Cosa fa di un insegnante di sostegno un buon insegnante? Bastevoli di buon senso, impegno confronto e studio? Ne parliamo con Crispiani e Mancini
Abbiamo scritto, nel precedente articolo, che l‘insegnante “di sostegno” è nato e si è radicato nella nostra scuola, in primis giuridicamente, con il D.P.R. 970/1975, come docente “specialista”. In tale maniera, profondamente differente dagli altri insegnanti curricolari della classe, la Legge 517/77 ratifica il diritto alla piena integrazione degli studenti con handicap nella scuola pubblica. Inclusione che è garantita anche e proprio dalla presa di consapevolezza del ruolo di questa figura. Ma non sempre le caratterizzazioni della figura sono davvero soddisfacenti. Nel precedente articolo abbiamo ascoltato sia il prof. Piero Crispiani che il prof. prof. Riccardo Mancini, docenti, tra l’altro, anche alla prestigiosa Link Campus University di Roma.
Nei molti cambiamenti che si sono avvicendati durante questi decenni, l’elemento che più è rimasto evidente, come ha sottolineato lei Professore Piero Crispiani, è quello della de-specializzazione. Una terribile costanza. A partire dalla collocazione universitaria della formazione primaria dell’insegnante di sostegno. Quali, oggi, professore, le maggiori difficoltà? È vero che esiste, in taluni casi, una mancanza di specialità sulle sindromi?
«Ci sono docenti di sostegno che compensano la mancanza di specialità sulle sindromi con il buon senso, l’impegno, il confronto con gli altri, lo studio, ecc. Ma c’è una situazione che mette veramente alle corde sia il docente che il sistema e riguarda, principalmente, nella secondaria di II grado i casi di disturbo mentale, comportamentale, di personalità, ovvero i cosiddetti “psichici”. In questi casi raramente il Sostegno è preparato, ha conoscenze, maestrie, un necessario “saper fare” che gli consentirebbero di attivare la relazione, prevenire le crisi, risolvere i problemi di gestione del caso, condurre la didattica».
Professore Crispiani, come vive l’insegnante di sostegno la sua professione e il suo ruolo?
«Non di rado, quel docente di sostegno di cui ho parlato nella domanda precedente ha paura, vive con ansia, teme una serie di rischi, non ultimi la documentazione del proprio lavoro svolto, il dimostrare di aver lavorato. Lavorare con tali casi è difficile per gli spessi operatori sanitari specializzati (Educatori, Terapisti), si pensi ai docenti di sostegno. Non servirebbe un Sostegno specializzato su questo ambito delle patologie o disabilità?»
C’è anche il diritto dei disabili e delle loro famiglie di avere docenti di sostegno veramente specializzati per aree, non su un astratto “sostegno”… Professore Riccardo Mancini, allora?
«Le organizzazioni complesse richiedono funzioni complesse, operatori competenti, plastici, adattabili. Ma la competenza non può non osservare un livello di specializzazione. Attenzione: non iper-specializzati alla maniera di figure mediche di settore molto ristretto, sebbene talvolta necessari), ma nemmeno generici, che possiamo definire de-specializzati secondo la definizione di Lilian Katz (psicologa ed epistemologa inglese, poi negli USA). Direi che c’è anche il diritto dei disabili e delle loro famiglie di avere docenti di sostegno veramente specializzati per aree, non su un astratto “sostegno”. Si tratta, di seguito, di sfogliare un po’ il concetto di specializzazione che rimanda a considerazioni critiche, dal momento che essa non coincide con il solo allungamento del corso di studio, bensì con l’approfondimento di un corpo mirato di competenze (conoscenze e abilità, competenze culturali e competenze funzionali) rispondenti ad un servizio per il quale si è certificati. Dunque, una specializzazione plastica, transdisciplinare, dinamica, ma pertinente».
Dunque, la chiave è la pertinenza? Cosa si intende per pertinenza e quali sono le caratteristiche professore Mancini?
«Esatto. È la pertinenza. Semplificando un po’ un ragionamento su questi concetti, quanto si può fare in una breve comunicazione, occorre pensare ad una specializzazione allocata, inerente un ambito di pensiero o lavoro o di competenza che sia riconoscibile e in qualche modo delimitabile, quindi spendibile (portability) ed utile agli utenti. La pertinenza è l’ambito di esercizio, tale che non può essere utilizzabile».
Concludendo questo lungo viaggio nel mondo variegato dell’insegnante di sostegno, cosa suggerisce, professore Piero Crispiani?
Suggerisco:
- Distinzioni delle specializzazioni in almeno 4 tipi:
- Disturbi dello sviluppo.
- Disturbi del comportamento.
- Minorazione visiva.
- Minorazione uditiva.
- Corsi di specializzazione più insistenti sulle sindromi/patologie.
- Maggiore responsabilizzazione, o delega, al docente di sostegno rispetto ai docenti di classe, ridimensionando l’idea irrealizzabile della loro corresponsabilità, per gli stessi motivi della “specializzazione”.
- Maggiore responsabilizzazione, o delega, al docente di sostegno rispetto agli specialisti esterni, competenti in sede diagnostica e prognostica, non didattica».