Dad…aaan! Fine anno scolastico in era Covid. Lettera

Inviata da Silvia Gozzi – Dad..aaan! Mamme, papà, nonni, zii, tutori, insegnanti…La fine di quest’anno scolastico a dir poco surreale è arrivata.
L’abbiamo attesa, ce la siamo conquistata come dei marines in esercitazione, con l’elmetto sulla testa e il mouse tra i denti, con la rete che “ma perché salta sempre quando devo collegarmi?”, con lo smart working che di agile aveva solo il poter stare in mutande al computer, agghindandoci solo nella parte superiore: dei mezzi busti davvero agghiaccianti, visti dal di fuori.
Con quei compiti, con quella DAD che ci ha demoliti.
La DAD…ennesimo acronimo di una scuola piena di sigle. Fatemi parlare un attimo di questa Didattica a distanza, oggi che è finito l’anno scolastico.
Io sono una maestra, ma sono anche e soprattutto una mamma: mai, anzi, MAI come quest’anno la combinazione dei due aspetti è risultata micidiale, micidiale e rivelatrice.
Da subito volevo esserci, per i miei alunni. Volevo, poi dovevo.
Ma come?
In che modo la scuola poteva essere presente, a distanza, senza complicare ulteriormente le vite funamboliche delle famiglie all’epoca del Covid-19? Come coniugare il dovere di una scuola, che pur si doveva fare, con quelle famiglie, di tutti i tipi? Famiglie diverse, di ogni forma, colore, dimensione, provenienza, disponibilità economica, bagaglio culturale, mezzi tecnologici. Famiglie che, improvvisamente, dovevano gestire h24 i bambini, in un mondo che assomigliava sempre più a un film apocalittico, dove uscire a fare la spesa sembrava la missione su Marte, improvvisando anche postazioni di smart working, con nuovi micidiali orari di lavoro, tra chi perdeva il lavoro e i cari. Famiglie che dovevano per lo più imparare a
usare nuove tecnologie, sconosciute anche per me; installare triccheballache, barcamenandosi tra una video lezione, infinite chat, compiti da scaricare, fare, fotografare, ricaricare, guardare, commentare e “…limortaccituastovirus: io voglio che mio figlio vada a scuola, io voglio che sia la maestra a fare queste cose, non ci sto più dietro, sto impazzendo!”, il sugo sul fornello e la solita connessione che salta quando serve.
Ve lo giuro, ho scelto di essere maestra IN classe, non youtuber, non insegnante da lontano, non esperta di problemi di connessione, programmi, password, apri il microfono, chiudi il microfono, ti vedo a testa in giù, appoggia il gatto, saluta il cane, “salve signora come va lì in
casa? Ora dovremmo iniziare ma se vuole assistere alla lezione sulle moltiplicazioni in colonna, ben venga!”
… Io proprio non sapevo come fare, per esserci NEL MODO e NEI TEMPI giusti.
Che tanto poi si sa, certe volte, come ti muovi, pesti una…ecco! Ci siamo capiti. Nessuno me lo aveva spiegato, perché nessuno nasce preparato per le emergenze. Così anche le famiglie…Nessuno sapeva.
Ma tutti si aspettavano qualcosa. Qualcuno di più, qualcuno di meno,
qualcuno…desaparecido. Alcuni più esperti, altri in alto mare, totalmente alla deriva in un oceano, affannati su piccole scialuppe d’emergenza, che facevano acqua da ogni parte. Ma si metteva una toppa.
Poi, come spesso accade quando gli esseri umani si concedono un po’ di tregua e un po’ di tempo per assestarsi, abbiamo trovato dentro noi stessi, celate e inutilizzate, grandiose risorse. Così io, così tutti.
E ci siamo arrivati, in fondo, con qualche capello bianco in più e qualche neurone in meno, perché non so i vostri, ma i miei credo che in parte si siano bruciati tra un link alla piattaforma e un pdf generato e non creato dalla stessa sostanza di word. Siamo esseri umani, più o meno propensi al cambiamento. Questo ci è stato imposto.
Potevamo scegliere di fare così, o niente.
Da maestra di scuola primaria posso affermare con grande serenità che la didattica a distanza è stata fallimentare.
Una didattica mediata da uno schermo e fatta di lavoro casalingo solitario non funziona con i bambini del primo ciclo d’istruzione.
Ha funzionato per i “bravi”? Sì, forse sì, forse qualcosa hanno imparato.
Ha funzionato per i bimbi con più difficoltà? Sì, forse sì, forse qualcosa hanno imparato.
Ma non perché c’ero io a fare le mie lezioni a distanza…Perché c’era sempre, SEMPRE qualcuno lì con loro, che si è dovuto improvvisare insegnante, diventando il massimo esperto dei Sumeri, delle proprietà dell’acqua, delle tabelline, dei solidi, dell’analisi grammaticale, del papiro egiziano, delle linee miste-intrecciate-chiuse-sghiribizzate-aiuto chiedol’aiutodelpubblico!
A questi improvvisati maestri va tutta la mia stima e comprensione.
Insegnanti sono diventate le famiglie, tra mille dubbi, stress, frustrazione, rabbia, fatica, demotivazione. Lo hanno fatto per non mandare tutto all’aria anche se so che in alcuni – tanti – momenti la tentazione sarebbe stata grande.
Il punto di tutto questo mio scrivere è uno: sappiate che davvero nessuno era felice e a suo agio in questo nuovo corso; ben pochi i sostenitori della DAD, da ambo le parti: scuola e famiglia.
Scuola e famiglia: sembrano sempre due entità contrapposte, due fazioni che si devono fare la guerra. Insegnanti e genitori, schieramenti con volontà diverse e pronte a mettersi i bastoni tra le ruote a vicenda.
Vi posso dire che non è così: a scuola lavorano donne e uomini, che sono mamme e papà, zii e nonni. Che sono famiglie.
La questione è che ognuno ha il proprio fondamentale ruolo: io, come mamma, sono una pessima maestra per mio figlio. Posso essere solo la maestra dei figli degli altri, e la mamma solo del mio bambino.
Chiaro, semplice e cristallino. Non so se rende l’idea.
In questa DAD è stato tutto scombinato, tutto confuso, tutti i confini smembrati: la scuola entrava nelle case delle famiglie attraverso uno schermo e con il lavoro da svolgere mandato su ogni possibile piattaforma web, con le mamme e i papà che poi erano anche i maestri appena lo schermo era spento…E la maestra non sapeva mai se aveva fatto troppo
o troppo poco.
Che fatica infinita, per tutti.
Una didattica senza la relazione quotidiana, senza i compagni che lavorano accanto a te, che durante l’intervallo giocano con te e litigano con te e sentono la ramanzina della maestra, non è stata un successo.
Porto con me, di positivo e buono di questa DaD, il patto di solidarietà autentico che si è creato, almeno mi auguro, tra scuola e famiglia. Perché ognuno di noi ha fatto il meglio che poteva in una situazione per la quale nessuno era pronto ed esperto.
Diamoci da soli una pacca sulla spalla e diamocela a vicenda.
Un’altra postilla positiva frutto della distanza: mi ha permesso di mettere a fuoco la scuola. A volte bisogna allontanarsi, per vedere meglio qualcosa nella sua interezza.
Allora ho guardato la scuola, come istituzione. Ne ho colto i controsensi, tutto quel suo affaccendarsi a voler essere sempre più simile a un’azienda di intrattenimento, quel complicarsi la vita da sola, quel suo voler sempre produrre sigle, documenti, progetti. Quel suo chiedere a bambini di otto anni performance di alto livello e competenze che io credo di
aver iniziato a sviluppare spontaneamente verso la prima superiore.
Il mestiere che faccio me lo sono scelta, con consapevolezza, qualche difficoltà e tutt’altro che per comodità. Me lo sono scelta immaginando che fosse bello insegnare ai bambini un po’ di cose, ma fatte bene. In modo semplice e creativo.
La scuola che vorrei nel post Covid è una scuola proprio semplice, davvero a misura di bambino e d’insegnante. Con classi un po’ meno numerose: avete visto con i vostri occhi e sentito sulla vostra pelle come insegnare non sia poi così facile, come ogni bambino sia diverso da un altro, ogni giorno diverso dall’altro, che sapere e sapere insegnare sono due
faccende diverse.
Una scuola con meno fretta e ansia da prestazione.
Una scuola dove si possa fare con le mani, osservare, riflettere, ma per davvero. Dove si imparino le basi alla scuola primaria e il resto…dopo. Per quel caro vecchio detto “ogni frutto ha la sua stagione”.
Non esigiamo dai nostri bambini competenze che io penso svilupperanno piano piano, in modo graduale, nel loro percorso di vita, dentro o fuori dalla scuola, nello sport, grazie a un interesse personale, un amico speciale, una vacanza, una domenica in montagna. Una scuola fatta anche di tempi morti, di esercizi ripetitivi e anche un po’ faticosi: per imparare che fatica e impegno esistono e vanno fronteggiati.
Una scuola dove la tecnologia c’è, ok, dove impareranno a scrivere usando un pc, a produrre e-mail, allegati, video, podcast, presentazioni…chi più ne ha più ne metta… Ma prima lasciatemi insegnare a impugnare la matita, a scrivere in modo corretto, a leggere un libro, ad annotarsi i compiti sul diario ed esserne responsabili, a disegnare con calma, a scoprire la bellezza dei colori, a provare rispetto e amore per quel luogo fisico e umano che
è la scuola.
Quello che siamo, noi adulti di oggi, un po’ lo dobbiamo anche alla scuola primaria davvero di base e dal sapore retrò che abbiamo fatto, no? Io che scrivo queste parole al computer, un po’ lo devo alla mia maestra di italiano e alle professoresse che ho incontrato, no? Loro mi hanno insegnato forse delle cose che allora ritenevo pallosissime, ma con quelle in saccoccia, poi puoi volare.
La scuola è scuola, non deve scimmiottare il mondo del lavoro o diventare un villaggio turistico con un’offerta e un piano vacanza divertente. Le viene proprio male. Sbagliamo se ci aspettiamo questo da lei.