Docente si denuda davanti ai propri studenti, “la verità? Siamo in guerra, è un lavoro usurante ed è ‘caduto’. Viviamo tra studenti maleducati e superprotetti dalle famiglie”

“Siamo in guerra. Non è solo una delle tante guerre, ma è la guerra. Di noi insegnanti che siamo in prima linea. Tutte le mattine dietro a una cattedra a fornire gli strumenti a chi desidera apprendere. Molte volte stanchi, demoralizzati verso quei ragazzi talvolta distanti e contro quel mondo e quella società che, troppo spesso ci condanna come incapaci, nullafacenti e inadeguati nel comprendere i giovani”. Cesare Tricerri , insegna Scienze motorie presso un istituto di Borgomanero, una cittadina di 20.000 abitanti in provincia di Novara, la terra della rubinetteria – Caleffi, Nobili e altri marchi di prestigio – e di altri materiali legati soprattutto all’indotto. In città e nel giro di 8 chilometri ci sono tutte le scuole escluso l’indirizzo per geometra. “Chi esce dalle scuole superiori, specie dal tecnico industriale – segnala Tricerri – ha il posto garantito. Le aziende devono attendere anche cinque anni per avere un diplomato, tante sono le richieste. Il rubinetto tira ancora”.
A un paio di passi dalla pensione, il professor Tricerri viene sconvolto come tutti dalla notizia riportata dagli organi i stampa. Un insegnante di un istituto tecnico locale perde la testa in classe e si denuda davanti ai suoi alunni, almeno stando alle notizie riportate. Pare che il docente, descritto da tutti come serio e molto preparato, non ce l’abbia più fatta a reggere lo stress di mesi e anni di indisciplina da parte degli alunni e a un certo punto sia caduto. “E’ caduto”, dice Tricerri, che pur non conoscendo personalmente il collega, si è subito immedesimato in lui.
Ha sentito il dolore altrui come proprio, suggestionato dai tanti episodi non proprio edificanti raccolti durante una lunga carriera e che negli ultimi tempi si vanno moltiplicando tra le aule scolastiche e le colonne dei giornali locali e nazionali. “L’altro giorno un nostro collega è caduto – scrive rivolgendosi alla Stampa che ha raccolto una sua lettera – Caduto in un gesto sicuramente da condannare, ma, senza cercare di capire il motivo di quel gesto. Il primo pensiero è stato: questa cosa non ha alcun senso. Non può essere.
Un’azione terribile la sua, un gesto che urla al Cielo, che grida dal profondo, non può essere senza senso. Il suo grido è rivolto a quegli studenti che non rispettano la cultura ed i paladini dell’insegnamento. Ormai sono 39 anni che insegno nelle scuole del Borgomanerese. Per esperienza posso affermare, senza timore di essere smentito, che talvolta, in alcune classi, ci sentiamo realmente in guerra. Studenti svogliati, talvolta maleducati e superprotetti dalle famiglie, pronte a correre in loro aiuto anche in situazioni realmente indifendibili.
Ringrazio ogni volta che posso di essere nato in Italia e ringrazio coloro che hanno riempito la nostra Italia di una cultura e storia unica al mondo. Ed io credo ancora nel lavoro paziente che svolgiamo quotidianamente per educare nella crescita i nostri ragazzi, cercare di condurli verso una buona vita. Ma vediamo altrettanto chiaro, che là dove la cultura viene bistrattata, vilipesa, accantonata per valori vacui, effimeri, illusori, ecco allora che le anime fragili possono cadere in azioni senza senso”.
Per la cronaca l’insegnante, raggiunto subito in classe dai carabinieri, chiamati dalla dirigente scolastica dell’istituto, dopo che una ragazza era uscita dalla classe per dare l’allarme su quanto stava succedendo, è stato subito ricoverato all’ospedale di Borgomanero incaricato a eseguire accertamenti per verificare il suo stato di salute psichico. Intanto sui social non sono mancate le prese di posizione, le contumelie ma sono stati tanti gli attestati di comprensione per il professore.
Cecilia Corsaro ad esempio si chiede: “Quando capiranno che il nostro lavoro è usurante da un punto di vista psicologico e che gli insegnanti dovrebbero avere diritto ad un supporto psicologico gratuito?”: “Purtroppo oggi la professione docente è cambiata – le fa eco Maria Cristina Linda Foderà – Sono docente e compatisco molti di noi. Si diventa esauriti”
Professor Cesare Tricerri, il caso è grave. Ma cos’è successo secondo lei?
“Il gesto è sicuramente gravissimo però occorre andare a fondo. Evidentemente c’era una situazione di sofferenza precedente. Sarà stato sicuramente sottoposto a una tensione eccessiva legata allo stress in classe. Oppure avrà fatto un gesto eclatante per richiamare l’attenzione e ha perso la testa. I giornali lo hanno praticamente massacrato. Il problema in questi casi è che – io parlo in generale – la colpa viene data solo ai docenti ma non si va mai a monte, per verificare le situazioni di stress causati da atteggiamenti indisciplinati. Io ho visto una scena abbastanza eloquente in altra situazione, anni orsono, e sono dovuto intervenire in una classe”.
Lei non conosce il docente. E’ così?
“No, io non lo conosco, e non è una difesa di lui ma degli insegnanti in generale che sono sottoposti talvolta a pressione eccessiva. Io insegno in classi encomiabili. Altri colleghi vivono situazioni molto meno idilliache. Io ho insegnato in varie scuole, e mi è rimasto impresso il fatto che talvolta su trenta alunni solo sette o otto fossero stati promossi a giugno. In un caso c’erano addirittura due studenti che non si sono mai presentati a scuola con una biro e neppure con un quaderno o con un diario. Pensavano solo a come fare per bullizzare chi voleva seguire le lezioni”
Torniamo al docente, come mai si arriva a queste situazioni estreme, secondo l’idea che si è fatta?
“Questo collega ha preso il diploma poi si è laureato, quindi se aveva un problema forse lo si poteva scoprire in occasione del concorso, ma nessuno si era accorto e allora vuol dire che tutto il sistema scolastico crolla. Anni orsono arriva un insegnante di italiano che aveva vinto il concorso ordinario regionale. Un giorno passo con la classe davanti alla sua aula. Busso, nessuno risponde. Ribusso. E poiché nessuno risponde io allora in modo educato apro la porta dell’aula e vedo questo insegnante immobilizzato, tutto sporco di gesso. Gli studenti lo stavano usando come bersaglio per il loro cancellino della lavagna. Mi metto a quel punto a urlare, li stoppo, lui è tutto sporco di gesso… Ora io dico: una persona laureata vince un concorso regionale ma non ha la forza di contrastare questi studenti. E questo è un problema. Ci sono colleghe che hanno paura che gli studenti righino le loro automobili. Certo, non sono tutti così, ci mancherebbe, è una questione soggettiva, ma c’è una diffusa carenza di educazione. È che di fronte a certe situazioni c’è chi sopporta in modo maggiore e chi molto meno. Insisto: non voglio generalizzare, poiché esperienze positive ce ne sono ovunque e anche qui”.
E qui, in zona, com’è la situazione sociale ed economica? Non mi pare una zona depressa, il lavoro c’è?
“Noi viviamo in una zona dove non si trovano operai. Nessuno vuole impegnarsi. Ho un amico che ha un’attività di gommista per la quale aveva comprato un’apparecchiatura aggiuntiva perché voleva proporre ai suoi clienti interventi supplementari di manutenzione come il cambio d’olio. Per questo cercava un meccanico. Pochi giorni addietro mi dice: ho sbaraccato tutto perché non ho trovato un meccanico. Io mi sono impegnato a studiare e cerco di inculcare questo principio ai miei studenti ma vedo che diventa sempre più difficile. Lo scrittore Roberto Saviano disse un giorno di ricordare agli studenti che la libertà di oggi sarà la prigione del domani. Soprattutto per i ragazzi che smettono la scuola anzitempo perché avranno un futuro più difficile. Ho colleghi che s’impegnano con corsi aggiuntivi, fanno davvero tanto. Si adoperano in tutti i modi per i propri studenti”.
Lei dice: siamo in prima linea ma la società spesso non ce lo riconosce…
“E’ così. Quando un alunno viene bocciato, spesso si dice che è colpa degli insegnanti, magari che non spiega bene. Insomma, è sempre colpa dell’insegnante, la colpa non è mai dell’allievo che non studia. Ma mi creda: sono 40 anni che vivo gli scrutini e so come vanno le cose. Molti dei miei allievi come tanti altri ragazzini vivono di Instagram, non studiano. In molti casi le situazioni sono davvero macroscopiche eppure i genitori difendono i loro figli, ma io dico: informatevi. Anzi, dovreste dare una strigliata ai vostri figli. Io un giorno ho dato due richiami scritti a due ragazze che invece di fare cinque giri intorno alla palestra chiacchieravano. Ebbene, è arrivata la madre di una delle due per reclamare. Non voglio immaginare che cosa succeda con le materie più impegnative della mia. Inoltre c’è una continua attenzione verso le cose più banali e non si guarda alla realtà. Chiunque può fare qualunque cosa e con l’avvento dei social i ragazzi preferiscono fare tutto tranne che studiare. Io comunque tra due anni vado in pensione e mi spiace sapere che la scuola sia spesso in queste situazioni. Dopo tanti anni di lavoro in questo settore dispiace. Vede, mi tornano in mente tanti esempi non belli. Una mattina, venticinque anni orsono prendo la classe e ci avviamo verso la palestra. Mi giro e mi accorgo che un mio allievo aveva preso il banco…”.
In che senso?
“Nel senso che aveva preso con sé il banco e se lo stava portando in giro. Al che io l’ho stoppato e si son messi tutti a ridere”.
Lo credo. Come ha reagito?
“Gli ho detto: visto che sei simpatico oggi farai due ore di inglese invece che educazione fisica. E l’ho consegnato alla collega di lingua straniera, in aula. Apriti cielo, è arrivata subito a scuola la madre. Ha riferito che il figlio negava che fosse successa la storia del banco. Allora le ho risposto: signora, se lei non crede a un professore è inutile che stiamo qui a parlare, arrivederci.Potrei andare avanti con altre vicende, da scrivere un libro”.
Almeno studiassero, verrebbe da dire
“Dico solo che ricordo di aver preso un 2 in terza superiore, lo ricordo ancora. Ma non andai dai genitori, sentii piuttosto un’umiliazione verso me stesso e davanti ai compagni. Ecco: oggi questo senso di vergogna non c’è più e per alcuni è semmai un vanto”.