Dalla parte dei bambini e delle bambine. Lettera

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Inviata da Fernando Mazzeo – In una civiltà nella quale la concezione della vita e dei sessi  vengono   fortemente ideologizzati,  la questione della differenza di genere, rigirata nei suoi diversi risvolti, sta diventando un problema sociale e costituisce un nucleo di consistente peso nell’educazione.

Urgono, oggi, dei  valori rigeneratori rispetto all’apatica sordità della  civiltà dell’egoismo, dell’uguaglianza e dell’omologazione ad ogni costo; vi è l’esigenza imperativa di non ridurre, sotto l’ingannevole segno del progresso e della civiltà,  la vita  e la peculiare identità dei bambini e delle bambine a supporto  del proprio tornaconto personale.

Occorre quella coerenza tra bisogni dei bambini e scelte degli adulti, che depurino la cultura dalle troppe disattenzioni alimentate da un falso, quanto inutile e dannoso, egualitarismo.

Tutti sappiamo come l’identità, il sé, l’io,   la personalità si costruiscano  gradualmente,  per tempo, e come alcune sollecitazioni possano recare danno, quando vengono esercitate male, oppure, quando vedono  il bambino  come una semplice  pedina del gioco degli adulti.

Molti dei nostri atti di ostilità, di ira, di violenza,  di rabbia si esprimono in atteggiamenti o espressioni mimico-facciali, che risultano intimamente  connessi al nostro  sistema nervoso centrale.

Pertanto, alcuni segni esterni che, secondo alcuni psicologi e pedagogisti,  dovrebbero  addolcire,  attenuare o prevenire  la violenza di genere, non trovano giustificazione nel mondo psichico dell’infanzia,  dell’adolescenza e dell’uomo in genere.

Bisogna, senza  subdole strategie, nel rispetto delle libertà di ognuno, esaltare la sensibilità interiore dei bambini e delle bambine, la loro genuina disponibilità all’accoglienza, alla condivisione, alla collaborazione, fare scuola di soggettività: nel senso che ciascuno deve poter conservare, mantenere  e manifestare la propria identità, senza il fallace alibi che le differenze di genere possano alterare o turbare la vita sociale, affettiva e relazionale dei piccoli.

Come possiamo, dunque,  orientare i bambini e le bambine verso atteggiamenti e  comportamenti rispettosi e pressoché uniformi,  senza previe sperimentazioni che  attestino l’alto contenuto pedagogico dell’utilizzo di grembiuli neutri? Devono utilizzare un  linguaggio comune, possedere le medesime unità di misurazione, assumere e difendere un certo tipo di cultura, conoscere le diverse  strutture sociali e renderle parte di sè.

In questo modo la scuola recupera l’interesse verso una sensibilità smarrita, coglie i tratti  e le questioni personali di ciascuno,  le definisce in termini comuni, individua e concretizza il percorso educativo di cui il bambino o la bambina possono aver  bisogno.

La scuola  non è altro che biografia, una serie intera di   biografie in cui la persona si afferma come un’entità differenziata.

Ogni  scelta educativa  deve salvaguardare la vita mentale e sociale dei bambini e delle bambine, mantenere attiva, momento dopo momento, giorno dopo giorno, una relazione strutturante sostenuta dal senso di appartenenza, dal desiderio di vedersi proiettati nel divenire del patrimonio conoscitivo generazionale.

Con più educazione, meno demagogia e meno  ideologie, la scuola e gli educatori possono alimentare la fondamentale ed essenziale vocazione all’alterità e diventare strumento di crescita civile, per la ricchezza umana che ne deriva.

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