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Didattica a distanza e DSA: una proposta operativa e alcuni consigli utili

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La nota 388 del 17 marzo 2020 del ministero dell’istruzione, meglio del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, avente come oggetto “Emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus.

Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza” fornisce interessanti spunti di riflessione sulla didattica a distanza e sull’attenzione che bisogna sia riservata a tutti gli alunni, nessuno escludendo da questo nuovo viaggio nella FaD e nella DaD. È scritto nella nota “La didattica a distanza, in queste difficili settimane, ha avuto e ha due significati. Da un lato, sollecita l’intera comunità educante, nel novero delle responsabilità professionali e, prima ancora, etiche di ciascuno, a continuare a perseguire il compito sociale e formativo del “fare scuola”, ma “non a scuola” e del fare, per l’appunto, “comunità”. Mantenere viva la comunità di classe, di scuola e il senso di appartenenza, combatte il rischio di isolamento e di demotivazione. (…) Dall’altro lato, è essenziale non interrompere il percorso di apprendimento. (…) Ma è anche essenziale fare in modo che ogni studente sia coinvolto in attività significative dal punto di vista dell’apprendimento, cogliendo l’occasione del tempo a disposizione e delle diverse opportunità (lettura di libri, visione di film, ascolto di musica, visione di documentari scientifici…) soprattutto se guidati dagli insegnanti”. La scuola così declinata diventa efficace colla sociale e lo diviene, ancora di più, anche in questo momento storico, quello del COVID-19, in cui, possiamo dire, “spazialmente” non si è più vicini. La nota ministeriale dà un racconto della didattica a distanza rimarcando la straordinaria azione di progettazione delle attività di didattica a distanza che, recita la nota, “come ogni attività didattica, per essere tali, prevedono la costruzione ragionata e guidata del sapere attraverso un’interazione tra docenti e alunni”.

La nota elenca diverse azioni possibili:

  • la connessione diretta o indiretta, immediata o differita, con videoconferenze, videolezioni o anche utilizzando le chat di gruppo;
  • il trasferimento ragionato di materiali didattici, con il caricamento degli stessi su piattaforme digitali;
  • l’utilizzo dei registri di classe nella molteplicità delle loro funzioni di comunicazione e di sostegno alla didattica, con consecutivo riadattamento e confronto operato direttamente o indirettamente con l’insegnante;
  • la reciprocità su sistemi e su delle app interattivi educative davvero digitali.

Gli studenti con DSA

La nota ministeriale invita in maniera perentoria che è necessario porre attenzione agli studenti con DSA. Recita, infatti, che “occorre dedicare, nella progettazione e nella realizzazione delle attività a distanza, particolare attenzione nel rispetto dei piani didattici personalizzati stilati. La strumentazione tecnologica, con cui tali studenti hanno, di solito, già dimestichezza, rappresenta un elemento utile di facilitazione per la mediazione dei contenuti proposti. Occorre rammentare la necessità, anche nella didattica a distanza, di prevedere l’utilizzo di strumenti compensativi e dispensativi, i quali possono consistere, a puro titolo esemplificativo e non esaustivo, nell’utilizzo di software di sintesi vocale che trasformino compiti di lettura in compiti di ascolto, libri o vocabolari digitali, mappe concettuali”.

Anche se, inutile nasconderlo, le difficoltà che incontrano ci sono e, talvolta, sono rilevanti. Difficoltà che, condividendo l’analisi del prof. Rivoltella e dell’AID ma anche al prof. Crispiani, attengono al “Tempo”, ma anche al “Carico cognitivo”, al rapporto, che diventa intimo e talvolta saldo, di uguaglianza tra “Studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento = alunni-tecnologici”, all’“Organizzazione”, alla “Personalizzazione” e, non meno importante e non meno rilevante, alla “Valutazione”. Sì proprio le difficoltà che nell’articolo “Didattica a distanza: opportunità e limiti”, a cura di Maria Enrica Bianchi, Alessandra Landini, e Cristina Fabbri, pubblicato sul sito dell’Associazione Italiana Dislessia, vengono analizzate. Le numerose difficoltà. Fattore importantissimo se si ritiene che “l’analisi delle difficoltà e delle criticità sono un indice delle direzioni che necessitano di venir percorse per giungere ad un apprendimento significativo, anche gli aspetti facili e/o piacevoli vanno sottolineati, perché sono la misura del livello di soddisfazione nei confronti dell’attività loro proposta” come ritengono in “La costruzione collaborativa di conoscenza con Wikipedia: le percezioni degli studenti di un corso di laurea magistrale”, Corrado Petrucco, Clara Ferranti, Lorenza Da Re. Difficoltà condivise, prioritariamente dal prof. Pier Cesare Rivoltella e l’AID Associazione Italiana Dislessia che ha condiviso parecchie delle posizioni dell’illustre docente. Scrive Rivoltella in collaborazione con Simona Ferrari, Giuseppina Rita Mangione,

Alessia Rosa in “Fare coding per emanciparsi” che “l’aspetto mediaeducativo incontra quello emancipatorio: nell’attività di coding si possono rintracciare i caratteri di quella che Luca Toschi chiama “comunicazione generativa” contrapponendola alla “società sceneggiata”. D’altronde Toschi affermava che Educare e formare i giovani a una cultura di progetto che aspiri a creare un mondo nuovo non è, non sarà facile perché comporta una rivoluzione durissima sul fronte della comunicazione formativa e degli assetti economici e politici. Ma è indispensabile, per sperare di avere e di dare un futuro, assumere questa prospettiva, la quale necessita di uno stravolgimento degli attuali equilibri nel rapporto fra testi e grammatiche e quindi nell’area degli script di cui qui tanto si ragiona, delle sceneggiature che, affiancandola, indirizzano la nostra operatività” (Toschi, 2011).

Il tempo che “contemporaneamente cambia i modi con cui le esperienze del non formale e dell’informale possono entrare nei contesti formali, creando ponti una volta impensabili che trasformano il tempo scuola in uno spazio per riflettere sul mondo e sulle esperienze” come scrive Pier Giuseppe Rossi in “Dall’uso del digitale nella didattica alla didattica digitale”. L’elemento tempo, vuoi anche per le difficoltà di alcuni docenti a slegarsi dalla fisicità della classe, continua ad esistere, ma con l’aggravamento che l’alunno ha difficoltà ad interagire con l’insegnante. Utile sarebbe, ad esempio, registrare le lezioni da postare o da inoltrare anche via WhatsApp. Ciò faciliterebbe di molto l’ascolto della lezione.

Poi, il carico cognitivo dovuto ad un errata interpretazione che i docenti fanno, talvolta coscientemente, della didattica a distanza intesa, da loro, erroneamente, come mera assegnazione, talvolta vergognosamente esagerata, di pagine da studiare. Gli studenti con DSA sfacchinano a gestire, autonomamente, una tale spropositata mole di argomenti nuovi e per di più sono costretti a confrontarsi con una realtà assolutamente nuova.

Il rapporto Studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento = alunni tecnologici ci impone una riflessione sull’asserzione del ministero secondo il quale i bambini e i ragazzi con DSA avrebbero una certa confidenza (la circolare parla, quasi a ricalcare la cosa, di dimestichezza) con la tecnologia. Da intendersi, questa, come “abilità nel trattare con aspetti sia umani che tecnologici, in quanto la dimensione umana (definizione dei requisiti, interfacce utente, formazione ecc.) è essenziale per il successo di qualunque sistema informatico” come affermano in “Una ricerca esplorativa sul coding. E la valutazione del pensiero Computazionale” Michele Baldassarre, Imma Brunetti, Maria Brunetti. Questo rapporto assolutamente presunto guerreggia con una realtà diversa, caratterizzata dalla gravità del disturbo e da mille altre difficoltà. Poi abbiamo da considerare il fattore organizzazione che come affermano Pierpaolo Limone, Davide Parmigiani nell’”Introduzione” al volume “Modelli pedagogici e pratiche didattiche per la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti (a cura di Pierpaolo Limone e Davide Parmigiani “le tecnologie e il cambiamento nei processi di conoscenza”, presenta nove articoli focalizzati sul ruolo che le tecnologie digitali hanno nei cambiamenti didattici e di organizzazione dell’ambiente di apprendimento”. Non meno importante è il fattore relativo alla personalizzazione nella considerazione che è proprio “la messa a sistema di queste rilevazioni ha contributo a definire lo sviluppo a livello micro di alcune variazioni funzionali a risolvere diversi aspetti, come ad esempio una maggiore personalizzazione del percorso (Cattaneo, 2004) e l’integrazione di attività per potenziare competenze metacognitive legate all’uso degli strumenti digitali nella didattica” come scrivono Andrea Garavaglia e Livia Petti in “Riprogettazione del setting del laboratorio di tecnologie didattiche per la formazione iniziale degli insegnanti”. Il team docenti (Consiglio di classe, Equipe pedagogico, per la Primaria, le insegnanti delle Intersezioni all’Infanzia) dovrebbe prevedere materiali semplificati, usare un lessico più semplice, tempi più distesi e una “personalizzare” del processo di insegnamento-apprendimento. Non trascurabile, infine, la questione attinente alla selezione e valutazione. Perché non dimentichiamoci che “alla selezione di contenuti comuni e condivisi, rispetto ai quali possono essere costruiti percorsi di integrazione” devono contribuire tutti i docenti, nessuno escluso, anche al tempo del Coronavirus come ribadito da Francesca Chiusaroli in “La scrittura in emoji per l’educazione linguistica e interculturale”. E, d’altronde, “lo sviluppo delle loro competenze digitali, in particolare di quelle relative alla selezione e valutazione delle informazioni e delle fonti online” risultano, infatti, fondamentali come affermano Corrado Petrucco, Clara Ferranti, Lorenza Da Re in “La costruzione collaborativa di conoscenza con Wikipedia: le percezioni degli studenti di un corso di laurea magistrale”. La Nota 279/2020 recita “se è vero che deve realizzarsi attività didattica a distanza, perché diversamente verrebbe meno la ragione sociale della scuola stessa, come costituzionalmente prevista, è altrettanto necessario che si proceda ad attività di valutazione costanti, secondo i principi di tempestività e trasparenza che, ai sensi della normativa vigente, ma più ancora del buon senso didattico, debbono informare qualsiasi attività di valutazione”. Continua il documento: “Se l’alunno non è subito informato che ha sbagliato, cosa ha sbagliato e perché ha sbagliato, la valutazione si trasforma in un rito sanzionatorio, che nulla ha a che fare con la didattica, qualsiasi sia la forma nella quale è esercitata. Ma la valutazione ha sempre anche un ruolo di valorizzazione, di indicazione di procedere con approfondimenti, con recuperi, consolidamenti, ricerche, in un’ottica di personalizzazione che responsabilizza gli allievi, a maggior ragione in una situazione come questa”. In realtà è innaturale lasciare gli alunni senza il feedback ma, ancora di più, fare della valutazione una forma di intollerabile condizione di subordinazione tecnologica al docente con l’unica mission concentrata sulla mole infinita di consegne.

Anche se lo studente ha il diritto, specie nella scuola secondaria superiore, sapere se sta progredendo e cosa, eventualmente fare, per migliorare, sempre se questo sia il prioritario impegno della scuola al tempo del Coronavirus. La Nota aggiunge: “Si tratta di affermare il dovere alla valutazione da parte del docente, come competenza propria del profilo professionale, e il diritto alla valutazione dello studente, come elemento indispensabile di verifica dell’attività svolta, di restituzione, di chiarimento, di individuazione delle eventuali lacune, all’interno dei criteri stabiliti da ogni autonomia scolastica, ma assicurando la necessaria flessibilità.” La valutazione come “valorizzazione”, dunque.

Nel ragazzo o nel bambino con DSA, nel rispetto del PDP, la valutazione deve ritrovare la sua valenza collegiale. La sfida deve tenere presente che per gli studenti con DSA molti aspetti della Didattica a Distanza possono divenire occasioni pregiate di potenziamento delle abilità o ulteriori criticità che inficiano il loro processo formativo.

Cosa cambia e cosa serve

Come è a tutti noto, anche se si ritorna a parlare del fenomeno in occasione di epocali sconvolgimenti della scuola e della società, il tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento implica che si presti attenzione ad un numero crescente di alunni delle nostre scuole. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi che quotidianamente affrontano con grande determinazione e forza, ma contestualmente con grande sforzo, non solo fisico, purtroppo, il complicato impegno dello studio. Impegna padri e madri attenti, particolarmente attenti, ai bisogni dei figli; madri e padri che ogni giorno si impegnano a sorreggerli nel difficile percorso di crescita finalizzato all’acquisizione di una piena e duratura autonomia. Ma, contestualmente, interessa tutte le scuole con docenti che operano giornalmente per assicurare la crescita formativa ed educativa di alunni che chiedono specifiche competenze e attenzioni e che mostrano personali bisogni educativi.

Queste “fatiche” rappresentano, dunque, un’impellenza educativa che chiede grandi impegni pedagogici e enormi sforzi didattici dal momento che se le nostre scuole sono molto frequentate da studenti bravi, capaci, e principalmente sereni, la società di domani sarà formata e caratterizzata da cittadini brillanti, capaci e sereni. Per questi motivi, forti anche di questo momento storico che, di fatto, sta fornendo a questi alunni un surplus di energie digitali e tecnologiche, che impongono ai docenti, in primis, un cambiamento di rotta e alle scuole progettualità e iniziative mirate a supporto di nuovi e rinnovati processi di apprendimento scolastico.

Oggi, abbiamo la certezza e la rilevanza scientifica, che l’innovazione è indispensabile per i bambini e i ragazzi con DSA e che questi si può attuare. Nonostante tutto e nonostante la precarietà del momento drammatico, per l’Italia e per il mondo, abbiamo a disposizione ogni mezzo tecnico e le necessarie risorse pedagogiche e didattiche per coordinare e assicurare il benessere di tutti quegli studenti e di ciascuna delle studentesse che necessitano di un bisogno educativo speciale.

Questa attenzione a tutti e a ciascuno, fortemente sentita dal ministero e dal ministro e che, con forza inaudita, trova normazione sia nei DPCM, nelle circolari e nei decreti-legge, diventa ancora più cogente nei confronti degli alunni con bisogni educativi speciali. Tanto da diventare un impegno, serio, e in favore di tutti, anche nella ri-progettazione. È strano a dirlo ma è così, in effetti, che l’innovazione scolastica transiti anche attraverso i bisogni speciali di singoli studenti.

L’innovazione didattica legata al rendere gli apprendimenti personalizzati e calibrati su tutti, all’uso positivo delle tecnologie per la didattica, all’uso dell’informatica come strumento in grado di potenziare le proprie intelligenze, all’attenzione dei tempi di sviluppo degli studenti, si stia alla fine collocando autoritariamente anche in virtù degli alunni e delle alunne con DSA.

Ma quali abilità effettivamente sottostanno al metodo di studio? E quali strumenti tecnologici e quale metodologia didattica sarebbe necessario utilizzare?

Strumenti tecnologici e metodologia didattica

Fino ad adesso, con grande disapprovazione di molti, l’utilizzare o, meglio, far utilizzare gli strumenti compensativi all’allievo con DSA per studiare e fare i compiti è risultato, per molti, un’azione infeconda e sovente inutile se non completata da una formazione metodologica particolarmente efficace. Vuoi anche il fatto che per i più l’esercizio e la manualità non devono mai, davvero mai, abbandonare il soggetto con disturbo specifico dell’apprendimento. Così come capita, chiaramente, per ogni strumento che si adopera a scuola, soprattutto quando questo è tecnologico, è indispensabile prendere coscienza e applicare un metodo d’uso per rendere possibile l’osservazione dell’efficacia e della validità della risorsa. Senza un uso valutativo, conscio e, uniamo a ciò, creativo, della tecnologia, senza un appressamento di tipo sia strategico che metodologico, il rischio di inutilità della dotazione di tipo tecnologica è davvero molto alto e significativo, effetto che sovente causa aggiuntive delusioni, malori, calo della motivazione e principalmente, calo dell’autostima.

Una proposta operativa

Presentiamo, quindi, di seguito una proposta didattica incentrata sulla formazione ad un metodo di studio funzionale, con l’obiettivo di sviluppare una competenza di studio che accompagni il nostro alunno all’autonomia. Si deve far leva sulle risorse cognitive dei nostri studenti con un percorso che li porti ad avere cognizione delle strategie (metacognizione) che dipendono alle abilità di studio, adoperando in maniera critica e consapevole gli strumenti didattici e compensativi informatici.

Le mappe concettuali anche digitali

Nel lavoro con bambini e ragazzi con DSA le mappe concettuali sono uno strumento prezioso in quanto assicurano l’organizzazione dei dati attraverso l’utilizzo di poco testo (e l’utilizzo di efficaci parole chiave), l’uso di strategie di tipo associativo (tipo le forme, i coloro o le immagini) o di connessioni logiche tra i concetti che, per natura, definiremo, chiave (frecce) e l’adopero dello spazio di un solo foglio per ricondurre contenuti anche articolati. È importantissimo che sia direttamente lo studente a realizzare la sua mappa concettuale altrimenti non potrebbe esserci apprendimento indicativo, perché è proprio il processo di realizzazione della mappa che concepisce apprendimento.

Tecnologie digitali, DSA e Didattica a Distanza

È necessario, dunque, in questo momento particolare dare ai nostri alunni con DSA delle certezze e per farlo, al di là delle note ministeriali o dei DPCM, necessita che sia stabilito e poi scandito un percorso didattico che possa essere da guida all’insegnante nel percorso finalizzato a far acquisire ai propri alunni, innanzitutto, le abilità per un’autonoma analisi del testo scritto e per una rielaborazione autonoma dei contenuti.

E per far ciò è indispensabile che si abbia l’umiltà e la formazione professionale adeguata per porsi una domanda chiave: come fa lo studente a scegliere i dati rilevanti (quelle che noi chiamiamo parole chiave) e, quindi, a partire da ciò, ad elaborare in maniera autonoma, anche originale, potremmo dire, una sintesi dei contenuti proposti dal testo adottato dall’insegnante? Ciò prima di ogni altra cosa, e non solo nel ciclo di base, ma in ogni ordine e grado dell’istruzione e del percorso formativo del nostro alunno.

Ma quali sono i passaggi chiave da seguire e far percorrere per la rielaborazione delle informazioni raccontando, per ogni passaggio, un’attività didattica specifica.

Innanzitutto, lo studio di un testo scritto: il percorso di analisi e di rielaborazione delle informazioni.

Leggere prima di leggere

Il primo passaggio che solitamente fa la persona che studia un testo scritto è quello di afferrare il libro e cominciare a leggerlo. Siamo certi che però, quello compiuto, non è il passaggio più funzionale, principalmente in relazione agli alunni con un DSA.

Infatti, iniziare dalla lettura diviene un “partire dalle difficoltà dello studente” ed è per questo che diventa alto, didatticamente non sostenibile, il rischio di danneggiare ogni cosa.

Leggere prima ancora di iniziare a leggere (e non è una battura e neppure un gioco linguistico) è, di contro, un passaggio importantissimo. Ciò vuol dire fare un’analisi del testo ottenendo il massimo rendimento dagli indici testuali. Per indici testuali intendiamo quei segmenti del testo agevolmente accessibili pure al “pessimo lettore”. Più esattamente. • schemi, tabelle e grafici; • parole scritte in grassetto; • immagini; • linea del tempo; • cartine geografiche e storiche; • titolo; • sottotitoli; fotografie e relative didascalie; • ovvero e più esattamente tutti quei principi che sono facilmente osservabili e non richiedono del dispositivo di transcodifica. Un’analisi di questo tipo risulta quanto mai preziosa e utile soprattutto per: • rinforzare l’abilità di predizione utile per una lettura più precisa; • ridurre la quantità di informazioni lette permettendo allo studente di concentrarsi sulla comprensione e su abilità metacognitive; • diminuire l’ansia da prestazione, molto frequente nello studente che inizia un’attività di studio da un’operazione per lui difficile e complicata; • recuperare le pre-conoscenze; • muoversi da un’abilità operando sulla capacità di inferenza; • far sperimentare allo studente un’attività di successo inerente l’analisi del contenuto della pagina.

Cosa serve

Gli alunni in difficoltà di apprendimento hanno bisogno di avere rinvii specifici su punti di forza e di debolezza del loro studio. Per far ciò non sono sufficienti quiz o test a scelta multipla, o un’interrogazione on line col supporto della mappa. Ciò che bisognerebbe favorire sono i brevi test di autovalutazione e le discussioni dei risultati con rapide sessioni on line. Potremmo concludere nel ribadire il ruolo determinante che hanno i docenti che, in questo momento di incontrollabile epidemia, sono chiamati a rivedere (talvolta intervenendo sugli strumenti e sulle attività, oltre che sulla metodologia), la progettazione, prediligendo con cura le micro-abilità da raggiungere e quelle competenze chiave che è necessario implementare ulteriormente, avendo considerazione del nuovo ambito di apprendimento, sia esso FaD che DaD.

La sfida

La sfida non può che considerare e ritenere prioritari gli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento. Essa impone di riconsiderare parecchi aspetti della DaD che hanno la possibilità di divenire opportunità preziosa per potenziare le abilità e considerare con accuratezza le criticità che incidono sul processo formativo e su quello educativo. E nella chiosa finale vale la pena sposare, nei principi, le speranze e gli auspici dell’AID Italia espressi nella riflessione contenuta nella nota “Didattica a distanza: opportunità e limiti” che fa da quadro alle molteplici considerazioni di studiosi e operatori del settore, tra cui, tra gli altri Pier Cesare Rivoltella, presidente del CREMIT. Condividiamo, dunque, il pensiero dell’associazione AID secondo il quale, parafrasando la chiosa di una loro riflessione, sta alla scuola italiana cogliere tale necessità nella consapevolezza che un approccio digitale e multimodale esige una graduale e attenta ri-progettazione in un’ottica di effettiva inclusione per ciascuno nella scuola di tutti. Consapevolezza che diventa ancor più rilevante se, come afferma Pier Cesare Rivoltella in “Fare coding per emanciparsi” “lo sviluppo delle competenze digitali intese come competenze trasversali che permettano agli studenti di risolvere problemi aperti, concretizzare le idee, acquisire autonomia di giudizio, pensiero creativo, consapevolezza delle proprie capacità, duttilità e flessibilità nella ricerca di soluzioni”. Beh, diciamo il prof. Rivoltella ha davvero ragione, qualsiasi sia l’alunno che con la quale operiamo, nella scuola di tutti e di ciascuno, le competenze digitali davvero permettono lo sviluppo di un pensiero creativo e una sana e duratura consapevolezza delle proprie capacità.

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