Da sei mesi senza stipendio. Lettera

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Inviata da Elena Colpo – Gentilissimo Ministro sono una docente come tante, che ha concluso il proprio servizio con il termine delle lezioni. Ho svolto il mio lavoro con professionalità, amore, dedizione, assumendomi spesso responsabilità ben maggiori di quelle previste.

Sono entrata a scuola con il sorriso, con lo sguardo e il cuore rivolti ai miei studenti e alle mie studentesse, con la voglia di condividere questo rientro a scuola in presenza. Le fragilità, i problemi di salute, i dubbi verso il futuro, la paura della guerra così vicina, la voglia di cambiamento rispetto ad una scuola lontana da come la si vorrebbe, sono stati motivi di dibattito e di crescita per i miei discenti e me, durante l’anno scolastico che abbiamo trascorso assieme.

Eppure.

Eppure sono ben sei mesi che il mio lavoro non viene retribuito.

Lo Stato, che dovrebbe essere garante dei diritti di noi lavoratori, noi suoi dipendenti, Stato che si fonda sul lavoro come ben recita l’Articolo 1 della nostra Costituzione, ebbene, per questo Stato noi siamo gli ultimi.

Il mio stipendio, come quello di molti altri colleghi e colleghe, come quello di molti collaboratori e collaboratrici, non c’è per mancanza di fondi.

Da sei mesi. Non una settimana, non un mese, ma ben sei.

La sensazione di impotenza, le difficoltà nel portare avanti la propria quotidianità, il non sapere quando verrò pagata per un lavoro che ho già svolto, mi lasciano smarrita e affranta.

In questi ultimi mesi si è parlato delle carriere, di nuove modalità di assunzione, della formazione dei futuri insegnanti, mentre si tengono in uno stato di privazione e bisogno molti docenti, ai quali non vengono versate le retribuzioni spettanti.

Mi permetto di citare le parole di un mio grande insegnante, il Prof. Basso, che così ben spiega la situazione, non solo della sottoscritta ma di molti, moltissimi lavoratori e moltissime lavoratrici:

” In un quadro in cui il lavoro vivo non scompare, ma è semmai “liofilizzato”, ridotto all’osso dentro i contesti organizzativi più vari dall’incremento del lavoro morto, e perciò costretto alla massima produttività, ed è contrassegnato da crescente informalità e da precarizzazione strutturale, stanno affermandosi, sostiene Antunes, nuovi strumenti tecnici, organizzativi ed ideologici per estrarre pluslavoro e plusvalore dal lavoro vivo,che non risparmiano neppure le attività a più elevata qualificazione tecnica.”

(Tratto da: Addio al lavoro.Le trasformazioni e la centralità del lavoro nella globalizzazione,di Ricardo Antunes, Edizioni Ca’ Foscari, 2015)

Questo è quanto accade in questo Paese nel 2022.

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