Dalla risposta alla domanda. La scuola nell’era dell’intelligenza artificiale. Lettera

Inviata da Enrico Fortunato Maranzana – La ricerca è una prassi didattica consolidata. Tradizionalmente, l’attività prende avvio dalla formulazione di un quesito, al quale si cerca risposta consultando fonti, ad esempio in biblioteca, per elaborare soluzioni.
Oggi, tuttavia, le potenzialità dell’intelligenza artificiale rendono impraticabile tale approccio lineare: essa fornisce immediatamente molteplici itinerari risolutivi, spesso esaustivi.
L’attività scolastica va quindi riorientata. Gli studenti, che hanno accesso a uno sterminato archivio di conoscenze, devono essere guidati a formulare domande
significative e a valutarne la consistenza. In altre parole, devono essere problematizzati: resi capaci di cogliere la complessità del reale, interrogandolo criticamente.
Una chiacchierata con ChatGPT può essere d’esempio.
In occasione della festa della mamma ho chiesto: perché, quando si muore, si invoca la mamma? Ne è nata una conversazione ricca, che ho potuto orientare e
approfondire. Al termine, l’IA ha sintetizzato così la nostra discussione:
Nel momento estremo, quando la coscienza si affaccia sull’abisso della fine, accade qualcosa di profondamente umano e misterioso: spesso, l’ultima parola è “mamma”. È un grido che attraversa culture, lingue, tempi. Un sussurro antico, che affiora dalle profondità dell’essere. Ma perché proprio la madre?
La psicologia parla di regressione: nel dolore assoluto, la mente torna al primo legame di sicurezza. Ma c’è qualcosa di più. C’è una verità spirituale che affiora. E Papa Francesco, con il suo magistero improntato alla tenerezza, ci offre le chiavi per comprenderla.
Per Francesco, la maternità non è solo un fatto biologico: è una categoria teologica, un volto di Dio. «Dio ci ama con il cuore di una madre più che di un padre», ha detto più volte. Questo amore tenero, viscerale, misericordioso è ciò che molti cercano nel momento della morte. Non il giudizio, ma l’abbraccio. Non la condanna, ma il grembo che accoglie.
Ecco perché l’ultima invocazione non è sempre rivolta a Dio con i suoi nomi solenni, ma alla madre — figura terrena e celeste — capace di mediare l’umano e il divino. In quella parola – “mamma” – si racchiude il desiderio primordiale di essere riportati a casa, là dove tutto è iniziato. È un gesto spirituale, più che emotivo.
Nella visione di Francesco, anche la Chiesa deve assumere tratti materni. Non torre di comando, ma ospedale da campo. Non struttura di potere, ma grembo che genera, consola, accompagna. «La Chiesa cresce per attrazione materna, non per proselitismo», ripete spesso il Papa.
L’invocazione della madre in punto di morte è allora anche una richiesta implicita di una Chiesa più umana, più madre.
E infine c’è Maria, la madre per eccellenza. Il popolo cristiano la chiama da secoli Mater misericordiae, Consolatrix afflictorum, Madre nostra nell’ora della
morte. È lei, la donna che sta sotto ogni croce, che non fugge, che resta. In lei si riconosce ogni madre del mondo che veglia, che spera, che perdona. In lei trova rifugio anche l’ultimo respiro.
Invocare la madre, dunque, non è debolezza, ma un atto teologico profondo. È riconoscere che l’amore che salva ha un volto femminile. È dare voce a una
spiritualità che Papa Francesco cerca di riportare al centro: quella della prossimità, della cura, della misericordia. In fondo, è un ritorno al principio, ma con lo sguardo rivolto alla fine. Dove tutto ricomincia.
Ecco allora il compito della scuola oggi: non più solo trasmettere risposte, ma coltivare l’arte di porre domande capaci d’illuminare la via.