Coronavirus e mimesi della didattica. Lettera

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Inviata da Nicola Tenerelli – Le rappresentazioni più banali della cinematografia catastrofista statunitense sono divenute realtà.

Il periodo più drammatico della storia italiana dal dopoguerra non possiede neppure il crisma dell’imprevedibilità e della sorpresa. La trasposizione del fantastico nella vita di tutti i giorni è divenuta concretezza, costringendoci a mutare le nostre abitudini.

Il mondo della scuola è stato il primo a dover subire la trasformazione sociale dettata dal Covid19, riproponendosi a una velocità inattesa –considerando la resistenza della classe docente- e convertendosi alla logica dell’insegnamento on line.

Le prerogative professionali per insegnare sono state in passato episodicamente rimpinguate da abilità informatiche, linguistiche, conoscenze psicopedagogiche finalizzate alla gestione di BES e
sostegno, ma non si è mai fatto riferimento alla necessità di produrre lezioni davanti a una telecamera, né tantomeno di registrarle per mandarle in rete; eppure gli insegnanti tutti, uomini e donne di Stato, forti della propria cultura e mossi dall’impegno sociale in virtù della scelta
professionale, hanno massivamente e tacitamente condiviso la necessità di continuare il percorso formativo dei propri studenti. Tutti gli strumenti informatici sono stati saccheggiati –dal buon vecchio Skype, a Teams, Meet, passando dalle dirette WhatsApp- per stare vicini ai propri ragazzi.

L’emergenza Covid19 ha fatto dimenticare come da tempo il Miur stia sgretolando i diritti dei docenti attraverso iniziative prevaricanti -vedi invalsi oppure formazioni spacciate per obbligatorie-: eppure, la deontologia ha tacitato ogni rivalsa, ogni rivendicazione della privacy, sottaciuto ogni diritto alla propria immagine o al copyright. Dimostrando autonomia decisionale propria di ogni professionalità, la classe docente italiana si è convertita tecnologicamente e, soprattutto, metodologicamente.

Quest’ultimo aspetto può essere compreso solo dagli addetti ai lavori ma cerco di renderlo fruibile: i processi didattici della scuola e dell’università italiana sono generalmente realizzati con costrutti narrativi di tipo sintetico –quando si parla di stimolare il senso critico dei giovani!- mentre la docenza on line si presta prevalentemente a un approccio di tipo erudito,
sequenziale, analitico, che contraddice la peculiarità della nostra Scuola.

I docenti italiani hanno saputo cancellare anche tutti i loro pregiudizi: sdoganando la docenza on line, da sempre considerata una modalità d’insegnamento riduttiva, hanno anche assecondato quel processo mercantile che ripropone la formazione non come un investimento dello Stato, né come una mission degli anziani per l’avvenire dei giovani, ma come l’ottimizzazione di un prodotto commerciale -le lezioni dei docenti- reso ancor più a basso costo tanto da poter permettere un ritorno economico!

La classe docente, lontana da microfoni e televisioni, lungi dal voler essere considerata eroica, sta contribuendo alla resistenza di un Paese che non deve farsi sconfiggere moralmente e materialmente dall’emergenza sanitaria; gli insegnanti italiani, dietro i propri monitor continuano a promuovere la cultura, il senso dell’impegno civico, la dimensione progettuale del lavoro e del sacrificio per tutti, infusi seppur per via digitale negli studenti. E quando tutto sarà finito, che nessuno si permetta di
dire che la Scuola è stata in vacanza, poiché sarà solo una grande menzogna.

Nel silenzio generale, i docenti italiani hanno deciso di lavorare con strumenti nuovi, con inedite modalità, sacrificando le proprie velleità professionali e formative, anche l’inevitabile protagonismo
insito nella professione, per trasferirsi dietro i propri computer pur di condividere con i propri giovani il loro percorso di crescita, forse più incisivo poiché scandito dal dolore.

Quando tutto sarà finito ci si illude che tale impegno sia considerato, affinché si riconosca alla classe docente italiana il posto che gli spetta nell’immaginario collettivo.

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