Docente condannato a interdizione perpetua dai pubblici uffici? Deve essere licenziato

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Il caso in commento riguarda la legittimità di un licenziamento accorso ad un docente scaturito dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna dell’interdizione
perpetua dai pubblici uffici. Tale licenziamento è doveroso? L’Amministrazione è vincolata all’applicazione del licenziamento disciplinare come conseguenza della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici?

La questione

Pare ricorrente impugnava il licenziamento eccependo in particolar modo la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 ter, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001 nel testo modificato dall’art. 69 d. lgs. n. 150/2009 e successive modifiche, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere erroneamente ritenuto la legittimità del licenziamento. Richiama la giurisprudenza di legittimità, secondo cui il termine entro il quale il procedimento disciplinare deve essere ripreso ha carattere perentorio ed assolve alla stessa funzione iniziale del termine fissato per l’avvio del procedimento e ne persegue la stessa finalità. Addebita alla Corte territoriale erroneamente escluso che nella fattispecie in esame l’Amministrazione fosse tenuta a riattivare il procedimento disciplinare precedentemente sospeso attraverso la rinnovazione della contestazione dell’addebito, argomentando che l’art. 55 ter, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 non prevede alcuna deroga, a prescindere dalla certezza della pena. Aggiunge che una deroga di tale tenore comporterebbe un trattamento differente per i lavoratori per i quali non è stato sospeso il procedimento disciplinare (che potrebbero giustificarsi anche dinanzi all’ipotesi espressamente sanzionata con il licenziamento) e quelli per i quali il procedimento disciplinare è stato sospeso, ai quali si applicherebbe direttamente il provvedimento, in assenza di rinnovazione della contestazione.

Il licenziamento in caso di condanna penale di interdizione dai pubblici uffici

La normativa: Ai sensi dell’art. 51, nono comma, della legge n. 142/1990, “la responsabilità, le sanzioni disciplinari, il relativo procedimento, la destituzione d’ufficio e la riammissione in servizio sono regolate secondo le norme previste per gli impiegati civili dello Stato”. L’art. 85 del d.P.R. n. 3/1957 prevede la destituzione dell’impiegato che è stato condannato alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici; conseguente è anche il divieto di assunzione in posizione di ruolo o non di ruolo. L’art. 9 della legge n. 19/1990 stabilisce: “1. Il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. E’ abrogata ogni contraria disposizione di legge. 2. La destituzione può essere sempre all’esito del procedimento disciplinare, che deve essere proseguito o promosso entro 180 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni. Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque. Decorso tale termine, la sospensione cautelare è revocata di diritto…” . L’art. 10 della legge n. 19/1990 prevede a sua volta: “1. Alla data di entrata in vigore della presente legge cessa l’esecuzione delle pene accessorie conseguenti a condanne a pene condizionalmente sospese. Qualora la sospensione condizionale della pena venga successivamente revocata, le pene accessorie sono eseguite per la parte residua. 2. I pubblici dipendenti che anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge siano stati destituiti di diritto sono, a domanda, riammessi in servizio…”.

Osserva sul punto la Cassazione nella sentenza in commento che l’Amministrazione, in presenza di una sentenza penale di condanna con pena accessoria interdittiva, non può fare altro che disporre la cessazione dal servizio con un provvedimento che non ha carattere né costitutivo, né discrezionale, venendo in rilievo un atto vincolato, dichiarativo di uno status conseguente al giudizio penale definitivo nei confronti del dipendente.

Si è in particolare osservato che l’art. 9, comma 1, della legge n. 19/1990, emanato in coerenza con la declaratoria di incostituzionalità della destituzione automatica a seguito di condanna penale, non ha abolito tutte le norme contrastanti con il divieto di automatica destituzione, ma solo quella indicata dalla Corte costituzionale. Il principio secondo cui il divieto di automatismi sanzionatori a seguito di condanna penale non è applicabile nell’ipotesi di interdizione perpetua dai pubblici uffici è stato ribadito da questa Corte (Cass. n. 3698/2010), anche sulla scorta della giurisprudenza amministrativa, la quale ha ritenuto l’inapplicabilità degli artt. 9 e 10 della legge n. 19/1990 nei casi in cui la perdita dell’impiego costituisca effetto automatico di una sanzione penale accessoria, senza la necessità di un procedimento disciplinare (Consiglio di Stato n. 81/1995; Consiglio di Stato n. 468/1998; Consiglio di Stato n. 5163/2001; Consiglio di Stato n. 6669/2002; Consiglio di Stato n. 3324/2007). Con la sentenza n. 468/1998, il Consiglio di Stato ha in particolare affermato che il divieto di destituzione di diritto ex art. 9 legge n. 19/90 non si riferisce all’ipotesi di interdizione perpetua dai pubblici uffici, che costituisce un elemento in più rispetto alla condanna penale e che tale norma non ha abrogato ogni disposizione di legge contrastante con il divieto dell’automatica destituzione, ed il suo ambito di operatività deve essere ristretto alla sola destituzione di diritto per effetto della mera condanna penale.

Le sentenze n. 5163/2001 e 6669/2002 del Consiglio di Stato hanno a loro volta precisato che non occorre l’instaurazione del procedimento disciplinare per l’irrogazione della sanzione della destituzione del pubblico impiegato, condannato dal giudice penale, nel caso in cui alla condanna segua l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Così concludendo: A fronte della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, il procedimento disciplinare è dunque superfluo; il rapporto non può in ogni caso proseguire per effetto della pena accessoria. cit: Cassazione Civile Sent. Sez. L Num. 30527/2024

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