“Dirigente per punirmi mi toglierà cattedra per mettermi nel potenziato perché ho preso giorni di congedo. Non dormo e non mangio più”

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L’incarico del dirigente scolastico è assai delicato e ricoprirlo dignitosamente, a volte, diviene una vera impresa soprattutto nelle circostanze difficili che richiedono sensibilità umana prima ancora che capacità gestionali.

L’incarico del dirigente scolastico è assai delicato e ricoprirlo dignitosamente, a volte, diviene una vera impresa soprattutto nelle circostanze difficili che richiedono sensibilità umana prima ancora che capacità gestionali.

Diviene quindi prioritario domandarsi se un Capo d’istituto sia tenuto ad ascoltare, valutare e di conseguenza agire nei confronti dei suoi docenti tenendo conto, per quanto possibile, anche dei loro problemi personali. Ho già scritto da queste colonne di essermi imbattuto in dirigenti scolastici che liquidavano pilatescamente la faccenda, specificando nella contestazione d’addebito che “la S.V. è pregata di lasciare fuori dalla scuola le problematiche a carattere personale”. La storia di Veronica ci permette di fare alcune valutazioni in merito, tornando a riprendere la dibattuta definizione di Stress Lavoro Correlato (SLC).

Gentile dottore,

sono stata oggetto di diffamazione da parte della mia dirigente per essermi assentata (a suo dire) a spezzoni per congedo biennale datomi per mia figlia minorenne con disabilità al 100% e L.104. Ora dice che mi toglierà la classe per mettermi sul potenziamento perché avrei danneggiato la scuola e ora ne pago le conseguenze. L’avvocato dice che ci sono gli estremi per la denuncia penale per calunnia visto che la dirigente ha motivato la mia "rimozione" dalla classe dicendo che avevo creato un danno ai bambini e alla scuola. Ma, a parte tutto, io sono davvero molto prostrata. Non dormo e non mangio più. Sono separata e mia figlia spesso è violenta e pratica autolesionismi. È in cura ma purtroppo i dottori mi dicono che ci vuole tempo oltreché pazienza. E in questi ultimi due anni io sono stata praticamente sola ad accudirla e a piangere e parlare con lei. Sono al limite. Non sono più in grado di essere un supporto. Questo può essere considerato un insieme di sintomi da burnout non lavorativo ma comunque grave? Tornare a scuola mi spaventa. Ho la memoria labile. Spesso non trovo le parole e spessissimo piango. Mi dica se posso chiedere di essere sottoposta ad accertamento medico e soprattutto se ci sono gli estremi. Mi stavo muovendo col sindacato per far valere i miei diritti per non essere rimossa. Ma se poi il Collegio Medico non mi riconosce inidonea, rischio di essere retrocessa dal DS a supplente dopo 30 anni di insegnamento? La mia dirigente mi ha trattata così male che non posso neanche immaginare di tornare di nuovo a parlare con lei.

Cosa mi consiglia? È un bel dilemma, senza contare che mia figlia (17 anni) nel frattempo dovrà essere ricoverata di nuovo. Seppure ben seguita, i suoi miglioramenti non sono costanti. Il disturbo psichico le è esordito a 10 anni circa e una diagnosi unica e incontrovertibile non è ancora stata posta. Conseguentemente ha cambiato terapia una decina di volte senza ottenere grandi benefici. Ogni tanto scoppiano in casa liti furibonde perché si rifiuta di assumere la terapia a causa della sua inefficacia ma, almeno, fa terapia di gruppo. Negli ultimi giorni ha avuto due episodi dissociativi e mi ha messo le mani addosso. Secondo il Centro Psico Sociale la cosa è grave: finora erano cauti ma ottimisti ma adesso mi pare che si stiano muovendo per cambiare terapia ancora una volta. Dovrà fare un nuovo ricovero perché ultimamente il quadro sta peggiorando.

Per favore mi aiuti con un consiglio.

Riflessioni

Il racconto di Veronica è essenziale e disarmante. Ci troviamo di fronte a una donna separata con un’unica figlia in gravi condizioni psichiche (100% di invalidità e L. 104) ancora alla ricerca di una terapia che la stabilizzi e interrompa i ricoveri che oramai si succedono a ciclo rapido. Dall’altra parte, sul versante lavorativo, una dirigente pressata dall’utenza che cerca di tamponare i disservizi causati dalle frequenti (ma comprensibili) assenze che Veronica accumula. La rottura tra le due avviene quando la dirigente decide d’imperio di spostare Veronica sul potenziamento rimuovendola dalla titolarità della classe. La maestra non la prende bene, dopo 30 anni di onorato servizio, e si sente oltraggiata fino al punto di voler adire le vie legali. Cosa fare? Prima di rispondere ai molteplici quesiti di Veronica e di suggerire un consiglio, analizziamo tutti gli elementi a disposizione.

  1. Fortunatamente i casi come quello di Veronica (e di sua figlia) sono poco numerosi, ma possono capitare. Le assicurazioni sulla salute li definiscono “catastrofici” a causa dei costi che comportano e della prognosi solitamente infausta o immodificabile nel tempo. Casi come questo possono tuttavia presentarsi a un dirigente scolastico che non può certo liquidarli ascrivendoli alla categoria “problemi a carattere personale”. Non resta che affrontarli con cognizione di causa.
  2. Sbaglia chi ritiene che lo stress di Veronica non sia contemplato dallo SLC. Infatti vale la pena ricordare che il legislatore non ha specificato se lo stress debba essere correlato al lavoro per le cause che lo determinano (nella circostanza “familiari”) o per le conseguenze che ne discendono (in questo caso “lavorative”). Avrebbe infatti senso chiedere a Veronica di dimenticarsi della salute di sua figlia una volta arrivata a scuola? Ovviamente no.
  3. Oggettivamente Veronica è stremata: svolge da 30 anni un lavoro usurante (anche se non riconosciuto come tale), è separata dal marito, assiste da sola la figlia con gravi problemi psichici. La sintomatologia che la donna denuncia conferma la gravità del quadro clinico: prostrazione, disappetenza, insonnia, amnesie, stanchezza cronica, accessi di pianto. Probabilmente incide anche una condizione perimenopausale che sappiamo quintuplicare l’esposizione delle donne alla depressione.
  4. Ci dobbiamo ora domandare se abbia, o meno, senso che Veronica avvii un’azione legale nei confronti del dirigente che ha usato parole infelici e insinuazioni nei suoi confronti, pur cercando di superare oggettivi disservizi di cui si era lamentata l’utenza. I conflitti costano tempo, denaro ed energie, lasciando morti e feriti sul terreno. Solitamente solo gli avvocati traggono beneficio da lunghe e inconcludenti cause. Un contenzioso peggiorerebbe la situazione di Veronica che invece deve concentrarsi sulla sua salute per recuperare l’equilibrio psicofisico necessario a lavorare e assistere la figlia.
  5. Dovendoci occupare della salute della maestra, potremmo pensare di indurla a richiedere l’accertamento medico in CMV, ma l’eventuale provvedimento di inidoneità all’insegnamento del Collegio Medico costringerebbe Veronica a perdere il beneficio dell’orario lavorativo elastico dovendo timbrare le 36 ore. La ricaduta negativa sull’assistenza alla figlia sarebbe evidente.
  6. Unica soluzione sembra quindi consistere nella riapertura del dialogo (magari con un mediatore che goda la fiducia di entrambe) volto a contemperare le esigenze dell’utenza con quelle personali della maestra. Veronica, da par suo, dovrà vincere il risentimento nato in seguito agli oltraggi e diffamazioni che, a torto o ragione, ritiene di aver subito dalla preside. La dirigente a sua volta dovrà pazientemente ricercare e condividere con Veronica un ragionevole compromesso. Tertium non datur: percorsi alternativi non sembrano esistere e ogni altra soluzione condurrebbe in un vicolo cieco.

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