Didattica a distanza, turpiloqui e offese da parte degli studenti. Chi è responsabile? Culpa in educando

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La didattica a distanza è una grande opportunità di crescita per tutto il sistema scolastico. Purtroppo questa piazza virtuale può diventare un palcoscenico per rappresentare un certo mondo giovanile fatto di turpiloquio e offese. In questo caso la giurisprudenza mette a fuoco le responsabilità del ragazzo e soprattutto quelle dei genitori (“Culpa in educando”).

La didattica a distanza un’occasione di crescita, ma anche un “palcoscenico”

La didattica a distanza è una grande opportunità di crescita professionale e formativa. Ne è coinvolto tutto il sistema scolastico. L’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus ha imposto al sistema scolastico un modus operandi mediato dal digitale. Adottando il modus pensandi resiliente, è possibile affermare che in qualunque crisi si nascondono sempre risvolti positivi.  Nel caso specifico questo si declina nella certezza che, conclusa  l’emergenza,  non potrà essere ignorato il bagaglio di esperienze maturato con la didattica a distanza.

Questa modalità operativa è un “palcoscenico virtuale”, fortunatamente circoscritto, dove alcuni ragazzi possono iniziare o continuare ad esibire il  turpiloquio, a offendere… certificando l’esistenza di un loro mondo incoerente rispetto alla convivenza civile.

“Scuola 24”, la sezione del “IlSole24ore” dedicata alla scuola e alla formazione registra la seguente situazione: “È successo in alcune scuole della provincia di Milano che denunciano un uso scorretto delle piattaforme digitali, utilizzate dagli insegnanti in questi giorni per garantire la continuità didattica. In alcuni casi gli studenti hanno condiviso i link per partecipare alle lezioni con altri utenti, che hanno prontamente ricoperto di insulti e bestemmie il professore di turno. Impossibile continuare la didattica, tanto che i dirigenti hanno dovuto avvisare il Miur.In altri casi le lezioni online sono state registrare e condivise su WhatsApp in gruppi di studenti, ancora una volta per offendere, denigrare, condividere espressioni blasfeme.”

Quali le conseguenze per i ragazzi?

La notizia conferma la convinzione che nel Web tutto è permesso! Spesso questi “nativi digitali”, condizione ben diversa dai “saggi digitali”(M. Prensky), sono persuasi di essere invisibili. Questa condizione viene associata a quella dell’anonimato, dimostrando in questo modo un’inadeguata formazione tecnica. Nel Web non si può rimanere invisibili, in quanto l’Ip pubblico assegnato dal nostro Provider (ISP) per la navigazione ci rende rintracciabili, anche se questo identificativo viene nascosto (VPN, Tor…).

Fatta questa premessa torniamo al tema.
Cosa può fare un docente? La tecnologia 2.0 consente di bannare (eliminare) i messaggi e i profili degli accreditati.

Fatto questo si può e si deve procedere a denunciare l’evento al proprio Dirigente Scolastico. Lo prevede l’art. 361 del Codice penale “Il pubblico ufficiale , il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria, o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni , è punito con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro.”

La giurisprudenza viene in aiuto al docente. Il riferimento è la sentenza (15367/14) che ovviamente tratta di un caso avvenuto in un luogo fisico. Ma quello che conta è l’atto non la condizione. Si legge: “le ingiurie furono pronunciate nei locali scolastici, in modo tale da essere percepite da più persone; inoltre l’insegnante di scuola media è pubblico ufficiale (Sez. 3, n. 12419 del 06/02/2008, Zinoni, Rv. 239839) e l’esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri con i genitori degli allievi “.

Il 9 agosto 2019 è stato convertito in legge con alcune modifiche il Decreto n°53 del 14 giugno, recante disposizioni relative all’ordine alla sicurezza. Si legge “Art. 341 -bis (Oltraggio a pubblico ufficiale) . – Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato

Il discrimine è la soglia dei quattordici anni

Nel nostro ordinamento giuridico vige il criterio di imputabilità. Il discrimine è rappresentato dall’età di quattordici anni. Il riferimento è l’art.97 del codice penale che recita: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere”  Ne discende che secondo la giurisprudenza, il quattordicenne, pur rimanendo minorenne, abbia raggiunto un certo grado di maturità psichica tale da permettergli di ” rendersi conto della realtà e del valore sociale delle proprie azioni – capacità di intendere – e quale attitudine ad autodeterminarsi sulla base di dati presupposti percettivi, esercitando il controllo su stimoli e reazioni – capacità di volere – Quest’ultima parte rimanda a una valutazione caso per caso. Quindi la presunzione assoluta di responsabilità decade a favore di una di contesto come appunto la maturità” (art. 85 del c.p., art. 428 del c.c.).

La grande responsabilità dei genitori

La condizione di immaturità, ovviamente a sfumature diverse, rimanda sempre a una responsabilità superiore. Mi riferisco ai genitori. Essi sono i primi responsabili educativi dei propri figli senza se e senza ma. Il principio è sancito in modo inequivocabile dalla nostra Costituzione che all’art. 30 recita: “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio” Da questo discende la “culpa in educando” “Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela che abitano con essi” (art. 2048 c.c.). Per inquadrare a 360° la responsabilità che fa capo ai genitori, occorre considerare il terzo comma del suddetto articolo che fa entrare in gioco l’educazione. Si legge: “Per liberarsi da responsabilità per il fatto compiuto dal figlio minore i genitori devono provare di non aver potuto impedire il fatto, dimostrando di avergli impartito un’educazione adeguata a prevenire comportamenti illeciti, in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere, all’indole e alla personalità del minore”.

E’ indubbio il ruolo preminente della famiglia nel processo educativo.

Spesso si sente “x è educato“, oppure “y è maleducato”. Entrambe le espressioni rimandano a uno sfondo impalpabile, ma presente e condizionante il comportamento che chiamiamo educazione. Spesso viene identificata con l’istruzione, riducendola di fatto a una questione scolastica. In altri casi è associata a comportamenti coerenti con norme sociali riconosciute formalmente, oppure seguite in quanto percepite come dense di significato sociale.

Indubbiamente l’educazione è questo, ma anche altro. La famiglia è “la culla primaria” di natura sociale del processo educativo. Qui iniziano a definirsi sfondi valori, conoscenze; prendono forma emozioni, affetti e comportamenti sociali; l’indifferenziato diventa io/noi, attraverso innanzitutto l’interazione con i genitori.

L’esposizione sintetica di questo scenario evolutivo che vede sempre in primo piano la famiglia, anche quando entrano in gioco altri soggetti o istituzioni, giustifica la chiamata in causa dei genitori, come primi responsabili dell’educazione dei figli.

I comportamenti hanno un ruolo importante nel processo di dis-velamento di questo sfondo che permea l’esistenza umana.  Spesso sono supportati dal linguaggio, anche quando diventa turpiloquio, rimandando a un mondo interiore del ragazzo che i genitori hanno in buona parte determinato. Scrivevano rispettivamente il filosofo analitico L. Wittgenstein e M. Heidegger “I confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo”,”Il linguaggio è la casa della verità dell’essere”. 

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