di cassazione (Sezione V Penale, Sentenza 01 ottobre 2020, n. 27271) ha confermato il divieto di avvicinamento a una preside, persona offesa di un docente-stalker, nonostante tale divieto di fatto si traduce nell’impossibilità, per il persecutore, di recarsi sul posto di lavoro, prestando servizio entrambi nella stessa scuola. Per i giudici di legittimità il divieto imposto al docente è legittimo, rimandando ai giudici che si occupano del merito “cautelare” rintracciare un sistema, se compatibile, al fine di far esercitare allo stalker il diritto fondamentale ad esercitare la propria attività lavorativa.
La vicenda di stalking docente-preside
Il docente di una scuola, indagato per il reato di atti persecutori (stalking) commessi in danno della preside dello stesso istituto, era stato destinatario di una misura cautelare a tutela della vittima, e cioè l’obbligo (per lo stalker) di allontanamento, di tenersi a distanza dalla preside. Ma l’insegnate si rivolge alla Corte di Cassazione, evidenziando che il dovere di mantenere “la distanza” per lui significa non lavorare e, più precisamente, non poter esercitare il diritto al lavoro, costituzionalmente tutelato, poiché entrambi lavorano presso la stessa scuola.
La difesa: violazione del diritto costituzionale al lavoro
Più in particolare, secondo la difesa dell’indagato, la misura del divieto di avvicinamento colliderebbe con il dettato della Costituzione che tutela il diritto al lavoro: il divieto di trovarsi nei medesimi luoghi frequentati dalla vittima, di fatto, si traduce per il docente nell’impossibilità di insegnare.
La difesa: la condotta stalkizzante era solo “piaggeria ed adulazione”
Il docente si è altresì difeso affermando che il suo comportamento non si era effettivamente tradotto in atteggiamenti persecutori, bensì solamente in “piaggeria e adulazione”.
Decisive le testimonianze di altri insegnanti e collaboratori scolastici
La tesi difensiva, tuttavia, non combaciava affatto non solo col racconto della preside, bensì pure con le testimonianze rese dagli altri colleghi della scuola, come insegnanti e collaboratori scolastici, ascoltati in sede di merito.
Cassazione: il divieto di stare a distanza dalla preside va confermato, nonostante il docente lavori sulla stessa scuola
Il collegio della Corte, nel confermare la restrizione, ha precisato che la misura cautelare obbliga il docente, destinatario del divieto, a mantenersi a distanza dalla preside-parte offesa, per consentire alla stessa di restare in sicurezza ovunque si trovi, e senza distinguere i luoghi in cui opera ed agisce. Infatti, la circostanza che vittima e persecutore siano, di fatto, colleghi, non impedisce di applicare la misura cautelare, rimandando al giudice di merito (competente per il cautelare) di valutare una modalità di esercizio alternativa, compatibile con la limitazione, che permetta al docente di svolgere, comunque, il suo lavoro. I giudici, al contempo, riconoscono che, nella specie in parola, oltre al divieto di avvicinarsi alla preside, il docente è portatore del diritto a frequentare il luogo di lavoro, tuttavia tale esigenza non può essere valutata in Cassazione, bensì va avanzata al giudice cautelare, a cui è assegnato il compito di indicare la eventuali modalità “di svolgimento che possano assicurare l’esercizio del diritto al lavoro, ove compatibile con la misura in atto e le esigenze cautelari, cui la stessa è preposta”.