Cosa resterà di questa scuola non scuola? Lettera

Inviata dalla Prof.ssa Giusi Russo – Oggi smetto di essere un’insegnante. Oggi voglio diventare loro. Entrare nella pelle degli alunni, insinuarmi persino nel loro respiro.
Farò, mi si perdoni l’impudenza, come Manzoni dell’Addio ai
monti;. Parlerò, interpretandone il pensiero, come mai parlerebbe un ragazzo, uno di quelli che la sorte ha fatto precipitare nel magico mondo della DaD. La DaD: acronimo già tutto dentro la Storia, quella con S maiuscola, la Storia dei libri di Storia, la Storia che muta destini.
Perbacco, sono finito negli stessi volumi fin qui mille volte odiati. Nel loro grigiore, nella stessa opaca consistenza spacciata per imperdibile tesoro dai miei professori. Chi l’avrebbe detto? Già mi vedo negli occhi annoiati, a tratti sbigottiti, delle generazioni future, la pletora, affollata e rumorosa, di alunni della mia stessa età, china per dovere sul passato, con le sue trappole, con le sue insidie tutte da svelare, talvolta da ridefinire. Se ne staranno lì i miei omologhi, con le bocche spalancate sul piú vistoso
sbadiglio, a sonnecchiare sul mio tempo. Già, il mio tempo. Ore, minuti, secondi consumati a dimostrare efficienza, collegamento su collegamento. Videolezioni, compiti in piattaforma, test e verifiche di informatico nitore. Scuola senza sguardo. Clic che fa la differenza. Poesia senza poeti.
Cosa potranno capire di me, di noi, loro che della DaD conosceranno solo il nome? Poco o nulla, come sempre accade, quando la forbice del tempo divarica le generazioni, riducendole a monadi, realtà separate, impenetrabili, roba, talvolta, da riderci sopra. Però io, alunno di questo tempo, attore senza scelta di un dramma senza scelta, una cosa voglio dirla a quelli che verranno, che siederanno su questi stessi banchi. Io solo ora capisco cosa vuol dire maturità e cosa vuol dire arrivarci. Me lo dicevano i miei insegnanti: la maturità é molto più di un esame, é un frutto che
teme di cadere e tuttavia cade. E il bello è tutto lí, nel miracolo di quella caduta, nel fiorire di quel terreno che ci accoglie, lo stesso che abbiamo temuto. Quante parole mi sono saltate addosso in questi cinque anni! Quante prediche, quante ramanzine! Io mica lo capivo come stavano le cose. Immaginavo, per esempio, che uno come Boccaccio fosse frusta letteratura e Chichibio, con la sua destrezza, con la sua agile intelligenza, solo una stupida, surreale invenzione. Invece eccomi qui a farne memoria, io che ora tiro le somme di un anno davvero surreale, che me ne sto qui, alla vigilia
del mio esame, a raschiare il fondo della scatola buia in cui sono stato rinchiuso, perché non mi perdessi, perché la scuola non cessasse di esistere. Buia sì, perché non ci sono colori dentro la scatola che abbiamo imparato a chiamare DaD.
Nessun vociare di compagni, né suono di campanella che schiocca per salvarci. Buia sì, e tuttavia dentro le maglie della vita, cosí enigmatica, così poco prevedibile. Io solo ora comprendo Boccaccio e Chichibio e la sua risibile gru. Ora mi é chiaro che c’è una vita che progettiamo e una che, come un guerriero acheo, marcia verso di noi, ridendo di noi, delle nostre esibite certezze, sbaragliandoci nel passo, nell’andatura. E che maturità
non è perdersi, ma lavorare di ingegno e scommettere di farcela. Trascinarsi fuori dalla palude e farlo ad ogni costo. Misurarsi con l’aridità fino a sfidarla. Cosa resterà di questi anni ottanta?, canta una vecchia canzone. Cosa resterà, in ognuno di noi, di questa scuola non scuola? Non le
videoconferenze, che a stretto giro sapremo come seppellire sotto la pietra della dimenticanza. Non le chat con i docenti, che pure ci hanno reso meno soli, meno smarriti. Né le pose furbesche di alcuni di noi, che ci hanno strappato più di un sorriso: “prof, non ho la connessione, prof, non ho la
web”. Altro resterà inciso nel DNA della memoria: la forza della nostra debolezza. Che é come dichiararsi fragili e muovere, al contempo, ali di ferro. Sprofondare nella mobile sabbia della vita e sentire, perché un’eco remota ce lo rammenta, perchè c’è stato un tempo di virali contagi, in cui
siamo stati bravi e desti e intelligenti, che possiamo resistere e, in ultimo, vincere. Sono pronto per la maturità.