Cub Scuola: dal ’95 perso il 25% del potere d’acquisto per personale scolastico. Fatti, basta parole

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Comunicato stampa – A febbraio di quest’anno, quando la pandemia era ancora una possibile minaccia ma non una drammatica realtà, il ministro Azzolina presentava il suo Atto di Indirizzo:

stipendi nel testo programmatico, la parola “contratto” compariva in un solo passaggio: “Sarà necessario, per il personale docente ed educativo, definire all’interno del nuovo Contratto di lavoro il monte ore annuale obbligatorio per la formazione e assicurare, attraverso opportuni monitoraggi, la qualità dell’offerta, ferma restando anche la necessità di implementare, a livello tecnologico, un sistema informatico in grado di contenere la storia formativa di ciascun docente e di farla “colloquiare” con i dati anagrafici relativi al servizio prestato. Ciò al fine di una migliore e sempre più adeguata valorizzazione del personale insegnante”.

Non stiamo a commentare lo stile cui ormai siamo abituati da decenni, nutrito di buone intenzioni educative, soffuso dalla rosea luce della “meritocrazia”, dimentico del fatto che, in una società di mercato come è la nostra, un lavoro vale socialmente quanto è retribuito e che quindi un lavoro a 1.400 euro al mese, nonostante la gran retorica e il procedere per slogan ormai frusti, vale poco. Mettiamo però in rilievo che le preoccupazioni del ministro riguardavano la formazione obbligatoria e la valutazione del personale, in stretta continuità con la tanto criticata (soprattutto dal M5S, il partito del ministro) “Buona scuola” renziana. Come Renzi, anche Azzolina è evidentemente convinta che gli insegnanti non vogliano più soldi; Renzi lo sostenne, con la stessa enfasi che lo accomuna ad Azzolina, nel discorso al Senato per il voto di fiducia al suo governo.1

Pensiamo che la riflessione sulla scuola vada riportato alla concretezza; ed affermiamo che lavoratori sottopagati e, peggio ancora, lasciati nella condizione di precariato per anni o per decenni sono, semplicemente, come faceva dire un lungimirante scrittore tanto tempo fa al personaggio di un suo romanzo, “bracciantato intellettuale”. Sottopagato, svilito socialmente, ridotto ad una subalternità culturale, il personale della scuola ha pur sempre garantito che il corpo molle di questa fondamentale istituzione si mantenesse vivo.

Forse non tutti i docenti e gli ATA fanno la loro parte in modo adeguato ma tutti fanno di più rispetto a quello che ricevono in cambio: uno stipendio misero, condizioni materiali di lavoro poco favorevoli, nessuna cura da parte dell’Amministrazione per il benessere del personale, tant’è che ormai la “centralità dello studente” è, tra gli slogan frustri di cui sopra, quello che accomuna tutto l’arco costituzionale. Pensiamo invece che a scuola ci siano due centri che interagiscono dialetticamente tra di loro: sono costituiti l’uno dagli insegnanti (e dal personale della scuola), l’altro dagli studenti. L’uno e l’altro, docente e studente, sono due “fuochi” da tener sempre e contemporaneamente presenti, se non si vuole costruire una scuola difettiva ed ottusa. Dimenticarsi delle condizioni materiali che si garantiscano ai lavoratori del settore è una scelta non nuova ma sempre condannabile.

Il chiacchiericcio degli ultimi mesi sulla riapertura delle scuole “in sicurezza” ha lasciato sullo sfondo sia il tema del rinnovo contrattuale del personale della scuola, urgente e necessario ed ha stravolto, in un tourbillon di numeri, concorsi straordinari, ordinari, assunzioni, Graduatorie Provinciali etc. il tema scottante del precariato. Non si fa che parlare di nuove assunzioni e si dimenticano i numeri reali necessari per garantire l’inizio del nuovo anno scolastico. Circa 200.000 posti vanno coperti subito, e non certo inventandosi nuove forme di precariato ancor più precario, come quella presente nel Decreto Rilancio.

 

Quanto poi al rinnovo con risorse certe e congrue del contratto ormai scaduto da una anno e mezzo, esso è il vero Convitato di Pietra. Da troppo tempo gli stipendi dei lavoratori della scuola subiscono una erosione inaccettabile; dopo un decennio di blocco, l’ultimo rinnovo contrattuale aveva portato ad un aumento medio del 3,48%, davvero vergognoso vista la perdita di potere d’acquisto degli stipendi del settore scuola, tra l’altro i più bassi di tutto il Pubblico Impiego. Citiamo una fonte poco discutibile, perché fa parte di quelle forze sindacali che negli ultimi decenni hanno fatto della moderazione delle richieste salariali il loro credo. La UIL Scuola, in uno studio del 2018, fissava al 21% la perdita di potere d’acquisto per i lavoratori della scuola nel periodo compreso tra il 1995 ed il 2018. Tenuto conto che i calcoli prendono in considerazione l’inflazione “ufficiale” che, come sappiamo, è sempre più bassa di quella reale, possiamo con sicurezza affermare, tenendoci prudenti, che i lavoratori della scuola dal 1995 ad oggi hanno perso circa il 25% di potere d’acquisto.
Non è una situazione sostenibile, dato che nel 1995 l’Italia non era certo un Paese generoso verso docenti ed ATA. Aggiungiamo ai mancati o risibili rinnovi contrattuali i blocchi degli scatti d’anzianità (e quello del 2013 risulta ancora congelato), che hanno tolto a molti lavoratori l’opportunità di raggiungere l’ultimo livello stipendiale prima della pensione. Ed ancora, il taglieggiamento da parte dello Stato, che dovrebbe invece tutelare i cittadini, non finisce nemmeno con il pensionamento, visto che la liquidazione bisogna, mediamente, attenderla due anni, fatto che impedisce agli ultra-sessantacinquenni di portare a compimento legittimi progetti di vita. Abbiamo i docenti più vecchi del mondo (altro problema dimenticato), i governanti se ne infischiano e non danno il dovuto nemmeno dopo averli trattenuti al lavoro così a lungo. Di tutti questi problemi non si è più fatta parola. Azzolina, se dobbiamo dar retta al suo Atto di indirizzo, si preoccupa di incrementare i mali della scuola italiana, piuttosto che di curarli.
La informiamo che la “migliore e sempre più adeguata valorizzazione del personale insegnante” passa attraverso la cruna stretta di forti aumenti salariali e, parallelamente, la drastica riduzione del precariato e la garanzia di condizioni oggettive di lavoro decisamente migliori di quelle che ci sono state sinora.
Giovanna Lo Presti
(portavoce nazionale, Cub Scuola)

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