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Cosa significa “educare”?

Di Lalla
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Luciano Verdone – La nostra epoca si configura come un crollo spaventoso della dimensione valoriale. Sembra essersi oscurata la coscienza dei valori assoluti e perenni. Assistiamo, come forse non mai, alla caduta del fondamento, di quel muro sotterraneo su cui poggiava la casa dell’uomo occidentale. Il sostegno che ha retto, per venticinque secoli, la civiltà greco-cristiana.

Luciano Verdone – La nostra epoca si configura come un crollo spaventoso della dimensione valoriale. Sembra essersi oscurata la coscienza dei valori assoluti e perenni. Assistiamo, come forse non mai, alla caduta del fondamento, di quel muro sotterraneo su cui poggiava la casa dell’uomo occidentale. Il sostegno che ha retto, per venticinque secoli, la civiltà greco-cristiana.

Viviamo in una notte valoriale che non lascia tranquilli né individui né società, né gruppi né istituzioni. Famiglia e scuola sono disorientati dalla frammentazione culturale e dal soggettivismo. Si finisce per dubitare persino della stessa idea educativa. Beviamo, ogni giorno, ampie sorsate di nichilismo, il termine che meglio riassume la crisi che stiamo vivendo.

Il nichilismo, quello che Nietzsche definiva l’ospite inquietante che si aggira nel mondo contemporaneo. “Che cosa significa nichilismo? – si chiedeva sempre Nietzsche – Che i valori supremi si svalutano”. Oggi, siamo pervasi da un’atmosfera diffusa, afferma Benedetto XVI, “che porta a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita”.

Il ritorno ai valori è, dunque, richiesto da più parti.

“Lo chiedono i genitori – scrive papa Benedetto – preoccupati per il futuro dei propri figli; lo chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; lo chiede la società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; lo chiedono nel loro intimo gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita”.

Anche in campo laico si avverte il bisogno di tornare a fondamenti valoriali, universali ed unificanti: “Quando l’attesa è disabitata dalla speranza – scrive Umberto Galimberti – nei giovani subentra la noia, dove il futuro perde slancio e il presente si dilata in uno spessore opaco… Senza attesa e senza speranza, il tempo si fa deserto e, in assenza di futuro, rifà la sua comparsa quell’ospite inquietante che abbiamo chiamato nichilismo”.

“Alla radice della crisi dell’educazione c’è una crisi di fiducia nella vita”, scrive il Papa. Occorre ritrovare le ragioni per sperare allo scopo di ricreare le condizioni per educare. Ma educare non è un semplice atto intellettuale. I valori, più che da una mente all’altra, passano da una vita all’altra. Nascono dall’esperienza e si pongono con la testimonianza.

“Si educa attraverso ciò che si dice, di più attraverso ciò che si fa, di più ancora attraverso ciò che si è” (S. Ignazio d’Antiochia).

Chi educa compie il “passaggio della fiaccola” (traditio lampadis), – per usare l’espressione di Amos Comenio, padre della pedagogia moderna, – da una generazione all’altra.

Tramanda la sapienza di vita di chi ci ha preceduto, adattandola ai bisogni di chi vive oggi. Ma un educatore è credibile solo se si coinvolge di persona, se si fa compagno di viaggio, se sceglie la pedagogia della vicinanza: “Ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso” (Benedetto XVI).

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