David Szalay, “Turbolenza”. Un libro sull’esperienza dell’esistere commissionato dalla BBC e adatto a studenti di quinta superiore
Pubblicato dalla casa editrice milanese, Adelphi, “Turbolenza” arriva due anni dopo il romanzo “Tutto quello che è un uomo” del 2018 per il quale Szalay, nato nel ’74 a Montreal, è stato finalista del Man Booker Prize.
Dodici racconti, commissionati in origine dalla BBC per essere letti in radio, i cui protagonisti, accomunati dall’uso dell’aereo, si passano la staffetta del senso delle loro esistenze.
Dodici vite sospese nel vuoto, perché l’aria, al pari della libertà di scelta, non offre appigli sicuri.
Racconti snelli, veloci, una scrittura asciutta, aggettivazione minimale, estrema attenzione al paesaggio urbano e moti interiori dei personaggi delineati con sicura maestria, puntuali e profondi, caratterizzano lo stile dello scrittore.
L’impressione ricavata dalla lettura è la medesima che ha il viaggiatore in aereo: lo spazio diventa indeterminato, pulviscolare. La vita stessa pertanto diventa un non luogo, nell’accezione offerta da Marc Augé che definisce tali quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici.
Nel primo racconto, una donna anziana trascorre un mese nell’appartamento londinese del figlio al quale hanno diagnosticato un cancro alla prostata. Giunta l’ora di tornare a Madrid, si imbarca sull’aereo che, a causa di una violenta turbolenza, la farà svenire.
“Ciò che odiava anche della turbolenza più lieve era il modo in cui poneva fine all’illusione di sicurezza, il modo in cui rendeva impossibile fingere di trovarsi in un luogo protetto”.
Accanto alla signora, un arabo di mezza età, in procinto di tornare a Dakar, a casa. Ad aspettarlo in aeroporto, il suo autista Mohammed di cui sapremo nel raccontino successivo e così via.
Un filo, trasparente proprio come l’aria, lega i personaggi che compongono la galleria di Szalay.
Se l’angoscia è il metronomo dell’adolescenza, l’adultità è attraversata dall’inquietudine che nasce dall’interrogarsi sul senso delle nostre azioni, sulla loro vacuità, sull’oblio al quale, per la maggior parte, sono destinate.
L’unica figura che scommette sulla vita è quella di una ventenne ungherese che si innamora di un profugo siriano. È una silhouette incastrata tra padre malato e madre assente, eppure è l’unica a nutrire quella sana follia che sa restituire un significato autentico a tante, troppe vite sospese.
Mi sia consentito suggerirne la lettura a studenti di una classe quinta di scuola superiore, per via del fatto che la cornice offerta dal racconto tende per sua natura a rarefare i contenuti e a richiedere al lettore un’adeguata comprensione delle inferenze.
Sarebbe interessante lavorare, oltre che sull’analisi del testo in senso lato, sul concetto di “informazione implicita ed esplicita”, partendo dall’analisi di uno dei raccontini, ponendo l’accento sulla questione della brevità che ingenera fraintendimenti che i nostri alunni già sperimentano, per via dell’uso massivo delle applicazioni di messaggistica istantanea.
I romanzi recensiti sono stati offerti dalla Libreria Cortina di Milano