Dalle “goccie”, al “qual’è”: riparte la stagione della caccia all’errore. Sono ancora attuali le 10 tesi del gruppo GISCEL?

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Con settembre e i primi test d’ingresso tornano a fare capolino tra i fogli di scuola le prime ‘goccie’ e i primi ‘qual’è’, destinati a soccombere presto sotto l’inesorabile scure della matita rossa e blé. È anche il tempo in cui nelle sale prof si intavolano interminabili discussioni sulla maggiore o minore esecrabilità di un errore lessicale rispetto a uno strafalcione ortografico, o sull’inammissibilità di quei fantasiosi costrutti a cui sia il parlato sia la prosa giornalistica ci hanno ormai resi sempre più avvezzi. Per non parlare della punteggiatura, altro capitolo-feticcio della grammatica capace di offuscare le giornate dei colleghi più solari.

In concomitanza con la riapertura di questa vera e propria stagione di caccia all’errore, sarebbe però bello se ci ricordassimo che le competenze linguistiche di ogni ragazzo, di ogni persona, non dovrebbero essere considerate solo e unicamente come un’entità misurabile, su cui agire quasi alla stregua di un prodotto industriale, o su cui dare giudizi di valore a cuor leggero.

Esse sono una parte sostanziale dell’identità e della storia dei loro portatori, il risultato di quello che hanno vissuto, delle loro letture inadeguate o del tutto assenti, del tempo trascorso davanti ai social anziché in compagnia di qualcuno in grado di orientarne amorevolmente gusti e consumi culturali.

D’altro canto, anche l’intransigenza a volte quasi ossessiva verso le devianze ortografiche tipica della nostra tradizione scolastica possiamo interpretarla non più solo come eredità dell’immane sforzo neo-unitario a trasformare finalmente l’Italia in “una d’arte, di lingua, d’altare / di memorie, di sangue, di cor”, ma piuttosto come sintomo del profondo disorientamento che ha generato nella scuola la separazione tra lingua e letteratura, con la conseguente frammentazione dell’ora di italiano in una costellazione di attività irrelate tra loro: antologia, grammatica, narrativa, epica, letteratura, laboratorio di scrittura, persino, talvolta, addestramento ai test Invalsi, come ben documenta Anna Angelucci nel saggio Le “due educazioni”: insegnare lingua e letteratura a scuola (Giovanni Fioriti Editore, 2022).

Come curare, allora, questi due malesseri, quello degli studenti da un lato e quello degli insegnanti dall’altro? L’insegnamento dell’italiano può cogliere questa sfida? Le 10 tesi per l’educazione linguistica democratica del gruppo GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) hanno forse, a tal proposito, ancora qualcosa da dire.

Più di quarant’anni fa esse denunciavano in modo molto chiaro i limiti della pedagogia linguistica tradizionale, promuovendo la visione di una lingua dinamica, in continua evoluzione perché frutto dell’adattamento alle esigenze comunicative delle persone e ai mutamenti sociali e culturali dei vari contesti.

La loro rilettura potrebbe darci ancora oggi notevoli spunti per trasformare l’ora di italiano in un’occasione per riflettere sul fatto che le eccezioni linguistiche sono quasi sempre il residuo di norme più antiche, che ciò che oggi può sembrare un imperdonabile errore, domani potrebbe essere una forma utilizzata e accettata da tutti, lasciando così tempo prezioso all’analisi e alla discussione su tutte quelle forme e quegli stili comunicativi che diventano strumento di odio, mistificazione o plagio.

Insomma, uno stimolo a rivedere abitudini e cliché consolidati per rifondare un’educazione veramente rispettosa delle diverse varietà linguistiche e delle competenze comunicative di tutti i parlanti, compresi gli studenti, naturalmente.

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