“Dare ad un tema 5, 6 o 7, in realtà non sto dicendo nulla del lavoro dello studente, vi spiego perché la valutazione descrittiva è più efficace della numerica”. INTERVISTA alla docente universitaria Elisabetta Nigris
Cosa vuol dire valutare in un percorso di apprendimento? Ne abbiamo parlato con Elisabetta Nigris, docente di Progettazione didattica e valutazione presso l’Università di Milano Bicocca, delegato della Rettrice per la Formazione docente e Faculty Development, coordinatrice del gruppo di lavoro ministeriale sulla valutazione descrittiva nella scuola primaria ed autrice di numerosi testi e articoli sul tema della progettazione didattica, del rapporto fra didattica e didattica delle discipline e sulla formazione docente.
Professoressa Nigris, per cominciare la nostra intervista vorrei chiederle che cosa si intende per valutazione all’interno di un processo di insegnamento/apprendimento.
Valutare significa dare valore, la valutazione ha la finalità più ampia di dare valore al percorso di apprendimento di ogni singolo alunno, del percorso che un alunno fa dallo stato di partenza a quello di arrivo alla fine del processo di apprendimento, rispetto a un’attesa dell’insegnante, a un qualcosa che noi pensiamo debba conseguire. Più in generale, lo scopo della valutazione non può essere solo, anche se è una funzione importante, quella di certificare, attestare, rendicontare, ma lo scopo ultimo della valutazione è quello di sviluppare apprendimento, migliorare, accompagnare e facilitare il processo di apprendimento e di miglioramento di ogni alunno. Per questa ragione si dice che la valutazione non è solo valutazione degli apprendimenti, che è quella più certificativa e che comunque compiamo, ma è soprattutto, dal punto di vista del processo di insegnamento/apprendimento, quella per gli apprendimenti. La ricerca parla in questo senso di valutazione di quarta generazione.
A questo punto dobbiamo chiederci cosa serva ad un insegnante per valutare in modo formativo per accompagnare il miglioramento di ciascun alunno e quindi in ultimo dei risultati di un sistema scolastico di tutto il paese. Per un paese come il nostro l’obiettivo è quello di avere la maggior parte dei cittadini il più possibile preparati, quello di sviluppare al massimo le potenzialità di ciascuno. In questa prospettiva, per valutare serve innanzitutto avere una chiarezza di che cosa il docente voglia raggiungere con i propri alunni, dove voglia andare.
Quando si parla di obiettivi non si tratta solamente di un termine tecnico, ma si tratta di cosa l’insegnante vuole raggiungere con i suoi alunni. La valutazione formativa sposta l’attenzione da “che cosa faccio oggi in classe” a “cosa voglio che imparino i miei alunni oggi, domani, in una settimana e in tutto l’anno, che cosa intendo perseguire con i miei alunni, come voglio accompagnarli fin là”. Credo che un elemento di questa riforma della valutazione, della valutazione descrittiva sia proprio che gli insegnanti si fermino a pensare che cosa vogliono raggiungere con i loro alunni, non solo il programma, non solo i contenuti, anche perché noi abbiamo un documento nazionale molto bello e valido, che sono le indicazioni nazionali, che spostano il focus dai contenuti agli obiettivi, pongono l’attenzione sui processi di apprendimento che io voglio promuovere nei miei alunni.
Quindi non solo storia, geografia e matematica, non solo le nozioni ma anche la capacità di ragionamento in matematica, capacità di capire il rapporto tra causa ed effetto negli eventi storici, classificare i fenomeni scientifici, formulare ipotesi rispetto a un tema, un problema, una questione o un argomento. Questo le indicazioni nazionali ce lo dicono, il nostro documento nazionale di riferimento ci dice che il tema non sono solo i contenuti, ma quale processo rispetto a quei contenuti. Posso valutare dicendo che il tema è sufficiente o insufficiente, bello o brutto, dargli un 5, un 6 o un 7, ma in realtà non sto dicendo niente rispetto a quello che è stato messo in gioco da quell’allievo in quella prestazione; oppure posso dire che l’alunno ha capito la natura del problema da risolvere, che ha trovato una strategia che funziona, efficace, ma che si rilevano ancora imprecisione, disordine nello svolgimento dei calcoli; oppure rispetto alla scrittura di un testo posso descrivere che sono state esposte idee pertinenti, ma che è difficile per un lettore capire i passaggi del ragionamento esposto. Questi due modi di valutare sono due cose completamente differenti.
Partendo da quello che ci ha appena detto, ci spiega perché la valutazione descrittiva è più efficace della valutazione numerica?
Questo in realtà ce lo dice la ricerca, la quale evidenzia che dare i voti non migliora l’apprendimento dei ragazzi, ma serve per dare un’informazione abbastanza generica agli alunni, soprattutto ai genitori, in particolare rispetto alla classificazione gerarchica all’interno della classe e quindi mettendo a confronto fra loro gli allievi; non dà però indicazioni a ciascun allievo di che cosa ha veramente imparato, di che cosa ancora non si è appropriato, rispetto a quel determinato processo e contenuto, e cosa potrebbe fare per avere migliori risultati.
La ricerca internazionale ci dice che tra i primi dieci elementi che rendono efficace l’apprendimento, quindi che aiutano i ragazzi a capire, comprendere, imparare, classificare, ragionare e memorizzare, c’è la capacità di dare il feedback, ovvero la restituzione da parte dell’insegnante. Il feedback richiede che non solo io dica all’alunno che è stato colto qual era il problema, che è stata individuata la strategia, che ha ancora una difficoltà nello svolgere con ordine tutte le operazioni e tutti i calcoli, ma devo spiegare quali strumenti, quali azioni, quali strategie può mettere in atto per migliorare, lasciare del tempo prima di rileggere, di correggere il lavoro fatto: indicazioni molto semplici, che tra l’atro molti insegnanti già danno ai loro alunni. Quello che ci dice la ricerca è che questo andrebbe fatto non solo e non tanto in quelle poche prove finali che noi usiamo per fare una media o per dare la valutazione finale, ma va fatto lungo il percorso di apprendimento di bambine e bambini, di ragazze e ragazzi, cioè mentre insegno loro, per cogliere i segnali di apprendimento e quindi dare indicazioni agli studenti su come riaggiustare.
Ancor più serve per dare indicazioni a me come insegnante su cosa devo fare perché gli alunni apprendano quello che mi dimostrano di non avere imparato o capito, per superare gli ostacoli che sembra che incontrino in quel percorso: il monitoraggio di cosa succede via via in classe, il feedback mi serve a rimodulare i tempi, i modi, le attività e gli strumenti. Infatti, un aspetto molto importante da ricordare è che la valutazione non è scindibile dalla didattica e dalla progettazione; se io mi interrogo e modifico il mio modo di valutare non posso non ripensare al mio modo di insegnare, se è efficace o no. Ad esempio posso capire che è un metodo già efficace oppure che è efficace con una metà della classe ma con l’altra no, e qui bisogna interrogarsi su cosa fare con quell’altra metà della classe: se le cose non funzionano posso dare agli allievi la responsabilità oppure l’insegnante può pensare a strategie più idonee per quella metà della classe che ha determinate caratteristiche. Il mandato di ogni insegnante, soprattutto nella scuola dell’obbligo, è quello di migliorare le prestazioni e gli apprendimenti di tutti i ragazzi, non solo di quei pochi che sono portati per la materia d’insegnamento, o di quelli che hanno a casa genitori che li aiutano nei compiti o negli apprendimenti.
Abbiamo detto che Lei ha coordinato il gruppo di lavoro che ha reintrodotto la valutazione descrittiva nella scuola primaria. Un problema che si riscontra nella formulazione di alcune valutazione è la netta corrispondenza di quest’ultime con i descrittori, formula che a volte diventa incomprensibile per alunni e genitori. Ci spiega perché questo tipo di valutazione non è esattamente il meglio e come utilizzare in maniera più efficace proprio i descrittori?
Questo tipo di valutazione, come da mandato del parlamento dato con l’approvazione di una legge nel maggio del 2020 dopo il periodo pandemico, era quello di formulare una modalità che aiutasse gli insegnanti per applicare la valutazione di tipo descrittivo. Per poter descrivere devo capire rispetto a cosa devo descrivere, quindi le indicazioni dell’ordinanza sono state quelle di dire che è un’operazione che va bene all’interno del curriculum d’istituto – obbligatorio per legge per ogni istituto -, lasciando loro la scelta di quali siano gli obiettivi prioritari, quelli su cui si vuole concentrate la valutazione, tenendo conto che la valutazione non è mai in astratto, ma va calato nei singoli contesti e va tarato sulle diverse annualità.
Ad un bambino della classe prima della primaria chiederò di cominciare a mettere insieme una frase per esprimere un sentimento, per descrivere qualcosa; invece ad un bambino della classe quinta della primaria, o addirittura della scuola secondaria di primo grado, chiedo che sappia costruire un piccolo testo organico per illustrare e argomentare dei concetti più articolati. Quindi rispetto agli obiettivi che io mi pongo cosa vado a descrivere? Sicuramente vado a descrivere i processi, perciò rispetto a quel processo di cui abbiamo appena fatto l’esempio di una competenza testuale, descriverò la correttezza ortografica, la struttura sintattica, la struttura del pensiero, la capacità di argomentazione, andrò a ricercare in quel testo come sono stati messi in gioco tutti questi aspetti, come sono stati raggiunti quegli obiettivi da ciascun bambino.
Per fare ciò noi abbiamo indicato quattro criteri, o dimensione, scelti perché le indicazioni nazionali e la legge del ’62 ci dicono che alle scuole è richiesto di progettare e valutare per competenze. Per conseguire competenze io ho bisogno che l’alunno raggiunga un’autonomia rispetto a quel processo, essere competenti vuol dire che so orientarmi da solo usando le conoscenze e le capacità che ho per risolvere un problema, per conoscere un fenomeno, per muovermi nel mondo. Questa è la competenza, le indicazioni nazionali ce lo spiegano chiaramente.
Per fare questo non posso dare solo indicazioni o avere un tipo di insegnamento per cui pre-mastico quello che devono fare gli alunni, oppure li abbandono di fronte alla richiesta di memorizzazione di quello che ho detto o nella comprensione solitaria (affidata a capacità “innate”) di quello che gli ho spiegato; se lavoro per competenze, devo fare in modo che autonomamente siano in grado di utilizzare quegli strumenti, quindi un criterio non può che essere l’autonomia. Un altro criterio di valutazione, se perseguiamo l’autonomia dell’allievo, è l’uso delle risorse, ovvero come un allievo sa usare quello che sa per fare quello che io gli sto chiedendo. Il terzo criterio è riflettere su cosa sto chiedendo all’alunno, se faccio solo richieste di tipo esecutivo, di tipo meccanico, non sto rispondendo a quelle che sono le indicazioni nazionali, perché queste mi dicono che devo tendere alle competenze che dovrò valutare alla fine della quinta classe della primaria e della terza classe della secondaria di primo grado. Ma come faccio a valutarle se io assegno solo compiti che non sono per competenze, che richiedono una memorizzazione o al massimo un’applicazione di abilità meccanica, riproduttiva?
Abbiamo detto agli insegnanti, come scritto in varie pubblicazioni, che devono pensare a dei compiti delle situazioni, complesse, pratico-complesse, quindi situazioni non note, qualcosa che non ho fatto fare e rifare, ripetere e riprodurre sempre allo stesso modo, perché quelle sono abilità semplici; dovrò proporre, invece, delle situazioni complesse in cui l’allievo non sa già cosa e come deve fare, deve orientarsi autonomamente. L’ultimo criterio è la continuità, perché non posso prendere degli spaccati in un momento o massimo due, ci sono valutazioni che si basano su due prove, massimo tre, invece io devo raccogliere diverse rilevazioni mentre i ragazzi apprendono, non solo durante la prova di verifica; è importante cogliere aspetti valutativi quando si discute in classe, quando svolgono un lavoro di gruppo, quando stanno facendo un esperimento scientifico, quando stanno provando a interpretare una carta geografica, tanto per fare esempi molto concreti e molti diffusi nella scuola.
Quello che si vuole perseguire è andare a rilevare mano a mano gli apprendimenti in modo da avere abbastanza indicazioni per dare una valutazione affidabile. Come docente posso dare tutti i voti che voglio, posso anche usare i livelli, così come posso fare descrizioni che rimangono impressionistiche, improvvisate. Invece per dare una valutazione rigorosa e affidabile ho bisogno di più valutazioni, di più rilevazioni e quindi devo monitorare se le prestazioni ottenute si evidenziano nella continuità.
Tutta questa premessa per dire che noi abbiamo dato queste indicazioni a professionisti della scuola che sono esperti rispetto a queste questioni, che conoscono cosa significa progettare per competenza perché da anni lavorano in questa prospettiva secondo le indicazioni ministeriali; non abbiamo proposto di utilizzare queste parole per i bambini e per i genitori. Inizialmente si è detto che si poteva, in fase transitoria, utilizzare questi criteri, i descrittori, così com’erano per permettere agli insegnanti di familiarizzare e di appropriarsi gradualmente di un modo di valutare a cui non erano abituati; come è suggerito nelle linee guida, si proponeva di non rimanere al modello 1 di pagella, di scheda, ma a poco a poco di andare al modello 3, quello in cui si descrive quello che abbiamo detto, ad esempio per la secondaria formulare una valutazione tipo: “sai elencare i fatti e gli eventi storici ma non sei in grado di collegarli e di capire le cause e gli effetti”.
Un altro esempio per la primaria potrebbe essere: “con una bussola in mano sai orientarti nel giardino della scuola o nel parco dove andiamo a fare la gita” e a questo punto descrivo quello che l’alunno ha imparato, posso dire che l’ha fatto in modo autonomo, questo lo capiscono anche i genitori, oppure posso usare il termine “da solo” se la valutazione è riferita ad un bambino molto piccolo. Se formuliamo una descrizione degli apprendimenti in modo che capiscano i bambini (che i bambini capiscano cosa hanno imparato, cosa ancora non hanno acquisito e cosa dovrebbero fare per acquisirlo), allora lo capiscono anche i genitori, lo capiscono anche i genitori stranieri. Se noi usiamo i voti sembra che tutti capiscano e in realtà nessuno sa cosa significhino realmente. Il rischio della valutazione descrittiva è che si usino frasi retoriche e pompose in “pedagogese” che in effetti non servono a nessuno.
A riguardo è stata organizzata tanta formazione per supportare i docenti: è stato uno dei primi casi in cui l’informazione sulla nuova riforma è stata data a tutta la scuola nel suo complesso pubblicamente, chiunque poteva venire ad ascoltare e non era demandata a degli intermediari, che non avevano partecipato alla formulazione della proposta. 50.000 insegnanti hanno partecipato in due giorni. Abbiamo realizzato formazioni in tutte le regioni, su mandato ministeriale, ai referenti dei diversi USR e tutta questa formazione è presente gratuitamente sul sito del ministero. Sono stati formati 300 formatori perché potessero fare un lavoro diffuso e capillare su tutto il territorio.
Quello che noi abbiamo proposto e consigliato in tutta la formazione è stato di usare descrizioni comprensibili. I termini riportati come dimensioni di valutazione erano termini tecnici per l’insegnante per capire qual era il criterio. Anche un medico o un ingegnere quando parla tra collegi usa termini tecnici, ma se il medico deve parlare al paziente o l’ingegnere deve parlare ad un cliente useranno un altro tipo di linguaggio, più comprensibile, ma avendo in mente il concetto corretto, questa era la nostra intenzione.
Un’ultima domanda. Secondo lei è possibile valutare un alunno senza dover necessariamente mettere un’etichetta, ovvero è possibile una scuola senza voto?
Farò una provocazione: il problema non è il voto. Se uso i livelli, o come prima i giudizi sintetici come sufficiente, ottimo e buono, oppure utilizzo le lettere dell’alfabeto, come un voto, la cosa non cambia. Il problema non è la valutazione finale, il problema è imparare a operare la valutazione in itinere, cambiare la cultura della valutazione pensando che non è solo certificativa ma formativa. Come insegnanti dovremmo interrogarci come possiamo usare la valutazione per aiutare gli allievi – tutti gli allievi – a imparare meglio, ad apprendere di più, in modo più efficace e duraturo, cioè in modo che gli apprendimenti rimangano nel tempo e mi aiutino ad andare avanti negli studi e a muovermi nel mondo. Se il livello, la valutazione, viene usata per mettere in competizione i ragazzi ha un’altra funzione, posso decidere di farlo perché è il mio progetto educativo, ma non è il progetto educativo della scuola italiana, perché le indicazioni nazionali dicono altro, però quella è una scelta, ma non è il valore della valutazione. Posso dare la colpa agli allievi perché non imparano, ma forse questo non è valutare, è fare un’altra operazione.
Oppure posso imparare a valutare aiutando i ragazzi, dare loro un rimando rispetto a quello che stanno imparando, a restituire loro, lo abbiamo detto prima in inglese con il termine feedback, i progressi che hanno fatto, quello che hanno imparato, quello che non hanno ancora imparato e soprattutto dire loro come possono aiutarsi per imparare meglio, pensare cosa può fare l’insegnante e tutto il corpo docente perché imparino. Credo che questo sia un aspetto positivo provocato da questa riforma: ripensare la valutazione significa ripensare al proprio insegnamento. Abbiamo seguito direttamente un numero enorme di scuole e di insegnanti, ma sono stati seguiti anche dalle associazioni professionali, dalle case editrici, dalle università e a tal proposito il coordinamento nazionale di scienze della formazione primaria ha fatto una formazione per tutti i futuri insegnati, per i suoi laureati e per i tutor di tirocini e a raggera ha raggiunto molte scuole.
Si è fatta formazione per ripensare all’efficacia dell’insegnamento, non per imparare a dare un’etichetta, non per applicare un tecnicismo. se vogliamo questo rappresenta anche un po’ il vulnus, il lato debole, di questo percorso che è stato introdotto nella scuola: alcuni insegnanti si sono spaventati di fronte all’idea di dover cambiare il loro modo di pensare la valutazione e, dunque, la loro didattica. Questo percorso ha permesso ai docenti di interrogarsi sull’efficacia del loro metodo di insegnamento. Questo però richiede tempo, richiede pazienza, non si possono ottenere risultati subito, richiede che collegialmente ci si confronti, ma ancora una volta le indicazioni nazionali ci dicono che la valutazione precede, accompagna e segue, che è una responsabilità del docente ma è ancor più un compito collegiale dei docenti riflettere su come valutare il percorso di insegnamento/apprendimento per accompagnare il miglioramento.
Credo che questa mobilitazione della scuola sia stata una cosa eccezionale, anche a fronte di molte resistenze; dobbiamo ricordarci però che tutte le volte che introduciamo un cambiamento radicale non possiamo aspettarci che non ci siano resistenze. Per natura gli esseri umani, soprattutto gli adulti, cercano di mantenere lo status quo. Poi, però, se li accompagni possono modificare e scoprire nuove modalità di operare nel proprio campo di azione. Certamente ci vuole un forte investimento sulla formazione; questo è stato fatto solo in parte ma non in modo sistematico e diffuso. Infatti una forte criticità di è stata proprio di non aver investito a sufficienza, in maniera strutturata, diffusa, pervasiva e organica sulla formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici. Di fatto, un altro aspetto che emerge dalla ricerca è che un elemento di forza, un grimaldello, che ha prodotto il cambiamento è stata la convinzione e l’investimento dei dirigenti scolastici.
Ci sono stati dirigenti scolastici che hanno addirittura scoraggiato il cambiamento, altri che si sono astenuti; altri invece che ci hanno creduto, hanno accompagnato i loro docenti verso il cambiamento, hanno investito in formazione. Finisco dicendo due cose, sono state fatte molte ricerche di monitoraggio di questa riforma da diversi atenei: dalle ricerche è emerso che questa nuova valutazione ha funzionato dove già prima si faceva formazione, dove già prima gli insegnanti riflettevano insieme su come rendere più efficace il loro modo di insegnare e dove c’era la disponibilità a farlo, ma anche dove è stata fatta formazione mirata su questo.
Un altro elemento è che questa riforma ha funzionato quando si è investito sulla comunicazione con la famiglia: se un insegnante dà una pagella senza neanche un colloquio diventa difficile farsi capire dai genitori; ci sono scuole in cui non viene fatto un colloquio per consegnare le pagelle, invece ci sono scuole nelle quali da anni si fanno colloqui con ogni famiglia per presentare la pagella.
La pagella poteva essere anche la semplice scheda con i criteri valutativi, ma se non c’è stato un accompagnamento, una spiegazione, i genitori si sono sentiti confusi; è ovvio che poi per i genitori è più semplice un voto numerico, siamo noi che dobbiamo spiegare ai genitori che è più importante, invece, far comprendere che cosa hanno imparato i loro figli. Quando questo viene fatto i genitori sono molto soddisfatti, perché vedono veramente i progressi dei loro figli. Nelle scuole in cui si è lavorato sia come scuola, come dirigente e corpo docente, sia come singolo consiglio di classe o gruppo di insegnanti, questo ha funzionato e sta funzionando anche nelle secondarie di primo e secondo grado dove si sta sperimentando non la scuola senza voto, perché la scuola nella secondaria per legge chiede il voto finale, ma la scuola senza voto in itinere, perché la legge ci dice che in itinere posso non utilizzare i voti e posso mettere in atto una valutazione descrittiva. In itinere si sta provando ad accompagnare i ragazzi con la valutazione in itinere e si verifica e gli alunni sono più contenti, si impegnano di più, soprattutto hanno miglior prestazioni.