Didattica a distanza, Turi (UIL): docenti la fanno già per responsabilità e professionalità. No diktat autoritari o burocrazia
“Già abbiamo la dittatura del virus. Più di quella non possiamo accettare”. E’ sarcastico Pino Turi, segretario generale della Uil scuola.
Il comunicato congiunto con il quale dieci dirigenti scolastici hanno attaccato molto pesantemente i sindacati – “vi dovete vergognare”, “lasciateci lavorare, la scuola non è dei sindacati”, questo il tono usato –, sindacati rei secondo i dirigenti di avere chiesto il ritiro della Nota ministeriale sulla didattica a distanza, emanata il 17 marzo scorso perché da loro considerata illegittima, non è passato inosservato. “Io sono convinto che in questa emergenza non occorra alzare il tono della polemica – osserva Turi – ma non si può chiedere di stare zitti, perché saremmo complici degli errori che si commettono e quella Nota è sbagliata e illegittima. E il fatto che un certo numero di dirigenti scolatici si scagli contro il sindacato, che ha dimostrato anche in questa circostanza disponibilità e responsabilità, non lo fa sulla base di un elemento di merito, ma per un pregiudizio ideologico”. Peraltro, prosegue Turi, “questa esperienza ci sta dimostrando che la formazione non dev’essere obbligatoria ma dev’essere avvertita come un bisogno”.
Intanto anche l’associazione nazionale presisdi (Anp) prende posizione: “Sorprende – scrive l’Anp – che sindacalisti esperti e navigati non si rendano conto che ci si muove fuori dal contesto tradizionale e che le regole del tempo di emergenza non possono essere le stesse dei tempi ordinari. Ma è poi contestabile l’assunto stesso da cui ci si muove: che si tratti di organizzazione del lavoro. No, qui si tratta della natura del lavoro, dei suoi obiettivi e dei suoi metodi. Qui è scontato che le lezioni non riprenderanno di fatto e, nella migliore delle ipotesi, prima di Pasqua: e sono in molti a pensare, magari senza dirlo, che più probabilmente si va a maggio o che forse, per quest’anno, le lezioni in classe sono pure finite. Di fronte a un tale scenario, che rischia di compromettere – con l’anno scolastico – anche il futuro di un’intera generazione di giovani, cosa ci sa dire il sindacato? Fermi tutti, dovete discuterne con noi! Tanto varrebbe aprire una vertenza con il virus in persona, che ha sconvolto unilateralmente l’organizzazione di tutto il mondo del lavoro senza confrontarsi con i sindacati”.
Ma Turi non ci sta. “Questo è un grande Paese – manda a dire – perché ha superato le difficoltà che abbiamo vissuto, quelle del terrorismo e dei vari disastri, con la democrazia e la partecipazione, con la legislazione ordinaria e mai con leggi speciali. Che un certo numero di dirigenti scolatici si scagli contro il sindacato, che ha dimostrato anche in questa circostanza disponibilità e responsabilità, non lo fa sulla base di un elemento di merito, ma per un pregiudizio ideologico. Aver chiesto di ritirare una circolare illegittima e, aggiungiamo, inattuabile è proprio per non disperdere un patrimonio che si stava costruendo senza alcun obbligo e sulla base di scelte professionali di supporto alla comunità educante. Con quella circolare, che secondo noi – ripetiamo – va ritirata, si rischia di burocratizzare quello slancio sincero che i docenti di tutta l’Italia hanno messo in pratica, senza nessun obbligo se non quello morale e professionale di mantenere il rapporto con i propri alunni. Voler irreggimentare, costringere e profilare, sino ad annientarne le prerogative professionali dei docenti, con la registrazione di presenze, voti verifiche, ed ogni altra procedura di cui molti dirigenti scolastici sono saldi detentori, è ciò che con determinazione cercheremo di evitare. Qual senso responsabilità dovremmo pensare di trovare in chi vuole approfittare di situazioni di difficoltà del Paese, nelle quali va trovata l’unità possibile, mentre invece si prova a negare i diritti sindacali e in maggiore ragione quelli di natura costituzionale? Speriamo che non sia una chiamata ad un’ennesima guerra di religione, simile purtroppo a quella che ha caratterizzato l’approvazione della legge 107”.
Segretario Pino Turi, una protesta così esplicita dei dirigenti scolastici contro il sindacato su un tema delicato come la didattica non può non aver lasciato il segno.
“Ogni intromissione crea ansia, nemico di una buona scuola, sia in presenza che a distanza. Quando vedo un documento scritto da dieci dirigenti che ti dicono che non devi pensare ma devi fare quel che ti dicono altri, ecco, quella è una caserma. I docenti sono abituati a ragionare con la loro testa. Hanno amore per la propria professione e non devono essere obbligati a fare gli impiegati. Non si può accettare che si dica lavora e sta’ zitto. Noi abbiamo bisogno di una scuola comunità in cui la democrazia e la partecipazione sono indispensabili. La scuola, che è la palestra della democrazia, non può essere gestita con autorità perché insegneremmo ai ragazzi un modello di Paese che non ci appartiene e che invece la Costituzione ci ha consegnato in un modo da cui non possiamo derogare. Anzi vanno rinforzate le sedi di garanzia della libertà di insegnamento e di pensiero che in un Paese democratico sono un elemento fondante”.
Che cosa vuole chiedere a quei dirigenti, in una chiave costruttiva?
“A loro chiedo di ripensarci. Che almeno venga loro il dubbio che abbiano detto cose non sensate. La scuola non è una fabbrica o una caserma ma un luogo dove si deve svolgere il proprio pensiero. E questa fobia per i sindacati non la capisco. Sono sindacati che vogliono confrontarsi, il ministero non vuol sentire le critiche. Questo non è positivo perché porterebbe i suoi modelli che potrebbero essere belli o non belli, ci dev’essere condivisione, confronto. Nel confronto magari potrebbero anche convincermi che hanno ragione”.
La protesta contro i sindacati arriva soprattutto da scuole dove tutto funziona dal primo giorno di chiusura delle scuole, in Lombardia, eravamo in febbraio. Come si fa a dire che abbiano sbagliato, loro, a garantire la didattica a distanza fin da subito ai propri studenti? Guardi che ci sono luoghi dove non è ancora partito nulla.
“Che ci sia un’avanguardia che lo faccia nessuno può dir loro che non lo debbano fare ma non si deve criminalizzare le altre situazioni è sbagliato. Abbiamo ottomila scuole e non sono ottomila scuole tutte uguali. Non si può pensare questo, abbiamo fatto l’autonomia. Non bisogna frenare chi fa tanto, ma neanche si può criminalizzare chi non fa perché non ha potuto fare. Non si può pensare che tutti devono fare quello che fa una scuola che magari ha la fortuna di avere i mezzi. La scuola deve dare a tutti le pari opportunità. Si consideri che secondo il Rapporto Dataroom di Milena Gabanelli, 11 milioni di persone non hanno la connessione e molte volte le famiglie vengono pure
colpevolizzate del fatto che non riescono a connettersi”.
Il fatto, gravissimo, che tanti alunni non abbiano una connessione che garantisca l’uso snello delle tecnologie giustifica un’eventuale decisione di non fare nulla per nessuno?
“Non si dice questo. Però gli studenti esclusi devono essere recuprati. La scuola, insisto, deve garantire le pari opportunità se no ha fallito”
Non solo dirigenti. Anche alcuni docenti vi hanno accusati di veterosindacalismo.
“Ognuno dice la propria. La domanda che farei a questi dirigenti di queste scuole all’avanguardai è se questa efficienza è stata realizzata al di fuori delle norme oppure ha trovato il consenso dei sindacati visto che dice di lasciar perdere i sindacati. Le norme non sono state interrotte neppure durante il terrorismo. Dalle dittature non si esce mai meglio. Si esce peggio.
Cosa vuol chiedere a questo punto alla ministra dell’Istruzione?
“Le chiediamo di dotarsi di un piano per chiudere quest’anno scolastico e di avviare il prossimo. Noi proponiamo un concorso straordinario per soli titoli per mettere in cattedra le persone a settembre. È disponibile? Questo appello con cui lei si è rivolta a un milione di persone invece che alle parti sindacali non mi è piaciuto. Evidentemente viene da un movimento che non riconosce i corpi intermedi. Ma se non si coinvolgono i corpi intermedi la democrazia va in corto circuito. Stiamo parlando di un sindacato responsabile che ha dimostrato con due governi e tre ministri di esserlo. Qualcuno si ponga qualche dubbio. Ma di solito chi fa queste guerre di religione come la Legge 107, con modelli che non appartengono alla nostra idea – l’idea liberista non ci appartiene – non segue interessi strategici del Paese ma si ispira a modelli che non ci appartengono. Ci accorgiamo solo ora – per esempio – dei problemi e delle carenze della sanità? Della polemica su sanità pubblica, sanità privata, concorrenza, risparmio, fannulloni, furbetti? Alla fine la ruota gira e la memoria degli italiani dovrebbe essere più lunga”.