Coronavirus, didattica a distanza: una occasione per vincere l’analfabetismo emozionale. “Tutto andrà bene”
La drammaticità del periodo storico non riesce, in alcun modo, a scalfire la fantasia dei bambini e dei giovanissimi italiani che, nonostante il giornaliero bollettino di guerra letto dalla Protezione Civile, riescono non solo ad intravedere un arcobaleno ma anche a disegnarlo, colorandolo vivamente, mentre fuori continua a piovere.
Nonostante le strade siano completamente deserte, le saracinesche, anche quelle dei loro genitori o degli amici di essi, siano abbassate e le scuole ormai chiuse da due settimane, la loro creatività neanche lontanamente scalfita dalle perturbazioni sanitarie ricomincia a vivere, a farsi colore, a ridarsi senso e significato. Una strana realtà che pare collida con il dilagare preoccupante, solo fino a ieri, di un analfabetismo emozionale tra gli adolescenti e i giovani italiani.
Fenomeno, per combattere il quale, molte scuole e molti docenti hanno avviato (dovrebbero farlo tutti) dei veri percorsi alternativi di “Educazione alle emozioni”. Tale analfabetismo, infatti, rappresenta una dose di rischio e pericolo per la società tutta. L’estromettere o il marginalizzare nei programmi scolastici, di ogni ordine e grado, di spazi educativi e formativi, da indirizzare alla formazione emozionale, è un segnalatore assolutamente negativo che spiega, se mai ve en fosse bisogno, l’impotenza funzionale delle istituzioni scolastiche quando è costretta a confrontarsi, come sostiene Mariani, con l’aumento delle difficoltà e del disagio, oltre nel momento in cui dovessero insorgere disturbi fra gli adolescenti e, preoccupa ancora di più, i bambini.
Il disagio giovanile, che questo evento sta riportando alla ribalta (nelle sue molteplici e imprevedibili manifestazioni), che i docenti rilevano, sempre più sovente, in ambito scolastico, facendo ricorso ad una definizione molto diffusa, è inserito come uno stato emotivo, che non si riconnette, però, ai classici e rilevabili disturbi di tipo psicopatologico, linguistici o di ritardo cognitivo. Le sue evidenze racchiudono “un insieme di comportamenti disfunzionali (scarsa partecipazione, disattenzione, comportamenti prevalenti di rifiuto e di disturbo, cattivo rapporto con i compagni, ma anche assoluta carenza di spirito critico), che non permettono al soggetto di vivere adeguatamente le attività di classe e di apprendere con successo, utilizzando il massimo delle proprie capacità cognitive, affettive e relazionali” come affermano Mancini e Gabrielli. Ulteriormente, la afflizione psicologica, come sottolineato dalle ricerche in tale settore, determina stress (in questi giorni, talvolta, più determinato), che è possibile collegare alle prestazioni scolastiche, condotte di sofferenza e incertezza, quesiti di comunicazione, segnali di tensione e assunzione di sostanze psico-attive. Ed in questo momento cosa sta accadendo, invece? Pare che, come per incanto, non pochi giovani hanno riscoperto il piacere della comunicazione emozionale. Il piacere di sentirsi utili a sé e agli altri; di vincere ansie e le paure con una sempre maggiore poliedricità di colori.
Le mani per dipingere positivo
Nonostante in giro per le strade della città sia, come d’incanto, cessato il vociare della gente (e chi ci avrebbe creduto mai), bloccata l’agitazione incontrollabile della città, e arrestata la vita, le mani ricominciano a muoversi sul foglio bianco e le linee cominciano a rincorrersi e a riempirsi, in attesa che il colore diventi sogno e ristabilisca la connessione interrotta con questo presente, silenzioso e troppo pesante ad accettare.
Quello dei giovani, dei tanti Giorgio Carioti (nella foto) non vuole essere altro che un invito alla positività e alla speranza, perché, effettivamente, ogni famiglia dovrebbe essere in grado di disegnare un arcobaleno, non solo nei loro cuori, nelle pagine della loro vita, ma anche, visivamente, su un cartellone o sopra ad un lenzuolo.
Con la scritta ‘andrà tutto bene’ parte e non s’arresta, in Italia, regione per regione, l’onda di positività.
Un’onda che invitando i bimbi a dipingere, con le mani ancora sporche di acquerelli o di tempere, esorta tutti a fare ugualmente.
L’allegria che contagia
L’allegria dei bambini e dei giovanissimi è, infatti, contagiosa”, e ha il pregio di tenerli utilmente impegnati fino al momento in cui sia definitivamente tramontata l’emergenza sanitaria.
Giorgio, carinese, 10 anni, alunno dell’Istituto Renato Guttuso, uno tra i milioni di bambini e di bambine, di giovanissime e di giovanissimi italiani, con naturalezza e determinazione, coraggio e fermezza, apre i cassetti, fruga negli armadi, mette insieme un piccolo arsenale di colori e lancia a sfida al Coronavirus, alla drammaticità del momento.
Il disegno prende forma. Dopo qualche ora, il soggiorno sembra un campo di battaglia ed il cartellone è realizzato, in tutta la sua azione positiva, è viene piazzato sul terrazzo accanto al tricolore. Perché è quello il suo posto vero, quella la sua finalità, quella la missione perché è stato concepito: vincere la paura e costruire il senso profondo e vero, sincero e leale di unità nazionale. Sì, quell’unità e quel senso di patria che, sotto la spinta dei nazionalismi, in questi ultimi anni, ha cominciato a vacillare, scricchiolare sotto il peso angosciante dei personalismi. È quasi imbarazzante notare tanta Italia, in un momento tanto difficile per il nostro Paese. E dire che ci si è impegnato parecchio, specie in questo ultimo decennio, per bilanciare l’insostenibile caducità del senso di italianità e di europeismo, se volessimo estendere la drammaticità di questo tempo. “Ci siamo divertiti tantissimo”, racconta Giorgio che, grazie al padre Antonio, ha subito postato l’immagine del cartellone sui social network.
Stimolare i giovani e vincere il senso di reclusione
È un successo che ciò sia avvenuto spontaneamente e con la naturalezza della sincerità onesta di un italiano certamente migliore dei tanti che si ergono a moralisti e perbenisti e, di fatto, non lo sono affatto.
È perfetto, questo lavoro, che molti docenti stanno chiedendo ai loro alunni, anche se a distanza, di realizzare. Uno stimolare i più piccoli necessario in questi giorni di reclusione e non solo per questo.
Perché, il cartellone, racconta una verità per tutti. Meglio la verità per tutti.
“Il temporale – dice Giorgio (il bambino italiano tra i tantissimi) – prima o poi passa”.
Passerà?
L’abbraccio virtuale
Questi cartelloni, questi striscioni possono considerarsi la risposta fisica, palpabile, di cittadini che non si possono più abbracciare, ma che sono nelle condizioni ancora di prendere una matita, un pennarello, un colore, e tracciare un gesto, strisciare con la mano una cosa che diverrà un appunto per un’altra persona che non conosciamo, ma che continuerà a leggerci, a far suo il messaggio, a introiettare le paure.
La dimensione più umana
Il calore sulla carta, sulla stoffa, non fa bene solo a loro, a questi innocenti meravigliosi, fa bene a tutti gli italiani a cui restituisce una indispensabile dimensione umana.
I messaggi aiutano a produrre resilienza, per resistere senza spezzarsi.
Anche Bergamo, in queste ore drammatiche, dove le lacrime, tantissime, si mischiano alle speranze, numerosi lenzuoli rassicurano che, in fondo, con la forza dei medici e degli infermieri, di tutti, tutti davvero, “Andrà tutto bene”.
L’invito ai docenti è di non arrendersi, di vincere questa tentazione di trasformarsi in somministratori di compiti e di consegne, di far disegnare, ovunque, in Italia, arcobaleni colorato con le tempere, con ogni tipologia di colore, e di postarli anche qui, sul portale del nostro giornale.
Partecipare non è, per carità, un obbligo, è un attestato di stima allo sforzo di quanti stanno lottando per un’Italia più forte, più coesa, più umana, più responsabile, con meno differenze e più motivi per vivere e lottare insieme.
La metodologia e le svolte pedagogiche
La metodologia nata dal carattere esperienziale della stessa (chi immaginava, solo fino ai primi di febbraio, che saremmo stati costretti a gestire la quotidianità in maniera diversa) realizzata con l’ausilio di materiale didattico, potremmo definirlo, di fortuna (molti alunni si sono ritrovati a casa senza la possibilità di far rientro a scuola a prendere libri, quaderni, colori), ha permesso l’organizzazione di uno spazio dialogico solamente virtuale, nel contatto con il docente e con gli altri alunni, indirizzato a migliorare il vigore emozionale e a consentire quelle che definiamo emozioni intense. Il supporto fornito dai docenti, congiuntamente ad essi dai genitori (abilissimi tutor, in queste settimane), dotato da, purtroppo non efficienti, conoscenze sulla comunicazione e sulle dinamiche relazionali, ha collaborato a determinare una migliore coscienza di sé e un più verificabile autocontrollo, unitamente agli altri principi che sono inquadrabili nell’intelligenza emotiva.
Abbiamo costruito, a distanza, un vocabolario personalizzato delle emozioni
Strano a dirlo, ma grazie a questa improvvisata vitalità emozionale, abbiamo permesso che si realizzasse, anche se a distanza, un vocabolario personalizzato delle emozioni. Il vocabolario dei tantissimi che hanno comunicato la loro voglia di vivere e il desiderio mai sopito di sperare.
La scuola, a distanza, vince così, la classica organizzazione del lavoro laboratoriale in classe. E lo fa per esplorare le emozioni; per indicare le espressioni dell’esperienza emotiva; per comprendere i sentimenti; per regolamentare, ciascuno per sé, e solo dopo nel gruppo (a partire da quello familiare, entrato in quarantena) le emozioni, le paure e le ansie ma anche la collera e la tristezza, l’impiccio e la vergogna; per abbracciare, convintamente, i sentimenti e le inquietudini degli altri e impegnarsi a far proprio il loro punto di vista (essere empatici in questo momento è semplicemente fantastico); per individuare i propri punti di forti e i propri punti di debolezza; per accedere nello svolgimento organizzativo-emozionale del gruppo-classe; per aggredire i conflitti umani, con la massima lealtà e una migliore creatività. I tanti Giorgio, in giro per l’Italia, hanno vinto la prima battaglia. Quella loro legata alle paure.