Dalla Lombardia alla Sicilia, stesso lavoro, ma diverso stipendio? I rischi della scuola regionalizzata. Lo Svimez lancia l’allarme: “Conseguenze disastrose”

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L’autonomia differenziata, tema caldo del dibattito politico, promette di ridisegnare il volto dell’Italia, ma a quale prezzo? L’analisi de La Repubblica mette in luce i potenziali rischi di una scuola sempre più frammentata, con disparità crescenti tra Nord e Sud, centro e periferia.

Uno degli aspetti più controversi riguarda la possibilità di stipendi regionali per i docenti. L’ipotesi di retribuzioni più alte al Nord rispetto al Sud, come evidenziato dal caso Veneto-Calabria, preoccupa sindacati ed esperti. Luca Bianchi, direttore di Svimez, sottolinea il pericolo di un ritorno alle gabbie salariali, con conseguenze disastrose per l’unità del sistema scolastico.

Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara rassicura: i Lep della scuola rimarranno nazionali e garantiranno standard minimi uniformi. Ma come verranno finanziati? La riforma, a costo zero, potrebbe rivelarsi un boomerang, con difficoltà nel garantire investimenti adeguati alle regioni per raggiungere gli standard prefissati.

Squilibri territoriali

L’autonomia differenziata rischia di amplificare le disuguaglianze già esistenti tra le diverse aree del Paese. Un bambino di Napoli, ad esempio, frequenta in media un anno di scuola in meno rispetto a un coetaneo di Milano, spesso senza mensa e tempo pieno. La regionalizzazione potrebbe acuire questo divario, creando scuole a diverse velocità e compromettendo l’accesso universale all’istruzione.

Il ruolo delle regioni e la gestione delle risorse

Con l’autonomia, le regioni acquisirebbero maggiore potere nella gestione della scuola. Ma quali saranno le conseguenze? Gianfranco Viesti, economista dell’Università di Bari, solleva interrogativi sul futuro dei concorsi e sulla mobilità dei docenti. Inoltre, la trattativa in corso tra governo e regioni, con una riforma che mette all’angolo il Parlamento, alimenta dubbi e incertezze.

Un futuro incerto

L’autonomia differenziata potrebbe portare a un sistema scolastico a 20 velocità, con programmi piegati alle esigenze locali e rischi per l’unità culturale del Paese. La preside Lucia Bonaffino lancia un monito: “Bisognerà vigilare sull’equità. Altrimenti gli altri correranno, noi arrancheremo”. Un futuro incerto si profila all’orizzonte, con la scuola chiamata ad affrontare sfide cruciali per garantire un’istruzione equa e di qualità per tutti.

Cosa prevede la legge sull’autonomia differenziata

Il 28 giugno 2024 è entrata in vigore la legge sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. La proposta, fortemente voluta dal ministro Calderoli, mira a trasferire maggiori poteri decisionali e gestionali alle Regioni in ambiti chiave come istruzione, sanità, trasporti ed energia.

  • Maggiori poteri alle Regioni: le Regioni potranno richiedere di gestire autonomamente 23 materie, tra cui alcune cruciali come l’istruzione e la sanità.
  • Livelli Essenziali di Prestazione (LEP): per garantire servizi uniformi su tutto il territorio nazionale, saranno stabiliti standard minimi (LEP) che le Regioni dovranno rispettare.
  • Invarianza Finanziaria: la riforma non comporterà nuovi oneri per lo Stato, ma le Regioni dovranno finanziare le nuove competenze con le risorse attuali.

La legge prevede un iter complesso, che coinvolge sia il Governo che il Parlamento, per l’approvazione delle richieste di autonomia da parte delle Regioni. Fondamentale sarà la definizione dei LEP, che avverrà tramite decreti legislativi.

TESTO in GAZZETTA UFFICIALE

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