Coronavirus: telelavoro e smart working due modalità di prevenzione

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di Mauro Nicastri, presidente AIDR  Associazione Italian Digital Revolution – Coronavirus: le istituzioni attivino subito misure tecnologiche di  prevenzione nei luoghi di lavoro.

La propagazione del contagio da coronavirus, al centro delle cronache
mondiali degli ultimi giorni, sta proiettando l’attenzione collettiva
(di esperti, Istituzioni, cittadini) sulle modalità con cui prevenire
il pericolo della progressiva diffusione dell’epidemia, specie in
ragione del suo elevatissimo grado di trasmissibilità.

Va da sé che i principali rischi da contagio degli asintomatici si
concentrano nelle aree pubbliche, aperte al pubblico o destinate a
eventi a larga partecipazione, mezzi di trasporto e, ovviamente,
luoghi di lavoro.

Aziende e pubbliche amministrazioni devono attrezzarsi per attenuare i
disagi creati dalla paura del virus e dalle inviolabili misure di
prevenzione, cercando di utilizzare gli strumenti offerti dalla
legislazione del lavoro.

Il datore di lavoro è tenuto (d.lgs. n. 151/2015) a valutare i rischi
esterni al rapporto di lavoro, adottando misure idonee a tenere
indenne il lavoratore, con particolare riferimento a: sistemazione
logistica, idonee misure di sicurezza, presenza di una assicurazione
per ogni viaggio di andata nel luogo di destinazione e di rientro dal
luogo stesso, per i casi di morte o di invalidità permanente.
Approccio ribadito dalle strutture del Ministero del Lavoro laddove si
evidenzia la necessità di valutare anche “i potenziali e peculiari
rischi ambientali legati alle caratteristiche del Paese in cui la
prestazione lavorativa dovrà esser svolta quali, ad esempio i rischi
generici aggravati legati alla situazione geopolitica del paese
(guerre civili, attentati …) ed alle condizioni sanitarie del contesto
geografico di riferimento non considerati astrattamente, ma che
abbiano la ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi in
correlazione all’attività lavorativa svolta”.

Stimolato anche dal mio amico Paolo Tedeschi, Marketing Communication
Senior Manager di Canon Italia e “consumato” utilizzatore di smart
working, mi sono posto alcuni quesiti. Innanzitutto, quali dovrebbero
essere le misure che enti pubblici e aziende potrebbero assumere per
affrontare il complesso periodo dell’epidemia?

È stato già scritto come in Cina si stia andando verso una diffusione
maggiore del lavoro agile (smart working), soluzione che è oggetto di
dibattito anche in Italia. Volendo affrontare la materia da un punto
di vista tecnico, non si possono glissare alcune considerazioni che,
invero, aprono doversi interrogativi di fondo, a livello di
ordinamento e di fonti del diritto del lavoro.

Le condizioni che in questo articolo stiamo approfondendo richiedono
una permanenza del lavoratore all’esterno dai locali aziendali per un
periodo più o meno lungo di tempo. Diversamente, la legge n. 81/2017
ha definito il lavoro agile (smart working) come una modalità di
svolgimento della prestazione di lavoro subordinato, da svolgersi in
parte all’interno ed in parte all’esterno dei locali aziendali,
secondo un principio di alternanza. La soluzione dello smart working
appare solo in parte incompatibile con la vicenda del coronavirus, in
particolar modo laddove applicata a rapporti che in precedenza non ne
conoscevano l’attuazione. Assume, quindi, particolare rilievo la
disciplina, ancora in vigore, del telelavoro, quale “forma di
organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle
tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un
rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche
essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di
fuori dei locali della stessa”. Forma che può attivarsi senza
necessità di una postazione fissa e definita, normalmente mediante
accordo in forma scritta, sebbene non vi sia obbligo in tal senso,
come invece avviene per lo smart working. Vige solamente l’obbligo di
fornire al telelavoratore talune informazioni per iscritto, in ipotesi
anche solo via e-mail.

Entrambe le soluzioni, oltre a manifestarsi pure di più immediato
impiego, garantirebbero molteplici benefici per pubbliche
amministrazioni, aziende e lavorati in termini di salute e
ottemperanza al proprio lavoro, non avendo così ricadute negative
sull’economia del Paese

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