Concorso regionale con domicilio professionale, Anief: incostituzionale

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Comunicato ANIEF – Per il senatore leghista, presidente della VII Commissione Istruzione, coloro che vorranno partecipare al reclutamento non dovranno cambiare la residenza, circostanza su cui si potrebbe invocare l’incostituzionalità ma solo “sostituire la residenza con il domicilio professionale, di ispirazione europea, che è indipendente dalla residenza. Si può infatti eleggere nella regione preferita in libertà, e rappresenta una scelta di vita e un primo fattore di equilibrio”.

Replica del leader dell’Anief: Costringere un insegnante a rimanere fermo per cinque anni, pur in presenza di posti liberi, cozza con la Costituzione, nelle parti che tutelano il diritto alla famiglia e al lavoro, punti centrali per ‘il pieno sviluppo della persona umana’. Non è casuale che il Quirinale e il Senato abbiano già detto no alle modifiche che si volevano introdurre al decreto semplificazioni.

Mentre la Lega spinge il Governo per approvare la regionalizzazione, nella scuola si sta cercando di realizzare più di una fuga in avanti attraverso iniziative legislative. Come la volontà di associare il “domicilio professionale” alla regione dove un aspirante docente ha intenzione di concorrere per essere selezionato e immesso in ruolo. Il bizzarro progetto leghista – con cui si vorrebbe dire basta ai trasferimenti forzosi – prevede che il candidato scelga la regione in cui svolgere il concorso e si impegni anche a rimanervi per un periodo predefinito di tempo. È una decisione preliminare che l’insegnante potrebbe fare rispetto ad una serie di variabili: il proprio grado di preparazione, la media degli iscritti, i posti probabilmente disponibili.

Lo scenario che si vuole imporre

Ma qual è il periodo di lavoro “forzato” a cui il docente vincitore di concorso dovrà sottostare? Al momento – scrive Orizzonte Scuola – il Decreto Legislativo, come modificato dalla legge di Bilancio 2019, quantifica questo periodo di tempo in 5 anni: l’anno di immissione in ruolo e i 4 successivi. In questo modo, il docente sarà vincolato non solo alla regione, ma anche alla scuola e al tipo di posto o classe di concorso. In pratica, i concorsi, se passerà tale modello, non saranno più nazionali, ma su base locale-regionale, con il vincolo, per i partecipanti, di fare proprio il domicilio professionale nella regione scelta.

I precedenti

Anief, come tutti i sindacati, che minacciano lo sciopero, si oppone ad un modello del genere. Che, assieme al divieto quinquennale di trasferimento, vuole bloccare sul nascere qualsiasi tentativo di mobilità. Tra l’altro questo blocco non è nuovo per il comparto Scuola: già 10 anni fa il senatore Mario Pittoni chiese all’allora ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini di introdurre il blocco quinquennale dei trasferimenti dei neo-assunti, poi però derubricato a tre anni dalla Legge 128/12 dal ministro Maria Chiara Carrozza e sospeso per la mobilità straordinaria introdotta dalla Legge 107/15, all’indomani della sentenza della Consulta sul trasferimento a pettine ottenuto dall’Anief all’atto dell’aggiornamento delle GaE, contro il divieto voluto anch’esso dalla Lega”.

Sull’incostituzionalità del progetto, va ricordato che il Quirinale e il Senato hanno già bocciato il vincolo di 5 anni con cui il governo vorrebbe tenere fermi tutti i docenti della scuola pubblica, facendo decadere l’emendamento governativo al ddl n. 989 che era stato approvato alla Camera. Lo stop ha, di fatti, cassato il tentativo di imporre un modello del genere con la Legge 106 del 2011 e anche con la Legge 128 del 2013. Inoltre, va ricordato che il domicilio professionale non terrebbe conto del contratto nazionale sulla mobilità in vigore sino al 2022.

Marcello Pacifico (Anief): si vogliono colpire i docenti del Sud

“L’aspetto più assurdo di questo progetto – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è che si vuole far passare per volontario quello che è un vero e proprio ricatto: la decisione obbligata, per chi vuole fare un concorso ed aggiudicarsi il ruolo, di optare per il domicilio professionale in una determinata regione. È evidente, inoltre, che la proposta della norma, sommata ai 5 anni di fermo post-ruolo, è stata escogitata esclusivamente per far desistere molti precari, soprattutto del Sud, dalla loro candidatura per partecipare ai concorsi organizzati lontano dalla propria terra”.

“E non è vero – continua Pacifico – che questo modello di reclutamento si vuole imporre per favorire la continuità didattica, un’adeguata programmazione educativo-didattica e per dare stabilità agli organici. Sono obiettivi raggiungibili con altre strade, ad iniziare dalla copertura dei tanti posti vacanti e disponibili con personale docente precario abilitato, anche da graduatoria d’istituto in assenza di candidati nelle graduatorie ad esaurimento. Continueremo a difendere l’art. 3 della Costituzione e domani come ieri avremo ragione dalla Consulta con buona pace di chi vorrebbe impedire la libera circolazione dei docenti sul territorio nazionale”.

Concorso scuola, Pittoni: con “domicilio professionale” stop a trasferimenti forzosi docenti

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