Da precaria storica a docente immobilizzata: “Ho perso i momenti belli e brutti delle mie figlie. Sono la mamma del telefono”. La storia di Maria Josè

“Di loro, delle mie figlie, ho perso tutto ciò che adesso non riesco più a riavere. Ho perso i momenti belli e i momenti tristi. Ho perso i concerti di violino e le feste con i genitori alle quali la mamma non c’era mai, ho perso le la recite di fine anno, e poi io era la mamma del telefono…”.
È rammaricata, la maestra Maria Josè. È sconsolata al pensiero che il tempo dedicato al lavoro che ama da sempre, la scuola e l’insegnamento, quasi senza accorgersene le abbia potuto sottrarre le cose più importanti dell’esistenza. Stare vicino alla persona amata e ai propri figli quando i figli sono piccoli, quando quei figli diventano adolescenti, e quando stanno per spiccare il volo e lasciare la famiglia, come è giusto che sia.
Pensa al futuro, Maria Josè, nata in Francia da genitori siciliani emigrati a Draguignan, vicino Nizza, e arrivata in Italia che aveva 8 anni, quando i suoi decisero di tornare a Enna.
Al futuro che tanti anni orsono appariva prossimo e che invece ancora oggi minaccia prepotentemente di non arrivare mai, C’è sempre stata, dunque, una valigia dietro la porta della sua vita e, come una maledizione, questa valigia non è mai chiusa né riposta definitivamente.
Neppure ora che grazie all’assegnazione provvisoria riesce a stare un po’ di più con la sua famiglia, sebbene ogni giorno debba recarsi dal capoluogo a Piazza Armerina, “ma non è la stessa cosa che prendere un aereo quando è possibile”, commenta lei che sa che l’assegnazione provvisoria è qualcosa di effimero, che quest’anno c’è e il prossimo anno chissà.
Anche lo scorso anno aveva fatto la domanda di assegnazione a Enna, dove a quelle di figli e marito si associano le esigenze impellenti di due genitori anziani bisognosi di assistenza, una mamma colpita da carcinoma mammario e da un mieloma multiplo, dacchè le disgrazie mai vengono da sole, anche lo scorso anno ci aveva provato ma la domanda era stata respinta, a differenza dell’anno precedente, quando invece era riuscita a lasciare temporaneamente Milano, che pure l’ha accolta bene e dov’è passata di ruolo alla scuola primaria. Un mordi e fuggi, un ti do ma me lo riprendo che sfianca.
Lo sconforto e la rabbia. La maestra Maria Josè Buscemi, 50 anni, sposata da ventinove – è questo lo sconforto – è passata dalla condizione di precario storico a quella di docente immobilizzato, l’amara condizione di quanti hanno ottenuto l’ambìto ruolo con l’agognata firma di un contratto a tempo indeterminato nella scuola, appesantita dal pegno da pagare che per molti diventa obiettivamente troppo pesante. In genere si parte con la speranza, la certezza talvolta temeraria che presto si riuscirà a fare ritorno nella città di residenza della famiglia e invece i giorni e i mesi e con essi anche gli anni trascorrono impietosi tra le lacrime di notti insonni e il calore di una telefonata quotidiana che per quanto calorosa è sempre una telefonata della mamma al telefono.
La rabbia nasce invece dalla consapevolezza che le cattedre per consentire a tanti docenti di veder la fine di tanta sofferenza ci sono. Si tratta il più delle volte di insegnanti donne, mamme che hanno lasciato figlie e figli lontani da sé stesse e dal ruolo che una mamma deve svolgere per natura, insegnanti che oltre che essere mamme sono spesso anche figlie – e talvolta uniche – di mamme e di padri che hanno bisogno di cure e di assistenza che quasi sempre ricadono sulle figlie. Sulle donne. E si tratta di cattedre che per come sono strutturate le procedure burocratiche della mobilità finiscono spesso per premiare gli assegnatari della mobilità intercomunale e quelli delle supplenze annuali mettendo in secondo piano le esigenze di chi vive da anni e spesso da più di vent’anni anche a più di 1500 kilometri dalla famiglia.
Come inizia questa sua storia professionale, maestra Maria Josè Buscemi?
“Sono stata una precaria storica, avevo superato vari concorsi in precedenza sia nella scuola primaria sia nella scuola d’infanzia e come educatrice dei convitti. Passata di ruolo alla primaria nel 2014. Nel 2007 ho trasferito l’iscrizione nelle Gae a Milano sempre per la primaria, dove ho sempre lavorato sempre con incarico del provveditorato, mentre quando qui a Enna riuscire a racimolare un giorno di lavoro è spesso un miraggio. Allora presi questa decisione”.
Era già sposata?
“Sì. Mi sono così allontanata da mio marito Angelo, che lavora a Catania e dalle due figlie, Clelia Laura che ora ha 19 anni. Gabriella invece ne ha 29 ed è diventata nel frattempo ingegnere aerospaziale”.
Allora però erano piccole
“La piccolina non ha accettato il distacco, è stata una cosa drammatica. Andavo avanti e indietro ogni quindici giorni ma i costi degli aerei sono elevati è così approfittavo delle varie vacanze e dei ponti. E a fine giugno, chiuse le scuole, se ne venivano da me. Laura aveva 5 anni e mezzo, l’altra invece ne aveva 15. Lascio immaginare tutti i disagi e i traumi che questo ha causato. Le bambine sono cresciute senza di me, con i nonni e con il papà. Di loro, delle mie figlie, ho perso tutto ciò che adesso non riesco più a riavere. Ho perso i momenti belli e i momenti tristi. Ho perso i concerti di violino e le feste con i genitori a cui la mamma non c’era mai, ho perso le recite di fine anno, i colloqui con i loro professori. Non sono stata vicina per quelle confidenze che intercorrono tra una mamma e una figlia. Sì, il brutto voto, una piccola delusione nello studio, ma al telefono non è la stessa cosa che di presenza. Io ero la mamma del telefono. e poi…”. Lacrime.
E poi?
“E poi…per non dirle che cinque anni fa la piccola è svenuta a scuola. Mi hanno avvertito che stavo in classe. A Milano ho preso un aereo con urgenza per ritornare qui a Enna. La bambina ha poi subìto un intervento successivo a un altro che evidentemente non era andato bene. Era a scuola, a Enna e io ero a Milano. Non dava segni di vita, mi ha chiamata la segreteria della scuola di mia figlia, io mi sono attaccata subito al telefono e ho chiamato la segreteria della mia scuola e sono scappata. Fatto l’intervento, non potendo prendere altri giorni di permesso me la sono portata con me per qualche giorno. Devo dire che non digerisce Milano perché associa questa città al fatto che io sia andata via. Questo è uno dei motivi per cui non siamo andati a vivere a Milano”.
Sono trascorsi tanti anni
“Pensavo sempre… tra qualche annetto passo di ruolo e poi mi trasferisco a Enna, dove pure ho due genitori anziani. Avevo pensato che sarebbe stato un periodo breve e invece non è stato più cosi. Infatti una volta entrata in ruolo nel 2014, prima a causa dei tagli già operati dalla Gelmini e poi con Renzi siamo stati immobilizzati a tutti gli effetti. I tagli della Gelmini hanno colpito di più il Sud, dove il tempo pieno è inesistente, qualche scuola cerca di portarlo avanti ma lo Stato non appoggia queste iniziative. Poi arriva la Buona scuola che costringe i miei poveri colleghi ad accettare, pena il depennamento. In realtà non fu così, perché all’atto pratico non fu così. Chi aveva molti punti andò via, mentre gli altri con pochissimi punti sono rimasti qui, in Sicilia, e pur con pochi punti hanno lavorato sotto casa e poi sono stati assunti a tempo indeterminato nel comune di residenza della famiglia. Questo ha fatto sì che docenti immobilizzati come me abbiano visto un incremento degli immobilizzati perché già c’eravamo noi che non riuscivamo ad avere un trasferimento, poi si sono aggiunti gli assunti della Buona scuola che sono rimasti a propria volta immobilizzati. Da un numero esiguo che eravano, ora invece siamo tantissimi. Molti dicono che con l’assegnazione provvisoria si riesce ad avvicinarsi a casa ma le assicuro che non è così perché non è un diritto, dipende dall’organico di fatto”.
Faccia un esempio
“Lo scorso anno non me l’hanno data perché la graduatoria delle assegnazioni è uscita il 31 agosto alle dieci di sera e i posti non assegnati sono poi andati a supplenza. Tanti precari hanno invece lavorato qui, anche gente che non ha mai lavorato ha avuto un incarico annuale anche perché l’organico era aumentato per via del Covid. Quindi nel mio caso io l’ho avuto solo due anni orsono e quest’anno a Piazza Armerina. Io sono contenta di avere avuto l’assegnazione provvisoria perché mia madre ha un mieloma multiplo e un carcinoma, sono figlia unica e così riesco a seguirla. Viaggio lo stesso tra Enna e Piazza Armerina, in provincia, ma non prendo certo l’aereo, come ho fatto per anni”.
Le rimostranze dei docenti cosiddetti immobilizzati partono dalla denuncia di alcune anomalie. E’ così?
“L’anomalia sta nel fatto che non esiste una graduatoria unica nazionale per la provincia dove si vuole essere trasferiti ma si partecipa con fasi distinte. Prima viene la fase comunale, con i docenti che chiedono e ottengono di trasferirsi da un comune a un altro della stessa provincia. Solo se restano posti si passa alla fase provinciale, e se restano altri posti – e non ne restano – si procede con la fase interprovinciale, quella cioè che interessa a me e a tutti gli immobilizzati con me e ne ho conosciuto parecchi. Il problema è che al passaggio comunale partecipa anche il collega che ha solo 6 punti. E quindi non riuscirei mai a passare pur avendo tanti punti. In aggiunta, dal prossimo anno la mobilità vedrà lo spostamento solo del 25 per cento dei colleghi. Ormai è diventato un terno al lotto tornare a casa”
Non è stata mai tentata di arrendersi e di abbandonare il lavoro per tornare alla famiglia?
“Certo che ci ho pensato, ma mio marito mi ha sempre incoraggiata, dopo tanti sacrifici, del resto, che senso ha mollare tutto?”
In tanti anni fuori sede anni non avrà messo tanti soldi da parte
“No. Non ho messo da parte dei soldi, ho avuto solo tante spese”.
Che cosa chiede ora?
“Non chiedo di togliere nulla a nessuno, voglio solo il merito in base al mio punteggio. Chiedo solo che si applichi il merito e si arrivi alla graduatoria unica dove viene premiato finalmente chi ha maturato più punti”.
E’ praticabile questa via, secondo lei?
“Un insegnante che lavora in un comune vicino a quello di residenza può benissimo viaggiare per qualche anno, io sono 15 anni che faccio questa vita, e c’è gente che lo da venti”.
In quale scuola è titolare di cattedra, a Milano?
“Dal 2010 sono nell’Istituto comprensivo Rinnovata Pizzigoni, perché nel frattempo, per cercare di pensare ad altro, ho fatto dei corsi con il metodo Pizzigoni per accedere a questa scuola. E’ una scuola meravigliosa ma voglio tornare a casa perché è un mio diritto. Penso di avere fatto la gavetta. Professionalmente mi sono arricchita, ho fatto diversi corsi, ho fatto seminari, congressi e – per carità – Milano mi ha dato tanto. Però la mia famiglia mi è mancata. Il tempo che ho perso non lo recupererò più per vedere le mie figlie. Ho perso tutto di loro”.
Che cosa significa perdere tutto?
“Penso a tutti gli avvenimenti della loro vita. La preparazione alla Comunione e alla Cresima, ho perso tutto. Ho perso tutta la crescita. Mia figlia si è laureata in Ingegneria aerospaziale a Enna, ora è alla specialistica al Politecnico di Milano.
Lei torna a Enna, da Milano, e la figlia lascia Enna e parte per Milano
“È giusto che lei si faccia la sua vita.
Ne è valsa davvero la pena, professoressa Gangemi?
“E’ quello che mi chiedo io. E io non lo so. Il fatto è che non pensavo di stare tutto questo tempo lontana da casa. Quando ho preso questa decisone non pensavo di stare così tanti anni. Io mi sono trovata nel momento in cui mi hanno immobilizzata. Da precaria storica mi sono trasformata in immobilizzata, spero di non finire così. Anche i miei genitori li ho lasciati in un modo e li ritrovo in un altro. Io sono nata in Francia. Mio padre era emigrato negli anni ’50, in questa terra non c’era lavoro. Ha conosciuto mia mamma e sono nata a Draguignan, vicino a Nizza. Le valigie nella mia vita sono sempre state dietro l’angolo, sempre a portata di mano. Avevo 8 anni quando sono tornata in Italia, all’inizio la cosa non l’avevo accettata, ma mi sono inserita bene, a Enna. Poi però ho rifatto la valigia e sono ripartita. È il destino già scritto di noi siciliani”.
Quante lacrime ha versato, maestra?
“Tante”.
E quanti i periodi bui?
“Molti, anche quelli. Spesso questi periodi si presentavano al ritorno a Milano dopo le vacanze di Natale trascorse in Sicilia con i miei cari. Posso dire che ho trovato delle colleghe milanesi che mi hanno aiutata. Una volta una collega, vedendomi così mi disse (piange) ‘Non ti preoccupare, devi solo arrivare a Natale, poi tutto è in discesa’. E io questa cosa la dico sempre alle colleghe che vivono la mia stessa situazione: dopo le vacanze di Natale le giornate si allungano, poi arrivi a giugno. E a luglio sei a casa. Posso dre che non è vero che tanti firmano la presa di servizio e poi rientrano. Tanti vanno e restano perché credono nel proprio lavoro, nonostante tutti gli immani sacrifici”
C’è una cosa che l’ha fatta stare particolarmente bene in questi anni?
“Il sorriso di un bambino, di un piccolo alunno, che ti ricorda quello delle tue figlie. Ti specchi nei sorrisi e nelle crisi di questi poveri bimbi e li aiuti come se fossero i tuoi che sono in Sicilia”.
Come ha vissuto i periodi del lockdown e della Dad?
“Io nel 2020 ed ero a Centuripe, un paesino in provincia di Enna, è stata la prima volta che riuscivo ad avere l’assegnazione provvisoria. Abituata all’efficienza di Milano mi sono ritrovata di colpo senza servizi di trasporto. Sconfortante”.
Se non altro il destino presenta situazioni che fanno venire voglia di tornare a Milano…
“Qualche volta sì, succede (e stavolta sorride). Tanti disservizi mi fanno apprezzare Milano ancora di più. Ma la mia famiglia è qui. Ah, e grazie a voi di Orizzonte Scuola, che in questi anni siete stati un faro per me e per tanti come me”.