Cosa succede a questi ragazzi mezz’ora dopo l’esame di Stato? La storia di Damiano, studente con sindrome di Down e le preoccupazioni del padre

WhatsApp
Telegram

Damiano raggiunge la sua scuola in perfetto orario. E’ il suo ultimo giorno di scuola. E’ il giorno dell’esame finale, lo è per tanti altri ragazzi e ragazze che stanno per lasciarsi alle spalle gli anni più belli trascorsi tra i banchi con la prospettiva di un futuro che è ormai a un passo dal presente. Un futuro che è lontano dalla scuola e che parla il linguaggio degli studi universitari, del lavoro, della crescita, della socialità. Per Damiano e tanti altri ex studenti è quasi così. Quasi.

Damiano è un ragazzo con Trisomia 21, la sindrome di Down, una condizione che non gli ha consentito di seguire un percorso scolastico uguale a quello seguito dai suoi compagni e nemmeno quello per obiettivi minimi. Che cosa succede a questi ragazzi e a queste ragazze, a partire da mezz’ora dopo il colloquio finale e alle congratulazioni di rito della Commissione d’esame, davanti ai loro genitori? Che ne sarà di questi giovani dopo la consegna del certificato che attesta l’aver frequentato la scuola con una programmazione differenziata e proprio per questo non possono iscriversi all’università né seguire percorsi di studio simili? Che ne sarà della loro socialità, quali contraccolpi subirà il loro sviluppo cognitivo, interrotto proprio sul più bello, nella fase dell’esistenza in cui le potenzialità di crescita sono così favorevoli? E’ questo un tema tabù. Una questione della quale quasi nessuno s’interessa e che invece meriterebbe la giusta attenzione. E’ uno di quei temi ruvidi, quasi scabrosi, destinati a deflagrare, prima o poi, grazie all’esclusiva, solitaria ma tenace battaglia di tanti genitori, come il papà e la mamma di Damiano Moscato, 20 anni, di Firenze. Ha appena fatto l’esame e ora lui e i suoi genitori si confrontano con un quesito che vogliamo fare nostro, da queste colonne: e ora? Sullo sfondo, intanto, si scorge la realtà di alcune esperienze universitarie per studenti disabili “diplomati” a scuola a seguito di un programma differenziato, come quelle attivate presso le università di Torino e la Università21 di Modena e Reggio Emilia (Unimore).

Una convenzione tra Dipartimento di Educazione e Scienze Umane di Unimore, Università 21 Onlus, AUSL di Reggio Emilia e Comune di Reggio Emilia, permette a giovani con disabilità cognitive di seguire percorsi di studio universitari personalizzati frequentando lezioni in aula.

Gli studenti di Università21 possono partecipare alle attività del corso di laurea in Scienze dell’Educazione, affiancati da educatori laureati che hanno il compito di progettare il percorso di studi personalizzato e aiutarli nella preparazione degli elaborati. Da quando il progetto è nato, nel 2015, si è esteso ogni anno e ad oggi sono tanti i ragazzi coinvolti nel percorso, che alcuni hanno già concluso con successo. “Per un dipartimento come il nostro – dichiara il prof. Alberto Melloni, Direttore del Dipartimento di Educazione e Scienze Umane – i ragazzi e le ragazze di U21 costituiscono un arricchimento didattico insostituibile: insegnano a tutta la universitas di docenti e discenti a verificare a fondo le proprie motivazioni ed intenzioni e testano la capacità di un sistema che produce gli educatori di domani e dopodomani”.

Giuseppe Moscato, chiamato da tutti Pino, sessantasei anni, osserva emozionato il suo ragazzo alle prese con il colloquio finale: “Mi sono emozionato come con la laurea di Irene – scriverà poi sulla sua seguita pagina Facebook, lui che è stato un insegnante di sostegno, ha collaborato con Roberto Maragliano nell’ambito delle Nuove tecnologie e successivamente comandato presso Indire per occuparsi di documentazione, architetture e spazi scolastici inclusivi. “Mi sono emozionato perché l’ho scoperto sicuro di sé, perché l’impegno alla fine paga”. Poi continua: “Lo sai però che papà non riesce a nascondere le ingiustizie, quelle ingiustizie importanti a cui spesso non si fa caso quando queste capitano ai ragazzi come te”. Già. “Damiano – prosegue il padre – è nel pieno del suo sviluppo cognitivo, ma tecnicamente ha terminato la scuola superiore e avendo fatto un percorso differenziato, poiché non in grado di conseguire gli obiettivi minimi della programmazione curricolare, non avrà un vero diploma, quello che invece avranno tutti i suoi compagni. Gli altri potranno continuare a studiare all’università, mentre lui no e nemmeno potrà accedere ad un percorso di studio specifico o similare. Questo significa che pur attraversando un momento particolarmente favorevole per approfondire le sue conoscenze, non ha il diritto che hanno tutti di continuare a studiare. Attenzione, non si tratta di assenza di progetti, l’amara scoperta è che lo Stato non offre l’opportunità di fare un percorso di studio successivo alla scuola superiore di secondo grado compatibile con un percorso differenziato. Un’altra stortura del nostro sistema da portare a galla, indipendentemente da chi vuole fermarsi agli studi della scuola superiore. Di fatto mio figlio dovrà interrompere un percorso di studio e di socializzazione con i suoi coetanei”. Pino Moscato è autore, assieme a Pierpaolo Infante e Silvia Panzavolta, del volume Pensare gli spazi di apprendimento per l’inclusione, edito da Carocci.

Pino Moscato, perché parla di ingiustizia?

“Perché per coloro che hanno fatto il percorso differenziato non c’è alcuna possibilità di continuare gli studi. Normalmente un ragazzo finisce la scuola superiore e si proietta in un futuro lavorativo e sceglie l’indirizzo che più gli piace. Ma non c’è solo l’aspetto, diciamo utilitaristico, c’è un aspetto legato allo sviluppo cognitivo, mio figlio Damiano aveva raggiunto la consapevolezza che stava imparando qualcosa che lo proiettava in avanti, verso la sua crescita personale. Questa opportunità di fatto gli è negata”.

Com’è stato il percorso scolastico di Damiano?

“Mio figlio ha ora 20 anni e ha terminato il percorso scolastico che non è stato dei più felici, ma negli ultimi anni è andata abbastanza bene. Ha frequentato i primi due anni il liceo delle scienze umane, in mezzo c’è stato il covid, esperienza per lui molto negativa”.

Perché?

“La direttiva in vigore voleva che gli studenti con disabilità andassero a scuola e da lì seguissero le lezioni online, ma nel suo caso non ho voluto che mio figlio andasse a scuola con gli altri studenti con disabilità o stare addirittura da soli in classe lui con la sua insegnante di sostegno, mentre i suoi compagni di classe lavoravano da casa, non ritenevo inclusiva quella formula. Damiano ha sempre usato molto bene le tecnologie della comunicazione. Perché non farlo lavorare a distanza da casa con i suoi compagni di classe? Alla fine è sorto un conflitto con il Dirigente scolastico per una scelta che non teneva conto delle singole esigenze e capacità, tutto questo mi ha spinto a trasferirlo in un’altra scuola, il liceo musicale Alberti Dante di Firenze. Qui si è trovato benissimo. Non so dire se sia dipeso dal fatto che, essendo molti i docenti musicisti, si respirava una particolare sensibilità. Per Damiano è stata molto importante l’esperienza del laboratorio di musica d’insieme grazie all’impegno di un’insegnante di pianoforte, Chiara Montelatici, ha gestito il laboratorio con ragazzi di diversa provenienza e con diverse situazioni personali, erano presenti ragazzi con malattie rare, sindrome di Down, autistici e con loro c’erano anche ragazze e ragazzi non disabili”.

E’ preoccupato anche per l’inserimento lavorativo?

“Il discorso dell’inserimento lavorativo per lui non è un problema. Secondo me in questo momento era importante continuare a imparare e a suonare lo strumento musicale come tutti gli altri: lui prima studiava e poi doveva replicare a scuola gli esercizi fatti a casa e poi portare nel gruppo la parte assegnata. Tutto questo ha avuto un grande valore sul piano dell’apprendimento, soprattutto in termini di autostima e motivazione, consapevole del fatto che aveva un senso ciò per cui studiava. Ognuno aveva una parte da svolgere nella musica di insieme e lui aveva la sua parte. Tutto questo è venuto meno, tutto si è interrotto improvvisamente con gli esami di maturità. Lui non avrà forse più la possibilità di continuare un’esperienza che stava andando bene. Inoltre, la percezione dell’autostima nel sentirsi parte attiva di un insieme, la può spendere all’esterno della sua vita scolastica, una volta acquisita, quella consapevolezza può essere utilizzata in altre forme”.

Venuti meno questi aspetti, che cosa succede?

“Guardi, come genitore e lavoratore della scuola, io mi sono allineato involontariamente all’idea che se uno studente segue il percorso differenziato, l’esperienza scolastica è destinata ad esaurirsi con la fine della scuola superiore di secondo grado. Però è successo un particolare. Quando ha sostenuto l’orale all’esame, parlandone con gli insegnanti ci siamo detti “in effetti si potrebbe creare un canale, una collaborazione con il Conservatorio Cherubini”. Ma è stata una cosa buttata lì. I docenti hanno invece confermato che sarebbe stato interessante fare un percorso ponte, sempre differenziato, nel quale organizzare attività ad hoc in cui coinvolgere sia ragazzi non disabili sia disabili. Da lì è partita l’idea di parlarne per vedere se tra i colleghi della scuola ci potesse essere una reazione”.

C’è stata?

“Intanto c’è stata una reazione positiva tra i docenti i quali hanno riconosciuto che in effetti manca un tassello nel puzzle della formazione dello studente con disabilità. La scuola per Damiano e per gli altri ragazzi come lui è stata e potrebbe essere ancora un luogo dove apprendimento e relazione, possono costituire la sostanza di una crescita giusta e in linea con i suoi coetanei. Nel mio post dove ho raccontato dell’ingiustizia nei confronti delle e degli studenti con disabilità intellettiva, i quali avendo conseguito un percorso differenziato nella scuola superiore, non possono continuare gli studi, c’è stata una grande partecipazione tra colleghi, dirigenti scolastici e genitori. Molti si sono detti increduli nel venire a conoscenza di una tale negazione al diritto allo studio. Tanti sono stati i commenti e la voglia di trovare la strada per dare a tutti la possibilità di studiare, anche se nei modi adeguati alle diverse capacità di apprendimento. L’aspetto più interessante che ne è venuto fuori non è tanto l’avere un titolo di laurea che consenta di fare qualche concorso, ma l’opportunità di continuare a studiare per imparare, anche perché sappiamo che per i nostri ragazzi, all’interno del progetto di vita, sono previsti diversi passaggi, che se ben accompagnati li porteranno comunque ad essere inseriti nel mondo del lavoro fino ad avere una vita indipendente. Damiano infatti è egregiamente seguito dall’Associazione T21 di Firenze per tutto questo. Inoltre, grazie a una giornalista della rivista Vita, Sara De Carli, che ha letto il mio post, ho saputo che a Torino esiste un percorso differenziato a livello universitario. Mi sono riproposto di contattare l’insegnante universitaria torinese, che è anche genitrice e capire come si sono organizzati”.

Qual è il ruolo dei genitori nel destino sociale di ragazzi come Damiano?

“C’è sempre una grande motivazione che parte dai genitori, tale da creare nuovi paradigmi, le istituzioni non hanno la stessa sensibilità. A noi genitori, al di là dell’ambizione nascosta di avere un figlio non disabile, scatta una molla utopistica che ci fa raggiungere obiettivi apparentemente irraggiungibili e questa esperienza di Torino sembra essere un esempio lampante. Qui a Firenze, tanto per dirne un’altra, non esisteva il calcio inclusivo, che è il calcio giocato da disabili e non disabili. Ho elaborato un progetto con l’aiuto della scuola calcio Totti e grazie alla combinazione di alcune persone che sono nel mondo della politica e dello sport, è stato possibile metterlo in pratica. Se non ci avessi creduto, probabilmente Damiano oggi non giocherebbe a calcio. E invece gioca e oltre a lui anche altri possono giocare, vede cosa riesce a combinare l’energia di un genitore? Ovvio che sono consapevole dei limiti di mio figlio, ma io desidero solo che lui possa fare quello che gli piace, secondo il suo livello di apprendimento, di consapevolezza, di comprensione e di conoscenza”.

Non solo calcio, pare di capire…

“Fa altre cose belle: per esempio con un gruppo di scout del territorio dopo sette anni si è formato un gruppo di amici che escono, vanno al cinema insieme: sono un gruppo di ragazzi disabili e non disabili e questa è una delle cose che ho creato grazie alla disponibilità e alla collaborazione di Chiara Ulivi e delle persone che si sono prestate ad ascoltarmi e a metterle in pratica”

Lei avverte nella società lo stesso sentimento di accoglienza che è proprio della scuola?

“Le persone sono molto più disponibili ad accogliere i nostri ragazzi di quanto si possa immaginare. C’è una disponibilità umana che è molto più reale di quella burocratica, lo sto verificando continuamente: tutte le volte che propongo un’attività con Damiano, solitamente viene accolta. Magari serve tempo per rodare, per sperimentare, ma alla fine ci sono sempre dei bellissimi risultati. Damiano è seguito dall’associazione “Trisomia 21” di Firenze. Qui svolge due percorsi importantissimi. L’educazione all’autonomia: muoversi con i mezzi pubblici, l’inserimento nel mondo del lavoro, imparare a gestire operazioni quotidiane. Il Potenziamento cognitivo che consiste nell’aiuto ad elaborare azioni ed emozioni, vivere al meglio i rapporti sociali e quello di coppia. E’ seguito da un educatore e da una psicologa e insieme affrontano il tema delle paure e delle emozioni. Questi sono aspetti che per i nostri ragazzi sono dei tabù, poiché avendo delle difficoltà non solo intellettive, ma anche di linguaggio, risulta difficile esprimere ciò che provano nelle proprie relazioni. Questa esperienza ha fatto crescere Damiano in modo incredibilmente inaspettato. Damiano ora viene percepito a pieno titolo come un ragazzo di 20 anni”.

Lei si è proposto come punto di riferimento per condividere soluzioni, ipotesi e proposte per una battaglia proficua per il diritto allo studio di tanti ragazzi e ragazze svantaggiati. Che cosa si può fare?

“Definirmi punto di riferimento forse è troppo. Cercando notizie e informazioni, ho capito di non essere il primo ad aver posto il tema del proseguimento degli studi universitari. La mia idea è cercare intanto di raccogliere due o tre esperienze esistenti. Da quello che ho intuito le università dovrebbero avere uno statuto che prevede la possibilità di fare dei progetti. Alla fine del percorso di studio potrebbe anche bastare un attestato che certifica quanto conseguito. Non importa la laurea. Damiano ha sempre avuto un sogno: fare il teatro con i bambini più piccoli e la sua esperienza di musica potrebbe conferirgli un ruolo attivo. Se avesse la possibilità di studiare al Conservatorio, più avanti potrebbe trovare una collocazione all’interno di una compagnia teatrale o di un’istituzione artistica e quindi fare un percorso come quello di tutti gli altri. Potrebbe studiare per diventare attore, raggiungere in qualche modo un suo obiettivo di lavoro. Non è importante raggiungere chissà quale obiettivo, voglio solo che sia felice. L’autostima è l’unica misura di valutazione che metto in campo per tutte le cose che fa. Quando c’è autostima vuol dire che tutto funziona”.

Dovrebbe essere sempre così.

“Non lo so. Ma credo che l’autostima sia fondamentale per tutti”.

In indire lei si è occupato per alcuni anni di spazi e inclusione. Com’è nata la necessità di questo segmento di ricerca?

“Pensando alla Legge 517 che ha consentito allo studente con disabilità di stare in classe, abbiamo capito che se la classe è configurata come tradizionale, ossia l’insegnante in cattedra e gli studenti seduti al banco, i nostri ragazzi non potranno avere la possibilità di studiare insieme agli altri studenti, perché è un tipo di impostazione orientato allo sviluppo di capacità individuali. Quando abbiamo affrontato il tema generale degli spazi scolastici lo schema della classe tradizionale si è rotto. C’è bisogno di una scuola accogliente, con colori giusti, un’acustica senza riverberi che non induca ad alzare la voce, è necessario un setting che favorisca una didattica collaborativa. E qui entra in gioco anche l’uso intelligente delle tecnologie. In un tale contesto anche il ragazzo con disabilità può trovare un suo ruolo all’interno del lavoro di gruppo. Il cooperative learning prevede che il docente organizzi le attività assegnando diversi compiti da svolgere e il ragazzo con disabilità avrà il suo compito da fare con agli altri. Questa è l’inclusione. In un contesto tradizionale sarebbe più corretto parlare di inserimento”.

Dalla legge 517, che è del 1977, i passi in avanti sono stati comunque tanti.

“La nostra scuola è diversificata, se la grande maggioranza delle scuole è strutturata secondo il modello tradizionale, le studentesse e gli studenti con disabilità sono i primi a pagarne il prezzo. Sono convinto che a partire dalla 517 insieme ai progressi della scienza è iniziato un percorso sociale che oggi ci restituisce risultati fino a qualche tempo fa impensabili. Eppure la strada perché questi progressi vengano applicati su larga scala è ancora lunga. Continuare a studiare non vuol dire soltanto attivare ulteriori strategie finalizzate allo sviluppo cognitivo o all’opportunità di fare esperienza relazionale, ma vuol dire anche dare l’opportunità agli studenti non disabili di misurarsi con la dimensione dell’ascolto e dell’attenzione verso l’altro”.

WhatsApp
Telegram

Eurosofia, nuovo percorso formativo: “Il Pei, sezione per sezione con suggerimenti pratici per la compilazione”. Lezioni in diretta ed esempi