Il Cyberbullismo è diffuso in tutte le scuole ma la scuola non lo sa controllare

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Red – Il professor Davide Diamantini, docente di sociologia all’Università Milano-Bicocca e autore del libro scritto a due mani con Giulia Mura "Il cyberbullismo", edito da Guerini e Associati, è stato intervistato da Tiscali sui meccanismi che scatenano il fenomeno del cyberbullismo.

Red – Il professor Davide Diamantini, docente di sociologia all’Università Milano-Bicocca e autore del libro scritto a due mani con Giulia Mura "Il cyberbullismo", edito da Guerini e Associati, è stato intervistato da Tiscali sui meccanismi che scatenano il fenomeno del cyberbullismo.

La prima domanda rivoltagli riguarda le differenze col bullismo tradizionale:“Il bullismo tradizionale, che è stato molto rappresentato anche dal cinema e dalla letteratura, prevede una figura di bullo molto riconoscibile anche fisicamente. Il più esposto è sempre il più ingenuo ma nel cyberbullismo non è facile riconosce il prevaricatore dal perseguitato. In alcuni casi la vittima diventa tale in modo preterintenzionale. È il caso, ad esempio, di uno scherzo che di per sé può essere innocuo ma poi per un gioco di specchi in Rete diventa un rumore assordante che rende impossibile la vita del soggetto. Questo perché la comunicazione on line ha una caratteristica virale che enfatizzata gli effetti anche in una presa in giro. Ma una delle peculiarità è che la vittima può diventare bullo a sua volta. Anzi, stando ai nostri studi, la possibilità che chi ha subito un torto diventi bullo a sua volta è del 60%.”

 
Parlando dei casi più diffusi dice:“Si va da email, commenti o sms offensivi, alla pubblicazione di conversazioni private e foto imbarazzanti. Nella maggior parte dei casi sono atti intenzionali, nel senso che io voglio intenzionalmente offendere la persona, ma spesso le conseguenze sono molto più negative di quanto immaginato. Altro caso abbastanza diffuso è quello della foto-scherzo: si prende l’immagine di una persona e si fa un fotomontaggio. Poi magari il gioco si diffonde, uno trova la propria figura moltiplicata in una serie infinita e cade in depressione. In altri casi ci sono attacchi specifici, ad esempio c’è una persona che ti perseguita arrivando a fare pagine offensive o rubare l’Id. Si tratta di reati e rivolgendosi alla polizia postale non è così difficile interrompere l’azione di un singolo bullo. Diventa invece impossibile interrompere l’azione virale che la Rete sviluppa a partire da quella di un singolo. Il problema è per chi non conosce le dinamiche della comunicazione sul Web perché chi fa uno scherzo, spesso non sa quali saranno gli effetti del suo gesto.”
 
Alla domanda come ci si può difendere ha risposto: “Finché non si diffonderà la consapevolezza (anche attraverso l’opportuna formazione) delle conseguenze e delle caratteristiche della comunicazione in Rete, il cyberbullismo rimarrà un problema estremamente diffuso. Mediamente le persone che aprono un profilo Fecebook non leggono le avvertenze e ci mettono un po’ a capire che le foto non so più loro ma di Fb. Chi non protegge la propria password o la dà in giro, chi non rispetta la privacy sua e degli altri, diventa facilmente vittima spesso non di una persona specifica ma di un meccanismo innescato sulla Rete. La ragazza di 17 anni che si è uccisa perché la foto del suo stupro è diventata virale, ha subito un’offesa gravissima che è proseguita poi sulla Rete.
 
Per prevenire: “Questo fenomeno diventa più problematico in età sempre più precoce. Parliamo di bambini delle medie e addirittura di quarta elementare che sono più fragili ed esposti anche perché hanno una ridotta capacità personale di rispondere alle offese. In più non hanno consapevolezza di quale sia l’uso più corretto del computer. Ricordo che i genitori e gli insegnanti sono i due interlocutori più importanti per i ragazzi ma spesso non hanno le competenze per sostenerli. Una caratteristica essenziale del cyberbullismo è che nella maggior parte dei casi si sviluppa all’interno del gruppo scolastico nella prosecuzione della comunicazione che i ragazzi attuano via Web e non più al telefono. È quindi l’ambiente scolastico che promuove il fenomeno.
 
Ma: “La scuola non sa controllare questo fenomeno. E senza che ci siano insegnanti capaci di fare riconoscere i pericolo o di spiegare le regole d’uso della Rete, la situazione diventerà sempre più preoccupante. Non sono necessarie competenze di informatica superiore ma la conoscenza di poche regole. La formazione degli insegnanti è una delle vie che tutela la società da problemi che in alcuni casi diventano tragici. Insomma la scuola deve giocare un ruolo anche nei confronti dell’educazione in Rete.”
 
Anche i genitori a volte rinunciano alla sorveglianza: “La prima cosa che un genitore deve insegnare al figlio è a non rispondere ai messaggi di provocazione. Perché se è vero che molti bulli sono stati prima vittime, in certi casi chi reagisce fa anche peggio di quanto ricevuto. Interrompere subito il meccanismo eviterà degenerazioni. Bisogna consigliare di non cancellare i messaggi offensivi ma salvarli e parlarne subito con un adulto. Ricordo che stiamo parlando di occasioni di socialità, i genitori si devono interessare all’attività on line dei figli e partecipare.”
 
Non "bisogna demonizzare la tecnologia perché non è questo il problema. E non bisogna proibire ai ragazzi l’uso della tecnologia, si sentirebbero deprivati della propria dimensione sociale. È sulle modalità che bisogna stare attenti. Ad esempio, è meglio tenere il computer in un luogo pubblico della casa e tenere sotto controllo le attività, almeno all’inizio, piuttosto che lasciare il pc nelle camerette dei ragazzi. In certi casi meglio sorvegliarli a loro insaputa, anche se il dialogo resta l’opzione migliore.”
 
Su quanto è diffuso il cyberbullismo nelle scuole ha affermato:" Sicuramente in tutte le scuole ci sono fenomeni di cyberbullismo ed è facile che ce ne siano in tutte le classi. Ci sono studi che fanno conto di un’incidenza fra il 50 e 70%  ed è così in tutto il mondo, in Italia come in India o negli Usa. Non ci sono differenze culturali perché il fenomeno deriva dalle caratteristiche stesse della Rete. Uno dei risultati più importanti dei nostri studi è proprio che le dinamiche sono ovunque le stesse e l’incidenza del 23% è quasi uguale dappertutto.”

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