Docente insegna con titoli falsi, licenziata e condannata per danno erariale: insegnare senza titoli comporta la restituzione dello stipendio

WhatsApp
Telegram

Il caso in commento e non è il primo che si verifica nella scuola ed ha come oggetto il presunto danno causato al Ministero dell’istruzione e del merito e conseguente illecita percezione di emolumenti retributivi in forza di un rapporto di lavoro costituitosi a seguito della falsa certificazione dei titoli di studio richiesti per il conferimento di incarichi di supplenza presso un’istituzione scolastica. Si pronuncia la Corte dei Conti per il Veneto con sentenza 27/24.

Il fatto
Una docente lavorava con alcuni incarichi come docente di sostegno. Il Dirigente dell’Ufficio scolastico regionale competente per territorio aveva segnalato l’avvio di un procedimento disciplinare a carico della convenuta, conclusosi con l’irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso ex art. 55-quater del d.lgs. n. 165/2001, per aver attestato falsamente il possesso del titolo di studio sia ai fini dell’inserimento nelle graduatorie, provinciale e di istituto, di prima fascia per il conferimento di incarichi di supplenza. In particolare, la docente come emerso all’esito dell’istruttoria dell’inquirente, e riportata nella ricostruzione della vicenda, ha svolto attività di insegnamento occupando indebitamente, tra l’altro, un posto di sostegno nella scuola primaria.

La stessa certificava, infatti, di essere in possesso di diploma di liceo psicopedagogico indirizzo pedagogico-sociale ex C.M. 11/02/1991 n. 27 , quindi, di un titolo rientrante tra quelli aventi valore di abilitazione all’insegnamento. Anche all’atto dell’assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato relativo al conferimento della supplenza la convenuta rappresentava nuovamente di essere in possesso di diploma socio-psico-pedagogico rilasciato dall’Istituto magistrale ma nell’ambito dei controlli di cui all’art. 8, comma 7, della citata ordinanza (“L’istituzione scolastica ove l’aspirante stipula il primo contratto di lavoro nel periodo di vigenza delle graduatorie effettua, tempestivamente, i controlli delle dichiarazioni presentate”) emergeva chiaramente il mancato possesso del titolo di studio necessario, non soltanto per l’accesso alle graduatorie in questione, ma anche e soprattutto per l’insegnamento nella scuola primaria. All’esito di ulteriori verifiche presso l’Amministrazione scolastica, emergeva, ancora, che la docente anche ai fini del conferimento del precedente incarico di supplenza, svolto presso il medesimo plesso – aveva prodotto, copia di un diploma magistrale (socio-pedagogico) che non solo risultava impropriamente rilasciato da un Liceo, anziché dall’Istituto magistrale (come da dichiarazioni presentate), ma che, all’esito dei controlli effettuati presso le Istituzioni scolastiche interessate, si rivelava falso e artefatto.

In buona sostanza, rileva la Corte dei Conti, la docente sulla scorta di dichiarazioni non veritiere e producendo documentazione falsificata, induceva in errore l’Amministrazione scolastica, ottenendo, per l’effetto, due supplenze temporanee, sino al termine delle attività didattiche, che non avrebbe potuto conseguire se non avesse attestato in modo truffaldino il possesso del titolo di studio richiesto dalla normativa vigente per il suddetto insegnamento. Non solo, ma giova evidenziare che la docente pur non essendo in possesso del titolo di specializzazione per l’insegnamento di sostegno risultava destinataria di supplenze per tale incarico essendo stati esperiti, senza successo, dall’istituzione scolastica, tutti i tentativi di reperimento di personale a ciò abilitato.

Va restituito lo stipendio se si insegna senza averne titolo

Il Collegio ha ritenuto che laddove un soggetto abbia illecitamente ottenuto il conferimento di incarichi di insegnamento mediante false dichiarazioni sul possesso del prescritto titolo di studio, il rapporto sinallagmatico tra la prestazione lavorativa specializzata prevista nel contratto e la retribuzione erogata dall’Amministrazione scolastica sia affetto da invalidità. La circostanza che la docente sia priva della professionalità richiesta determina, di conseguenza, che le retribuzioni da questa percepite siano giuridicamente prive di “giusta causa”, a nulla rilevando ogni considerazione circa gli eventuali risultati ottenuti e le concrete modalità di espletamento delle funzioni espletate.

Ciò in quanto il possesso dei requisiti culturali e professionali richiesti dalle disposizioni vigenti in materia rappresenta un elemento imprescindibile per l’accesso ad una determinata attività e ne costituisce premessa necessaria per il suo utile svolgimento non potendosi, diversamente, ravvisare alcun vantaggio per l’Ente pubblico (cfr., ex plurimis, sez. Lombardia, sentt. nn. 205/2023, 138/2023 e 263/2022; sez. Emilia-Romagna, n. 199/2022). Trattandosi, quindi, di attività prestata in assenza del prescritto titolo di studio e, quindi, non riconducibile ad accertate conoscenze culturali e capacità professionali, la prestazione resa non può essere considerata in alcun modo utile ai fini del perseguimento dell’interesse pubblico cui la stessa è preordinata e la riscossione dei relativi emolumenti costituisce indebita percezione di somme, trattandosi di retribuzione corrisposta senza giusta causa corrispettiva.

Al riguardo, il Collegio, nel condividere la quantificazione del danno al lordo delle ritenute fiscali, richiama la pronuncia delle Sezioni Riunite della Corte dei conti n. 24 del 2020, la quale, ha espresso il seguente principio: “In ipotesi di danno erariale conseguente alla illecita erogazione di emolumenti lato sensu intesi in favore di pubblici dipendenti (o, comunque, di soggetti in rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione), la quantificazione deve essere effettuata al lordo delle ritenute fiscali Irpef operate a titolo di acconto sugli importi liquidati a tale titolo”. Parimenti, il Collegio ritiene che la pretesa economica avanzata dalla Procura, comprensiva anche delle ritenute previdenziali, sia corretta, posto che “le stesse non si risolvono in un vantaggio per l’Erario, ma vengono introitate nell’esclusivo interesse del dipendente, a copertura dei costi del suo futuro trattamento pensionistico” (cfr., da ultimo, Corte dei conti, Sez. I Appello, sent. n. 25/2021).

WhatsApp
Telegram

Abilitazione all’insegnamento 30 CFU. Corsi Abilitanti online attivi! Università Dante Alighieri