Covid, “lasciare finestre aperte può agevolare il contagio. Meglio sistemi di sanificazione portatili e biovernici”. Ne parliamo con il Dirigente D’Ambrosio [INTERVISTA]
L’ora d’aria contro il Covid 19. Ormai è chiaro, le mascherine non bastano più. Non negli ambienti chiusi. Non nelle aule. Non nelle nostre scuole, dunque. Non sono mai bastate, le mascherine, ma con Omicron la situazione è divenuta, se possibile, ancora più impegnativa.
Lo dimostra peraltro la straordinaria e preoccupante velocità della propagazione del contagio. Sono necessarie le FFP2, ma serve, ora, più che mai, il ricambio d’aria. Non il ricircolo dell’aria, come spesso avviene, con termosifoni che si limitano a far circolare l’aria all’interno dei locali specie quando le finestre restano chiuse, ma la fuoriuscita forzata dell’aria interna e la continua sostituzione dell’aria viziata con quella esterna.
Omicron si propaga, dicono gli esperti con l’aerosol e non più con il droplet, dunque è in grado di restare a lungo sospeso in aria e, qualora non si rispettino pedissequamente le norme del distanziamento, intrufolarsi anche all’interno dei dispositivi di protezione facciale. Ecco perché alcuni Stati hanno finanziato con cifre cospicue alcuni sistemi avanzati di aerazione di ambienti pubblici e di treni a lunga percorrenza.
In Italia s’è fatto poco su questo specifico fronte, almeno a scuola, ma ormai è chiaro a molti che la prevenzione del contagio debba passare per i sistemi di ventilazione meccanica controllata a scambio di calore per il ricambio d’aria in modo da fronteggiare il virus. I nuovi sistemi non sono roba da poco. La loro installazione ha costi davvero alti, si parla di 5.000/6.000 euro per ogni aula e per ora si tratta di investimenti che siano all’orizzonte del nostro governo.
Dunque, come tutti gli insegnanti e gli studenti sanno, la parola d’ordine è spesso: aprite le finestre. Ma non è finita. C’è chi segnala il paradosso preoccupante secondo il quale in presenza di un alto grado di umidità, tenere le finestre aperte agevolerebbe il contagio, invece che prevenire il medesimo, poiché, si afferma, Omicron resterebbe più agevolmente sospeso in aria proprio grazie all’umidità che fa ingresso in aula.
È il professor Alfonso D’Ambrosio, fisico, e dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo di Vo’ Euganeo, nel Padovano, a mettere in evidenza questo aspetto paradossale. D’Ambrosio, in qualità di fisico, segnala pure la confusione che regna in materia di sanificazione e purificazione d’aria, questioni importanti che, dice, vengono lasciate alla gestione di dirigenti scolastici che tante volte non sono in grado di capire fino in fondo gli aspetti tecnici di interventi importanti come questi, perché tecnici giustamente spesso non sono.
Questa sera, giovedì, 13 gennaio, la trasmissione Piazza Pulita in onda su La 7 dedicherà parte della puntata agli interventi adottati dalla scuola di Vo’ nella prevenzione del contagio, dove grazie all’esperienza condotta con speciali sanificatori si è riuscito a impedire nel cento per cento dei casi di ingresso dall’esterno di un alunno positivo di evitare che il contagio si propagasse al resto della classe
E’ così, dirigente D’Ambrosio?
“In tema di contrasto al Covid si discute tantissimo di purificatori e di sanificatori d’aria, ma tocca fare una distinzione tra i due sistemi chimico-fisici e anche meccanici”.
Spieghi
“I purificatori d’aria ad oggi sono dei sistemi che in maniera meccanica, ad esempio solitamente con dei filtri hepa, bloccano alcune particelle, come polveri sottili, particelle organiche volatili e stop, si fermano a questo. Non intervengono cioè in alcun modo sulla distruzione o comunque sul meccanismo di riduzione della carica virale. Altro discorso invece riguarda i sistemi di ventilazione meccanica controllata o addirittura i sanificatori”.
E’ il sistema adottato nella sua scuola?
Nella scuola che dirigo, noi abbiamo un sistema già nativo quindi già costruito prima dell’emergenza epidemiologica, precisamente nel 2018, nel Comune Di Lozzo Atestino, di un impianto VMC che pesca l’aria dall’interno, la butta fuori, riprende l’aria dall’esterno e attraverso una pompa di calore o comunque un sistema a controllo numerico gestisce la temperatura e l’umidità e tutti gli altri dati ambientali dell’aria che entra. Questo lo fa con un aspetto che è fondamentale per la sua efficacia, cioè con un ricambio di aria che è di almeno dai 1000 ai 1200 metri cubi per ora”.
Questo che cosa vuol dire nella pratica?
“Vuol dire che in un’aula di 50 metri quadri l’aria viene cambiata almeno ogni quarto d’ora, massimo ogni 20 minuti. Questo è un dato importante. Tra l’altro il sistema con cui viene pulita l’aria che entra può avvenire anche con un meccanismo chimico fisico che si chiama di fotocatalisi, ma ha un costo elevato cioè parliamo di circa cinque 5/6000 € ad aula e tra l’altro con delle tempistiche importanti, serve almeno un anno. Infatti, sempre in altro plesso dello stesso comune l’ente locale anche con i fondi dell’edilizia scolastica ne sta costruendo un altro vista la bontà di quello che è avvenuto qui, però hanno tempistiche di realizzazione vanno dai quattro ai 12 mesi”.
In che cosa è consistito il successo del tipo di intervento che avete adottato?
“Nel plesso in cui abbiamo avuto il Vmv, quindi in assenza di altri tipi di meccanismi, abbiamo avuto sei positivi in sei classi distinte e questi positivi in tutte e sei le occasioni sono rimasti sempre isolati, cioè non c’è stato nessun altro contagio interno. Questo è un meccanismo fondamentale soprattutto di fronte alla nuova variante Omicron dove il meccanismo di trasmissione non avviene più per droplet. Questo ci restituisce un altro dato. E cioè che, laddove la trasmissione avviene per aerosol, quando l’aria ha un’elevata umidità, ci può essere una sovrasaturazione del vapore acqueo, e dunque addirittura tenere le finestre aperte mantiene questi aerosol in sospensione e quindi diventa anche peggio”.
Ma cosa può fare oggi la scuola?
“La scuola può intervenire su sistemi di sanificazione portatili. Esistono di due tipi: a superficie e qui noi abbiamo ad esempio una biovernice che abbiamo messo sui tavoli, sui banchi e sulle maniglie, e attraverso meccanismi biomeccanici questa vernice ci ha permesso soprattutto nelle mense ma non solo lì di ridurre il contagio, cioè ancora una volta di avere zero positivi interni. Nei sanificatori invece la caratteristica fondamentale meccanica è che vi sia almeno un ricambio di 500 metri cubi per ora quindi che va bene in ambienti dai 50 ai 70/80 metri quadri, quindi con un ricambio di aria almeno ogni 30 minuti, e in più che ci sia un meccanismo chimico-fisico: può essere al plasma, possono essere dei raggi. Noi ancora una volta abbiamo sposato la fotocatalisi, che è un meccanismo importante dove il fotocatalizzatore viene attivato da raggi ultravioletti di tipo A o di tipo C, in una reazione di ossidoriduzione: di fatto non si consuma il fotocatalizzatore. Quello che si è visto – e ci sono studi dell’università di Padova, dell’Università di Genova, fino ad arrivare al San Raffaele di Milano – è che la fotocatalisi interviene in maniera drastica, netta sulla parte biologica quindi c’è la riduzione della proliferazione di batteri, virus, muffe, ma anche nei confronti del Covid, distruggendo fino al oltre il 99 per cento di questo virus. Questo ci ha permesso nelle classi ancora una volta di avere lo stesso effetto descritto prima”
Cioè di avere magari un positivo che arriva dall’esterno senza che poi questo produca ulteriori positivi all’intero della classe.
“Esatto, ed è proprio quello che noi vogliamo in questo momento: il positivo che arriva dall’esterno ma che non contagia la classe. Che non manda la classe in Dad”.