Dario Fabbri e la laurea mancante: equiparare la competenza con il conseguimento di un titolo di studio è giusto?
Il dibattito sulla competenza professionale e il conseguimento di titoli di studio è tornato prepotentemente alla ribalta con il caso di Dario Fabbri, noto esperto di geopolitica, recentemente al centro delle attenzioni mediatiche per la sua mancanza di una laurea.
La questione è stata innescata da un post dell’economista Riccardo Puglisi sui social, il quale ha sollevato dubbi sul background accademico di Fabbri, suscitando una variegata gamma di reazioni dal pubblico.
Fabbri si è poi chiarito in un’intervista a Dissipatio, rivelando di aver intrapreso il percorso di studi in Scienze Politiche presso la Luiss, ma di aver deciso di abbandonare il corso all’ultimo anno. La sua scelta è stata dettata dal desiderio di concentrarsi esclusivamente sulla geopolitica, esplorando con un approccio autodidatta gli eventi globali e la storia dei popoli, ambiti che, secondo lui, non erano adeguatamente trattati nel curriculum universitario.
Il percorso di autodidatta intrapreso da Fabbri rappresenta, certamente, una strada meno convenzionale, che lo ha portato a collaborare con personalità di spicco nel campo della geopolitica e a dirigere la rivista Domino (di cui è direttore editoriale, mentre il direttore responsabile è Enrico Mentana).
Tuttavia, la sua mancanza di un titolo accademico ha aperto un dialogo più ampio sul valore e l’importanza che la società attribuisce ai titoli di studio rispetto alla competenza effettiva. Il punto focale della discussione sembra ruotare intorno all’idea che la validazione accademica sia un requisito indispensabile per essere considerati esperti in un determinato campo.
Questo caso mette in luce un cortocircuito culturale: l’equiparazione della competenza al conseguimento di un titolo di studio. Sulla vicenda è nata una lunga discussione (finita anche con un servizio su Le Iene), con una domanda finale che merita un appropriato approfondimento: la competenza può essere acquisita attraverso percorsi diversi e talvolta più personalizzati, che non passano attraverso i banchi di una scuola o di un’università?