Docente di sostegno dovrà restituire 100mila euro, aveva dichiarato titoli falsi. Sentenza

La Procura regionale presso la Sezione della Corte dei Conti conveniva in giudizio una docente di sostegno di alunni con deficit psico-fisici, chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 100 mila circa “in favore del Ministero quale retribuzione percepita indebitamente” per cinque anni circa di supplenza “per mancanza del titolo di specializzazione prescritto, in quanto falsamente attestato, con conseguente ingiustificata percezione della stessa retribuzione”. Si commenta ora il provvedimento della Corte dei Conti siciliana, sentenza 211 del 2021.
La normativa sulla necessità di possedere il titolo per poter insegnare
Osservano i giudici, rispondendo all’articolata difesa come sollevata da parte ricorrente, che in base al d.lgs. n. 297 del 16/04/1994, è previsto che il personale direttivo e docente preposto alle scuole con particolari finalità e alle sezioni e classi delle scuole comuni che accolgono alunni portatori di handicap debba essere provvisto di apposito titolo di specializzazione da conseguire al termine di un corso teorico-pratico di durata biennale presso scuole o istituti riconosciuti dal Ministero della pubblica istruzione. Analogamente, l . 970 del 31/10/1975, , prevede che il personale direttivo e docente debba essere fornito di apposito titolo di specializzazione da conseguire al termine di un corso teorico-pratico di durata biennale presso scuole o istituti riconosciuti dal Ministero della pubblica istruzione. (…)Non può, pertanto, condividersi la prospettazione difensiva secondo la quale la citata specializzazione non costituisca un requisito di permanenza nella graduatoria ma un titolo ulteriore, atto a determinare unicamente la posizione nella stessa, specie in considerazione del fatto assunta proprio come insegnante di sostegno, funzione per la quale -come detto- la specializzazione costituisce presupposto necessario per legge”.
Se non si ha il titolo prescritto dalla legge la PA non può remunerare la prestazione lavorativa
“La Pubblica Amministrazione non richiede e non remunera una prestazione qualsiasi, ma la specifica prestazione dedotta in contratto, discendente da norme imperative, con standards qualitativi, di professionalità e quantitativi predeterminati; la carenza di tali standards, nel caso specifico la professionalità richiesta, rende la prestazione lavorativa del tutto inadeguata alle esigenze amministrative e la controprestazione, ovvero la retribuzione corrisposta, non risulta correlata alla prestazione richiesta e pattuita, essendo venuto meno il relativo rapporto sinallagmatico (cfr. tra le altre Corte dei conti, Sez. giur. per la Regione Siciliana sent. n. 2952/2010, Regione Siciliana sent. n. 243/A/2012). Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione. Detta disposizione, in primo luogo, va interpretata tenuto conto di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 296/90, laddove è stato posto in evidenza come l’illiceità che, ai sensi dell’art. 2126, primo comma, cod. civ., priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto di lavoro <non può ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalità, ma nel contrasto con norme fondamentali e generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento>”.
La carenza dei requisiti ex lege per insegnare può comportare la restituzione dello stipendio
“Nel caso in esame, in particolare, la carenza dei requisiti del ruolo di insegnante di sostegno psicofisico non può essere ritenuta alla stregua di un vizio meramente formale, o di ristretta legalità, che ha interessato la fase di instaurazione del rapporto contrattuale poiché essa si è, invece, riflessa negativamente”. Ricordandosi poi quanto affermato dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti con provvedimento n. 24 del 2020 che ha espresso il seguente principio. In ipotesi di danno erariale conseguente alla illecita erogazione di emolumenti lato sensu intesi in favore di pubblici dipendenti (o, comunque, di soggetti in rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione), la quantificazione deve essere effettuata al lordo delle ritenute fiscali Irpef . Parimenti, il Collegio ritiene che la pretesa economica avanzata debba ritenersi corretta in quanto non può trovare accoglimento la richiesta di riduzione del danno in misura pari alle ritenute previdenziali, posto che le stesse vengono introitate nell’esclusivo interesse del dipendente a copertura dei costi del suo futuro trattamento pensionistico. (cfr. da ultimo Corte dei conti, Sez. I Appello, sent. n. 25 del 05/02/2021)”.