Dispersione scolastica, “per combatterla massimo 20 alunni per classe alla Primaria”. Le parole della maestra Rina Goldoni [INTERVISTA]

WhatsApp
Telegram

Occorre strappare i ragazzi dall’abbandono, dall’apatia e dalla solitudine e non deve essere più vero il luogo comune secondo il quale il ragazzo o la ragazza che partono svantaggiati abbiano un destino segnato. E «a partire dal prossimo anno scolastico, le classi di scuola primaria siano formate al massimo da 20 alunni». E’ quanto chiede l’Associazione Città e Scuola di Modena in una petizione che conta come prima, tra le tante, anche la firma di Franco Lorenzoni.

«Nel 2021 – spiegano l’Associazione – un quarto di chi ha meno di 24 anni è entrato nel mondo degli adulti e del lavoro senza avere adeguati strumenti per affrontarlo, senza saper far di conto e comprendere un testo scritto. Siamo un’associazione  di volontariato, di cui fanno parte diversi insegnanti e genitori, che da molti anni combatte contro la dispersione scolastica e siamo giunti alla convinzione che è molto, molto difficile intervenire quando i ragazzi in difficoltà sono nella scuola media o ancora peggio alle superiori. Per combattere davvero la dispersione scolastica bisogna agire con interventi adeguati quando i bambini sono nel primo anno della primaria o addirittura nella scuola d’infanzia perché già in quegli anni si pongono le premesse di un percorso scolastico difficile e non positivo. Occorre intervenire con tutti gli strumenti e i mezzi atti a eliminare le differenze tra i bambini, in primo luogo mettendo gli insegnanti in condizione di seguire adeguatamente tutti gli alunni, in base alle loro necessità». Proprio per questo, i promotori dell’iniziativa ritengono che sia «indispensabile che nella scuola primaria  tutte le classi siano formate da non più di 20 alunni, perché solo con un limitato numero di alunni è possibile seguire da vicino il bimbo che appartiene a un contesto socioculturale povero». L’altro elemento indispensabile, secondo l’associazione emiliana, è che gli insegnanti lavorino in stretto contatto con i servizi  sociali e le agenzie territoriali che operano nel quartiere in cui vive il bambino in difficoltà. E anche questi servizi vanno potenziati rispetto alla situazione attuale. «Solo dalla convergenza dei seguenti interventi e cioè 20 alunni per classe nella scuola primaria e il potenziamento dei servizi e delle agenzie territoriali che agiscano fin dal nido sulle realtà famigliari e sulle difficoltà dei bambini in collaborazione con le forze del volontariato si potrà giungere al miglioramento della situazione attuale». L’associazione ammette che questo comporterebbe costi notevoli. «Ma pensiamo – poi ribatte – a quanto costano ogni anno allo Stato le conseguenze di comportamenti inadatti, per usare un termine non troppo negativo, da parte di ragazzi che non hanno potuto fare un percorso di apprendimento e di crescita culturale positivo e adeguato. Sono conseguenze che si protraggono per tutti gli anni della loro vita adulta».

Rina Goldoni è una maestra in pensione ed è la vicepresidente dell’associazione Città e Scuola.

«È importante intervenire precocemente – sottolinea Goldoni – perché i problemi delle disuguaglianze e delle problematiche dei bambini si mostrano in modo lampante soprattutto dopo la pandemia. Un intervento precoce è fondamentale. Ma deve avere delle precise caratteristiche».

Quali, maestra Rina Goldoni?

«Dovrebbero essere il frutto di un pensiero incrociato che possa avvalersi dei soggetti esterni alla scuola. Penso ad associazioni che in campo educativo riescono meglio a intervenire sulla famiglia e sui bambini. Questo non preclude un intervento di grande collaborazione con la scuola. Questi soggetti esterni hanno dei crediti notevoli, visto che hanno dimostrato esperienza, impegno e sapere per compensare i disagi di questi bambini e ragazzi, ma devono entrare in una rete di collaborazione con le scuole. Oggi questo tema non è piu rimandabile. Occorre fare di tutto per potenziare queste collaborazioni».

Quali tipi di disagio avete intercettato tra i bambini?

«Intanto un’apparente estraneità all’impegno scolastico, dovuta a cause di povertà educativa e sociale. Ci sono famiglie che spesso non investono nell’educazione e nella cultura dei loro bambini perché hanno difficoltà economiche ma anche di tipo culturale. Dunque non vuol dire che questi bambini siano incapaci, hanno semmai bisogno delle giuste sollecitazioni. Abbiamo visto dei buoni risultati quando questi bambini sono particolarmente seguiti in modo individuale cercando di creare occasioni di tempo libero, e non solo di tempo scolastico coinvolgendo l’arte e lo sport. Tutto questo si è visto in varie attività svolte da molte associazioni della nostra realtà. Il punto è che occore oggi creare un sistema più integrato perché esistono tante esperienze. Lorenzoni afferma la necessità di avere uno sguardo moltiplicato su questi ragazzi, non dunque un solo sguardo, proprio per uscire da stereotipi che vedono questi bambini già definiti in un destino, senza che possano costruire dentro di sé un’immagine positiva che consenta loro di scoprire il proprio potenziale cognitivo e creativo».

Per questo chiedete alla scuola una riduzione importante del numero di alunni nelle classi?

«È chiaro che per creare interventi più attenti occorre rivedere l’affollamento delle classi perché l’affollamento crea proprio un problema di omogeneizzazione là dove occorrerebbe invece creare delle opportunità differenziate. E si è visto che là dove si interviene in questo modo la didattica ne esce arricchita. E ne esce arricchita per tutti i bambini e le bambine e non solo per chi ha dei problemi. Quando la didattica riesce a essere più flessibile si raggiungono migliori risultati per tutti. Io ho insegnato per diversi anni nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole elementari con laboratori artistici. Grazie a queste esperienze ci siamo resi conto che tanti bambini, spesso stranieri, apparentemente indifferenti o passivi rispetto alle proposte della scuola, diventavano attivi conseguendo risultati incredibili. Con la possibilità di esprimersi con la grafica e i colori, ad esempio, riuscivano a fare emergere delle qualità, dei valori e moltissimo interesse, tali da mostrare una potenzialità cognitiva straordinaria. Questo, giusto per avallare quel che dicevo prima».

Quindi si può fare moltissimo per ridurre tanto disagio diffuso tra bambini e ragazzi?

«Si. Qui Modena c’è la possibilità di farlo, abbiamo un contesto molto favorevole, insegnanti, rete di associazioni preparate e si tratta probabilmente di definire meglio gli obiettivi e di fare dei percorsi più personalizzati. E’ un campo che va esplorato fino in fondo. Ma siamo a conoscenza di altre situazioni con esperienze incredibili come a Napoli e in altre città. Questi interventi talvolta vengono visti come dei costi, in realtà sono degli investimenti».

Con la pandemia certi disagi si sono aggravati?

«Moltissimo. Prima non avevamo la percezione di quel che stava per arrivare fuori con queste difficoltà. La Dad è stata una risposta ma non è stata una risposta risolutiva. Sono aumentate le difficoltà e i malesseri psicologici e proprio per questo c’è molto bisogno di attenzione. I ragazzi ammettono che il non essersi potuti trovare tra amici è stato vissuto con molto spaesamento perché una cosa così non l’avevano e non l’avevamo sperimentata prima, e quindi si è risolta in famiglia. Ma alcune famiglie hanno potuto gestire questa difficoltà usando bene gli strumenti informatici. Ma in tante altre famiglie, specie di stranieri, sovente non c’era neppure la rete. Gli operatori ci hanno confermato il vuoto totale esistente in queste famiglie, poiché non avevano i mezzi per affrontare questo isolamento»

Quale successo sociale si riuscirebbe a conseguire se si realizzasse quel che avete chiesto con la petizione?

«La scuola deve riuscire a leggere le difficoltà e trovare le risposte. Ciò vuol dire dare l’opportunità ai bambini e alle bambine in età precoce di essere partecipi fino in fondo nella rete della scuola. In questo modo riusciremmo ad avere meno abbandoni e forse anche le famiglie si sentirebbero meno sole e più supportate nel loro ruolo. Dobbiamo strappare i ragazzi dall’abbandono, dall’apatia, dalla solitudine e non deve essere più vero il luogo comune secondo il quale il ragazzo o la ragazza che partono svantaggiati abbiano un destino segnato. Questa è la vera battaglia culturale».

Voi dite che intervenire nell’età delle superiori, quando si evidenziano abbandoni e fallimenti scolastici, sia ormai tardi

«Sappiamo che i ragazzi che arrivano alle superiori in un percorso non supportato sono quelli che vivono peggio l’emarginazione e incorrono nelle bocciature e in uno stigma notevole. La scuola superiore è un traguardo avanzato per cui occorre agire più precocemente sulle problematiche stanno attorno alle bambine e ai bambini. Le scuole superiori si stanno attrezzando e accusano spesso i livelli precedenti di non avere fatto abbastanza, io credo che ogni ordine scolastico debba poter comunicare per capire quali siano le problematiche che riguardano i ragazzi perché a volte ci si ferma a schematizzare la competenza senza analizzare i contesti familiari e sociali. Oggi c’è una emergenza diversa, si esprime anche nell’aggregarsi in compagnie per fare agire delle ribellioni e atteggiamenti provocatori. Anche qui da noi sono diffuse le bande giovanili e quindi diventa fondamentale non avere un atteggiamento punitivo ma che vada a indagare e cerchi di mettere delle sinergie con i vari livelli per promuovere lo sviluppo dei ragazzi. Non penso a un ruolo della polizia o dei vigili urbani come qualcuno paventa, ma a quello che potrebbero svolgere i servizi sociali ed è necessario che la scuola comprenda tutto questo. Capisco che è molto difficile ma occorre che ci attrezziamo per avere gli strumenti per capire quello che sta succedendo. E poi penso alle esperienze che possono arricchire la vita e cambiare il destino di questi ragazzi. Penso ad esempio alla ricchezza dell’editoria per ragazzi. Facendo le visite guidate con le scuole abbiamo spesso presentato libri un po’ critici, che mettevano i ragazzi di fronte a situazioni diverse con cui confrontarsi, da qui nasceva spesso un dialogo notevole tra di loro. Penso ai libri che parlavano di violenza, in genere o sessuale, o ai libri che parlano di quartieri difficili, letture e iniziative insomma che fanno nascere incontri possibili e costruttivi per loro».

Il sito dell’Associazione Città e Scuola

WhatsApp
Telegram

Eurosofia, TFA SOSTEGNO VIII CICLO: Corso completo con quota agevolata fino al 10 maggio. Approfittane!