stipendi nel testo programmatico, la parola “contratto” compariva in un solo passaggio: “Sarà necessario, per il personale docente ed educativo, definire all’interno del nuovo Contratto di lavoro il monte ore annuale obbligatorio per la formazione e assicurare, attraverso opportuni monitoraggi, la qualità dell’offerta, ferma restando anche la necessità di implementare, a livello tecnologico, un sistema informatico in grado di contenere la storia formativa di ciascun docente e di farla “colloquiare” con i dati anagrafici relativi al servizio prestato. Ciò al fine di una migliore e sempre più adeguata valorizzazione del personale insegnante”.
Non stiamo a commentare lo stile cui ormai siamo abituati da decenni, nutrito di buone intenzioni educative, soffuso dalla rosea luce della “meritocrazia”, dimentico del fatto che, in una società di mercato come è la nostra, un lavoro vale socialmente quanto è retribuito e che quindi un lavoro a 1.400 euro al mese, nonostante la gran retorica e il procedere per slogan ormai frusti, vale poco. Mettiamo però in rilievo che le preoccupazioni del ministro riguardavano la formazione obbligatoria e la valutazione del personale, in stretta continuità con la tanto criticata (soprattutto dal M5S, il partito del ministro) “Buona scuola” renziana. Come Renzi, anche Azzolina è evidentemente convinta che gli insegnanti non vogliano più soldi; Renzi lo sostenne, con la stessa enfasi che lo accomuna ad Azzolina, nel discorso al Senato per il voto di fiducia al suo governo.1
Pensiamo che la riflessione sulla scuola vada riportato alla concretezza; ed affermiamo che lavoratori sottopagati e, peggio ancora, lasciati nella condizione di precariato per anni o per decenni sono, semplicemente, come faceva dire un lungimirante scrittore tanto tempo fa al personaggio di un suo romanzo, “bracciantato intellettuale”. Sottopagato, svilito socialmente, ridotto ad una subalternità culturale, il personale della scuola ha pur sempre garantito che il corpo molle di questa fondamentale istituzione si mantenesse vivo.
Forse non tutti i docenti e gli ATA fanno la loro parte in modo adeguato ma tutti fanno di più rispetto a quello che ricevono in cambio: uno stipendio misero, condizioni materiali di lavoro poco favorevoli, nessuna cura da parte dell’Amministrazione per il benessere del personale, tant’è che ormai la “centralità dello studente” è, tra gli slogan frustri di cui sopra, quello che accomuna tutto l’arco costituzionale. Pensiamo invece che a scuola ci siano due centri che interagiscono dialetticamente tra di loro: sono costituiti l’uno dagli insegnanti (e dal personale della scuola), l’altro dagli studenti. L’uno e l’altro, docente e studente, sono due “fuochi” da tener sempre e contemporaneamente presenti, se non si vuole costruire una scuola difettiva ed ottusa. Dimenticarsi delle condizioni materiali che si garantiscano ai lavoratori del settore è una scelta non nuova ma sempre condannabile.
Il chiacchiericcio degli ultimi mesi sulla riapertura delle scuole “in sicurezza” ha lasciato sullo sfondo sia il tema del rinnovo contrattuale del personale della scuola, urgente e necessario ed ha stravolto, in un tourbillon di numeri, concorsi straordinari, ordinari, assunzioni, Graduatorie Provinciali etc. il tema scottante del precariato. Non si fa che parlare di nuove assunzioni e si dimenticano i numeri reali necessari per garantire l’inizio del nuovo anno scolastico. Circa 200.000 posti vanno coperti subito, e non certo inventandosi nuove forme di precariato ancor più precario, come quella presente nel Decreto Rilancio.