Didattica per sfondi: Progettare con la metodologia del contesto integratore

Quando a scuola si parla di sfondo integratore si fa riferimento a una specifica compagine, atta a connettere le varie attività didattiche di cui sono protagonisti i discenti, in un insieme coeso e coerente.
Si tratta dunque di un contesto: un vero e proprio sfondo che riesce a rendere pertinenti l’una con l’altra i diversi pezzi del puzzle didattico (tempi, spazi, vissuto dell’alunno ecc..).
“Lo sfondo integratore è l’involucro, il contenitore che determina l’unità del percorso educativo, la percezione dei nessi, il senso della continuità che collega le molte attività didattiche che altrimenti resterebbero disperse e frantumate.”
Programmazione per sfondi integratori
Tra i vari tipi di programmazione che nascono e proliferano nella scuola odierna (es. per competenze, ecc.), vi è dunque anche il metodo della programmazione per sfondi integratori.
Essa nasce dall’ esigenza di integrare soggetti in situazione di disabilità.
Come affermato da uno degli ideatori (Canevaro A., “Programmazione per sfondi integratori”, in La Didattica, 1997, n. 3), la programmazione per sfondi integratori “muove dal riconoscere come ostacolo un evento che provoca difficoltà di integrazione nelle nostre conoscenze”.
Ostacoli che provocano quella “dissonanza cognitiva” di cui parla Festinger (1973).
Vantaggi e significato
Inserire, dunque, i vari ostacoli che gli alunni potrebbero incontrare nella scuola, all’interno di uno “sfondo” comune e a loro famigliare (che può essere un medium, come i social network o la radio) permette a questi ultimi di combattere la dissonanza cognitiva verso l’ostacolo, e così di affrontarlo e superarlo.
Come si vede, la programmazione per sfondi integratori non è una metodologia rigidamente basata su dei dogmi, ma è decisamente elastica ed aperta a contaminazioni da altre metodologie.
Si tratta infatti del risultato dell’integrazione di un insieme di teorie e ricerche avvenute negli anni: tutte accomunate dalla volontà di recuperare un senso di unitarietà nella didattica.
Questo, per combattere la dispersione, il frammentario e la nozionistica parziale, stimolando processi motivazionali nel momento in cui cerca di rendere la didattica coerente col modo in cui i ragazzi vedono la realtà (assonanza cognitiva).
Prospettiva storica
La teoria degli sfondi integratori nasce infatti negli anni Ottanta, in concomitanza di una serie di cambiamenti, all’interno del panorama scolastico, che hanno rivoluzionato il modo in cui veniva visto il curricolo.
I fondatori della didattica per sfondi (Canevaro, Zanelli), docenti di pedagogia sociale all’Alma Mater di Bologna, credevano in effetti che il primo “sfondo” integratore” utile ai discenti fosse proprio il contenitore scolastico tour-court: “Quando si parla di sfondo integratore, si parla in primo luogo di uno sfondo istituzionale (particolare organizzazione contestuale di spazi, tempi, mediazioni, regole di comunicazione) che favorisca l’autonoma organizzazione, da parte del bambino, delle proprie strategie di costruzione del mondo, favorendo l’automotivazione e il vissuto di connessione spazio-temporale”.
Sfondi integratori odierni
Oggi, lavorare per sfondi integratori significa pensare ad un project work che includa tutte le discipline – un po’ come succede per gli esami di fine ciclo – con un unico grande tema comune.
Questo può essere un film, una fiaba, una nazione, un racconto: può essere qualsiasi cosa, in definitiva, che
- riesca a tenere insieme tutte le materie in maniera coerente;
- abbia come scopo ultimo degli obiettivi metodologici e didattici chiari e concisi, e soprattutto raggiungibili dalla classe;
- preveda tempi e spazi di esecuzione del project work adeguati alle risorse e al personale di cui dispone l’istituto.
Lavorare per sfondi integratori oggi, dunque, prevede un solo grande dogma: inserire ciò che per in discenti non è noto e famigliare in un contesto dove si trovino a proprio agio, perché possano avvicinarsi senza remore e dissonanze cognitive alla materia.