Docente ferita con pugnale, “è provata, ma è molto combattiva”. “La stampa crea il fascino del male, noi lavoriamo molto sul disagio”. INTERVISTA ad Agnese Coppola, collega di Elisabetta Condò
Il collegio docenti dell’Istituto Alessandrini di Abbiategrasso si è svolto ieri pomeriggio in un clima mesto. L’episodio che ha sconvolto la scuola, la città, l’Italia intera è arrivato come un fulmine a ciel sereno.
In serata il sedicenne che nei giorni scorsi ha accoltellato la propria docente di Italiano, Elisabetta Condò, è stato arrestato con la grave accusa di tentato omicidio aggravato. Dolore che si associa a dolore. Dolore e rammarico per una scuola che da anni fa tanto per i propri alunni, che si spende, anche fuori dall’orario scolastico con progetti che mirano all’accoglienza, alla prevenzione del disagio, cresciuto dappertutto negli ultimi tempi, al potenziamento delle relazioni.
La professoressa Agnese Coppola insegna Italiano presso l’indirizzo tecnico dell’istituto, che comprende anche un liceo delle scienze applicate, quello frequentato dal ragazzo. Lavora in questa scuola da molti anni. La scuola si articola in due indirizzi, Scienze applicate e ITIS con tre ulteriori indirizzi.
Agnese ama la scuola dove lavora, racconta di un clima cordiale, e di un dirigente scolastico, Michele Raffaeli, “sempre molto attento, ha sempre la porta aperta per tutti, per i ragazzi, per noi docenti, per le famiglie, pronto ad accogliere il disagio di tutti noi, anche quello dei docenti”
Professoressa Agnese Coppola, vi aspettavate un avvenimento così grave nella vostra scuola? C’erano stati dei segnali?
“No, è stato come un fulmine a ciel sereno. La nostra scuola da diversi anni ha potenziato diversi momenti di condivisione e anche momenti con specialisti. Abbiamo collaborato con psicologi per il progetto Fuori la testa sul disagio mentale. L’ultimo incontro lo abbiamo avuto proprio il 23 maggio per alcune classi. Da tempo abbiamo attivato progetti extracurriculari che tendono a fare stare insieme i ragazzi a insegnar loro a gestire le emozioni anche con i linguaggi dell’arte. C’è un gruppo che gestisco, si chiama Io sono Lilith. È un gruppo che ho fondato nel 2014 per recuperare il talento rubato alle donne in ogni ambito. E’ nel POF della scuola e va avanti da dieci anni. Non si occupa solo di violenza di genere ma anche dell’accanimento mediatico, della pandemia, della guerra al virus, una lunga riflessione che si è concretizzata anche in racconti. Abbiamo sempre supportato i ragazzi, pure al pomeriggio. Nonostante i fondi risicati teniamo aperta la nostra scuola anche fuori dall’orario delle lezioni”.
Lei da quanto tempo è in questa scuola?
“Io sono qui dal 2006. Ero precaria quando sono arrivata qui da Nola, in Campania. Questa scuola l’ho proprio scelta, da sempre mi sono sentita a casa. Sono entrata in ruolo nel 2015 ma in tutti gli anni di precariato ho sempre scelto di restare in questo istituto, ho sempre confermato qui la mia nomina annuale perché ho sentito questa scuola come una scuola molto attenta al processo di inclusione. Noi non facciamo selezione in ingresso come invece fanno tante altre scuole, che usano per l’ammissione i criteri e le indicazioni del consiglio orientativo, siamo sempre attenti al disagio del ragazzo, è una scuola di accoglienza e di accompagnamento. Noi accogliamo ragazzi che vengono qui perché allontanati da altre scuole, è successo anche questo. Questa è una scelta della scuola, una scelta che sento mia perché è facile lavorare con ragazzi che sono già bravi, che hanno sviluppato competenze solide ma noi vogliamo dare a tutti i ragazzi una possibilità facendo della diversità una ricchezza e un ponte tra le culture, considerando che abbiamo una comunità araba molto forte, con molti ragazzi di recente immigrazione”.
La professoressa colpita dal suo alunno era coinvolta in queste attività?
“La collega Elisabetta Condò era nel gruppo di lavoro che accoglie ragazzi di recente immigrazione anche dall’Ucraina, e seguiva il progetto Nai, i Nuovi arrivati in Italia. Avevo svolto un progetto intitolato Trappola digitale, con il contributo fotografico di Ilde Mancuso, sulla dipendenza dai dispositivi tecnologici. Elisabetta aveva partecipato con i lavori dei suoi ragazzi”.
Lei conosce questo studente?
“Il ragazzo non lo conosco perché è del liceo. Io insegno all’Itis dell’Alessandrini”.
Proprio poco fa lo hanno arrestato
“Ho sentito. E’ stato un colpo al cuore. Peraltro, stiamo leggendo di tutto sulla stampa ma la stampa non sa cosa fa la nostra scuola, e punta sul clamore suscitato dal fatto di cronaca senza rendersi conto di quale responsabilità ha la stampa nel creare il fascino del male. Si parla tanto della responsabilità degli insegnanti sul piano educativo ma si trascura la propria responsabilità in merito all’impatto mediatico sui giovani di certe notizie e di come le danno, dei particolari. Io sono adulta e riesco a decodificare tanti messaggi, loro, i nostri studenti, sono ragazzini e non sono in grado di farlo. Noi, tutti i giorni guardiamo negli occhi i nostri ragazzi”.
Ragazzi che spesso vestono i panni dei cattivi ragazzi
“Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria, fondatore e presidente dell’associazione Kayròs che dal 2000 gestisce comunità di accoglienza per minori e servizi educativi per adolescenti, ha redatto il motto Non esistono ragazzi cattivi. Da parte nostra, abbiamo creato un evento intitolato Sporcarsi le mani perché crediamo che quando un adulto si relaziona con un ragazzo si deve sporcare le mani e accompagnarlo nel suo percorso, soprattutto quando ha manifestato momenti di fragilità o si è comportato in modo diverso: è lì che interviene l’educatore”.
Professoressa, la vostra scuola ha fatto e fa tutto questo per i ragazzi. E’ per questo che diventa ancora più inspiegabile e doloroso che un avvenimento come quello che stiamo raccontando sia avvenuto proprio in una scuola che non si risparmia in tema di accoglienza e vicinanza verso i ragazzi e le ragazze.
“Questi fatti sono imprevedibili. Non dipendono da noi. Ogni essere umano è complicato, puoi entrare in relazione con un ragazzo che ti lancia dei segnali e ha fiducia nell’adulto, ma ci sono dei ragazzi impenetrabili. Lui è impenetrabile, da quel che si sa, non aveva mai manifestato nulla che potesse far pensare a reazioni del genere. Nella mia carriera di insegnante ho raccolto molti casi di studenti che mostravano un muro, uno scudo, un’armatura, e con i quali non si riesce a creare una relazione”.
Quali sono i motivi, secondo la sua esperienza?
“Il fallimento, che la società non vuole contemplare invece bisogna contemplarlo, quello che ci arriva però è la prestazione, che dobbiamo essere sempre sul pezzo, e invece arriva il momento in cui ti devi rapportare con il tuo fallimento. I ragazzi non sono abituati a gestire la frustrazione. Io mi sono interrogata tanto su questo, al di là del caso che ha sconvolto la nostra scuola: quando un ragazzo non va bene nella mia materia, mi interrogo sempre sul perché degli insuccessi. Ma devo anche gestire il fallimento del mio alunno”.
Si parla tanto in questi ultimi tempi, e in queste ore ancora di più, dell’opportunità di introdurre la figura dello psicologo a scuola, che peraltro c’è da anni.
“Abbiamo già la figura dello psicologo da anni. La stampa non si rende conto di quel che le scuole fanno. Dovrebbero vivere le scuole prima di scrivere. La nostra scuola dà molta attenzione ai ragazzi, i quali non sono dei numeri, noi abbracciamo la sfera emotiva dei ragazzi e cerchiamo di accompagnarli nel loro percorso. Da parte mia, sono anni che non metto una nota, che cerco sempre il dialogo, qualunque cosa accada, anche se è normale che in casi particolari mi debba tutelare e in quei casi la nota la metto. I ragazzi non sono stupidi, sono molto avanti, hanno solo bisogno di un approccio diverso e di essere ascoltati e guidati in modo fermo poichè l’adulto è credibile quando alle parole segue l’esempio. E quando le due cose coincidono il ragazzo ti crede. Se dici non urlare, e poi urli tu, non funziona. Tutte queste sono riflessioni dovute a tanti corsi di formazione che ho frequentato. Occorre iniziare a selezionare il personale non sulla base di quiz ma sulla base di test sull’empatia, sulle soft skills, sulle capacità di relazionarsi, sulla comunicazione, sulle capacità educative. Dobbiamo investire sulle competenze e non solo sui contenuti. La mia collega Elisabetta Condò è una docente super esperta e super capace, ha una esperienza enorme, è davvero molto in gamba. Ma la politica, piuttosto che sparare a zero sul disagio dei ragazzi, si interroghi su che cosa davvero serve alla scuola piuttosto che un’ennesima riforma dell’Esame di Stato, come spesso si fa appena si diventa ministri. Occorre riformare la scuola dalle radici e non dagli esami o dall’educazione civica”.
Qual è l’urgenza più stringente per migliorare lo star bene a scuola dei nostri studenti?
“Credo serva un’attenzione maggiore alla persona, ai ragazzi, senza preoccuparsi delle valutazioni ma piuttosto di come il ragazzo vive e apprende. Ci sono ragazzi che arrivano da diversi punti di partenza e quindi più che valutarli occorre accompagnarli in un percorso di crescita senza per forza doverli valutare in continuazione. E’ chiaro che la valutazione serve per stimolarli ma bisogna anche metter loro in testa che lo studio serve soprattutto per sé”.
Ha notizie della professoressa Elisabetta Condò? Vi siete sentite?
“Ha appena mandato un messaggio al nostro gruppo di Lettere. E’ provata, ma è molto combattiva”.