Didattica e tecnologie: ‘riconfigurare’ il docente di letteratura [INTERVISTA]
Se il dibattito sul nesso tra letteratura, tecnologia e didattica appare ancora acerbo in sede accademica, la seconda edizione, dopo sei ristampe, di Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 12 Euro), oltre a dimostrare la maggiore ricettività del mercato editoriale, rivela l’attenzione crescente del mondo docente verso questo argomento. L’agile volumetto scritto da Simone Giusti pullula, infatti, di soluzioni operative per rendere la didattica della letteratura valida alleata delle competenze digitali ed esplora le possibilità di una vera e propria ‘riconfigurazione’ del docente di letteratura nella scuola secondaria.
Per focalizzare meglio la cornice teorica e il nuovo ecosistema comunicativo in cui tali proposte si muovono, abbiamo rivolto alcune domande all’Autore, palesandogli i nostri dubbi sull’ineluttabilità di un destino di frammentarietà che toccherebbe tanto alla fruizione dei testi letterari quanto all’azione del docente intento a mediarli.
Educare con la letteratura nella tecnologia e progettare l’educazione letteraria tecnologicamente, tertium non datur… Perché non continuare a lasciare all’educazione letteraria il suo statuto di campo specialistico del sapere, in cui si acquisiscono linguaggi e metodi specifici filtrati da secoli di tradizione, lasciando ad altre figure (media educator, giornalisti, comunicatori…) il compito di porre stimoli di natura diversa (fan fiction, podcast…), come già avviene grazie ai numerosi progetti che arricchiscono i PTOF delle scuole e con cui gli studenti sono ormai anche in grado di interagire autonomamente?
“Il mio impegno è volto ad ampliare e rafforzare il ruolo del docente di lingua e letteratura, e della scuola in generale, per cui ritengo importante sforzarsi di essere sempre più efficaci, con gli strumenti messi a disposizione dalla propria disciplina, nel far conseguire agli alunni i risultati di apprendimento previsti dalla normativa. Se le competenze digitali vengono certificate dai docenti del consiglio di classe, non vedo perché debbano essere sviluppate senza il loro contributo. Inoltre, come cerco di dimostrare nella prima parte del libro, le tecnologie digitali sono oggetto specifico di interesse degli studi letterari e hanno avuto una parte molto importante nella letteratura degli ultimi decenni”.
Le Indicazioni Nazionali per il primo ciclo e per i licei, da lei citate più volte, sono molto democratiche nel distribuire equamente il ‘peso’ dell’educazione alle competenze digitali tra i docenti di tutte le discipline, invece lei sembra andare nella direzione di un accentramento verso l’insegnante di lettere. Non crede che negli anni questo si tradurrebbe in un azzeramento, o quasi, delle sue competenze disciplinari?
“Le norme affidano precise responsabilità al docente di lingua e di letteratura italiana, che nel caso specifico delle competenze digitali, sono assai superiori a quelle dei docenti di altre discipline. Io mi limito a cercare di riempire di significato questa responsabilità, che ritengo giustificata dalla tradizione degli studi letterari, da sempre attenti al rapporto tra “materiale” e “immaginario”, alla dimensione materiale della scrittura e della trasmissione delle informazioni e, anche, ai problemi della ricezione e dell’interpretazione dei testi. Il nostro rapporto con le tecnologie non è un problema esclusivamente ingegneristico o computazionale, anzi è fondamentalmente una questione critica, ovvero filologica ed ermeneutica”.
Le ho posto questa obiezioni perché nel suo libro allude sempre a docenti di lettere plusformati, estremamente competenti sia dal punto di vista disciplinare sia dei nuovi linguaggi (e tutti li vorremmo così sia per i nostri figli sia, retrospettivamente, per noi stessi). Ma come saranno i docenti di lettere del futuro, se si saranno formati in una scuola secondaria che fa della twitteratura e della fanfiction gli strumenti quotidiani di fruizione e di analisi di Manzoni, di Virgilio o di Shakespeare, e in una università che si sarà certamente allineata a quegli scopi?
“Io ho smesso da tempo di desiderare docenti adeguatamente formati dal punto di vista didattico: adesso è venuto il momento di pretenderli. Io esigo che i docenti del futuro siano capaci da subito – dopo un percorso di formazione professionale e di tirocinio nella scuola secondaria – di compiere scelte didattiche consapevoli, con e senza le tecnologie. Esigo, inoltre, che siano in grado di lavorare con gli strumenti della loro disciplina al servizio dei risultati di apprendimento che il Parlamento ha legittimamente scelto per gli studenti della scuola pubblica. E mi auguro anche, per venire alla seconda parte della domanda, che durante il loro percorso scolastico abbiano avuto occasione di diventare dei lettori e scrittori migliori di quelli che riusciamo a formare adesso, e delle persone dalla mentalità più democratica, aperta e disponibile al cambiamento di tante persone che sono uscite dalla scuola del passato. Non dimentichiamoci che l’illetteratismo diffuso, la scarsa capacità critica, l’insuccesso scolastico, sono tutti fenomeni strettamente correlati a una scuola del passato che non vorrei continuare a replicare. Quanto ai docenti del futuro, ho già scritto nel libro che non sono in grado di immaginarli. L’unica cosa certa è che useranno le tecnologie digitali per leggere, per scrivere e per comunicare”.
I corsi universitari per i docenti di lettere ‘produttori e mediatori di contenuti’ dovranno, nella sua visione, contemplare percorsi molto eterogenei, in cui l’informatica umanistica prenderà probabilmente il posto della filologia romanza del passato, per intenderci. Non si correrà poi il rischio di sapere molto bene il ‘come’ si va ad insegnare, ma non altrettanto doverosamente il ‘cosa’?
“La filologia romanza si avvale da tempo degli strumenti dell’informatica umanistica, e personalmente credo che un rafforzamento delle discipline filologiche nel curricolo sarebbe di sicuro giovamento. Anche perché, come sottolineo nel mio libro, occorre rafforzare la capacità dei docenti e degli studenti di stare sui testi accettando lo sforzo necessario alla loro comprensione e condividendo la fatica e i risultati con il gruppo.
Infine, non vedo all’orizzonte un conflitto tra il “cosa” e il “come”: mi accontenterei che la riflessione sul “come” si estendesse a tutto il corpo docente, nessuno escluso, perché finora ha riguardato e interessato solo un’élite. Come insegnare – con e senza le tecnologie – deve essere un problema di ciascuno, e ciascuno deve essere in grado di fornire soluzioni e di partecipare attivamente al dibattito”.
Concordo certamente con lei sul fatto che un docente di qualsiasi disciplina, e non solo di lettere, non possa prescindere dalla conoscenza di risorse tecnologiche importanti quali banche dati, piattaforme digitali per la fruizione e la condivisione dei materiali, ma qualcuno si sognerebbe mai di dire, o si è già sognato di dire, che un docente di matematica o di fisica deve essere anche un esperto di Content Managment System?
“Il docente di lettere, in quanto persona che ha a che fare per scelta con la lettura e con la scrittura, con l’interpretazione e con la trasmissione delle opere, è già un Content Manager. Pensiamo a quanti laureati in lettere e in filosofia hanno contribuito alla crescita dell’industria dei contenuti nel nostro Paese, lavorando alla direzione di collane, alla redazione di libri e poi allo sviluppo di siti, alla scrittura per il web e al social media management. Io sono il primo a candidarmi, tra i miei colleghi, al ruolo di gestore e sviluppatore di contenuti per i miei studenti e per le mie classi”.
Questa visione dell’educazione letteraria avrebbe ricadute dirette e molto pesanti sull’insegnamento delle lingue classiche. Cosa pensa a riguardo? La prego sempre di immaginare i docenti di latino e greco di domani, non quelli di oggi che possono contemperare vecchio e nuovo in una sintesi spesso molto armoniosa.
“Già da tempo i classicisti – tra cui il grande Maurizio Bettini, autore di un libro che merita di essere citato, A che servono i Greci e i Romani – si sono posti il problema di come sia possibile mantenere viva la presenza dei classici nella società attuale, grazie al contributo attivo dei nuovi cittadini, gli studenti di oggi e di domani. Siamo appena agli inizi di un cambiamento che credo debba essere affrontato dagli esperti di quelle discipline, che io seguo con grande attenzione e con fiducia. In Didattica della letteratura 2.0 ricorro alle parole di un altro grande filologo, lo spagnolo Francisco Rico, il quale dice onestamente di essere il primo ad aver completamente cambiato il proprio stile di vita e anche il proprio approccio alla lettura e alla scrittura grazie alle tecnologie digitali. Ora si tratta di ripensare la didattica tenendo conto della necessità di creare connessioni tra la vita degli studenti e le opere della letteratura”.
Simone Giusti, insegnante e formatore e ricercatore indipendente, è autore di studi letterari e di manuali per la scuola e per l’università. Tra le sue ultime pubblicazioni: Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher 2018), La scuola è politica (Effequ, 2019).