Concorso ordinario infanzia e primaria: ma cosa valuta chi ci valuta? Lettera

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Inviato da Ilaria Cecot – Ho sostenuto l’esame orale del concorso sabato scorso, sono stata promossa ma c’è qualcosa che non ho digerito e su cui non intendo far calare il sipario. Il giorno dopo la prova, ho scritto un post su Facebook ed ho compreso che la mia non era un’esperienza isolata, moltissimi candidati, sia della mia regione sia di altre zone del Paese, mi hanno scritto per raccontarmi le loro esperienze, molto simili alla mia. 

La mia commissione aveva un approccio alla didattica piuttosto tradizionalista e mi è stata contestata, di fatto, la creatività e l’approccio poco convenzionale ad un tema complesso, come spiegare il periodo ipotetico a bambini di nove anni (e già qui potrei osservare che questo non è un obiettivo di quarta). Nella mia UDA ho deciso puntare sulla logica, più che sulla memoria.

Secondo la commissione un azzardo. Meglio la tradizionale filastrocca, perché così si è sempre fatto. Usare poi classroom per gli esercizi a casa? Troppo, troppo futuro (un futuro che è già presente).

L’articolo 33 della Costituzione sancisce la libertà di insegnamento che non può essere contestata, mai! Neanche in sede d’esame. La creatività dell’insegnante, il suo essere non convenzionale può essere una ricchezza, forse è un limite solo per chi vede il mondo in bianco e nero. Ad ogni modo, in merito a queste contestazioni, mi sono difesa, la dialettica non mi manca. 

Ciò che mi ha realmente ferita, è stato un giudizio di valore sulla mia persona: “Lei non sembra una maestra, è così triste e tesa” come se ci fosse qualche lombrosiano dettame per essere più o meno maestre. Come se non fosse normale un po’ di tensione quando ci si sta giocando in mezz’ora la propria indipendenza economica e la possibilità di mandare all’Università il proprio figlio. Insegnare sarà anche una vocazione ma è pur sempre il lavoro che ci permette di vivere. Non siamo missionari, siamo professionisti. Inoltre, l’antica idea della maestra “morbidosa, accuditiva ed un po’ mamma” – che evidentemente non incarno- credo sia stata superata negli anni 70 e ad ogni modo non esiste un unico modo di essere insegnate, come non c’è un unico modo di essere persona.

Il nostro compito è certamente quello di aiutare i bambini a crescere, senza però dimenticare l’altro compito che la funzione docente ci assegna, quello di costruire assieme al bambino uno stile di apprendimento, una cassettina degli attrezzi che ciascuno porterà con sé per tutta la vita. Se per fare questo, ci apriamo al mondo moderno, usando la logica per spiegare la grammatica, cercando di stimolare il pensiero divergente, non solo facciamo il dovere ma ci atteniamo scrupolosamente a quelle che sono le Indicazioni nazionali per il curricolo 2012 che, come sappiamo, parla di didattica per competenze, abbandonando l’impostazione tradizionalista della lezione frontale, dello studio mnemonico e nozionistico. La domanda che mi pongo è quindi: “Ma le commissioni che ci stanno valutando, sanno davvero tutte cosa devono valutare? “

Dalle testimonianze che ho raccolto tra i colleghi, mi pare proprio di no, mi pare dipenda molto dallo stile del Presidente di Commissione e dalle sue personali convinzioni didattico- metodologiche, che spesso, soprattutto per questioni anagrafiche, non sono in linea con la didattica per competenze su cui il MIUR ci ha chiesto di prepararci per questo concorso. L’umiliazione dei candidati, spesso plurilaureati e con anni di esperienza, è qualcosa di inaccettabile nel mondo dell’istruzione. Ci riempiamo la bocca di tante belle parole sulla valutazione e poi veniamo giudicati con parametri “lombrosiani” (come nel mio caso) o secondo non si sa cosa come successo ad una collega con due lauree una in mediazione culturale e l’altra in scienze della formazione uscita in lacrime, mortificata ed umiliata dalla commissione. Non dimenticherò mai il suo sguardo sconvolto.

Quello che mi sento di dire è che i parametri di valutazione delle nostre Uda non sono chiari, o se lo sono, lo sono solo sulla carta. Ho visto lavori mediocri valutati con voti altissimi, lavori eccellenti valutati con voti ridicoli, candidati giudicati per come sono fatti, metodologie contestate perché troppo moderne, gente che candidamente ha ammesso di non parlare l’inglese uscire soddisfatta con un bel 100 (non attribuibile stando alle griglie di valutazione in mancanza di conoscenza della lingua inglese). E forse la cosa più grave, ho sentito raccontare di una Presidente di commissione che avrebbe detto, davanti alla proposta di un’attività che potesse coinvolgere il bambino autistico della classe: “Non scherziamo, il bambino autistico farà il suo compito sul suo banchetto con l’insegnante di sostegno. Usare queste moderne metodologie inclusive con tutti, abbassa il livello”.

In alcune commissioni, per fortuna non in tutte, non c’è alcuna competenza rispetto alla didattica dell’inclusione o alla didattica per competenze, nessuna oggettività nelle valutazioni, nessun rispetto per noi candidati trattati come carne da macello.

Possiamo solo sperare nell’umore giusto della commissione o di avere il volto giusto dell’insegnante o di aver interpretato fortunosamente l’approccio metodologico dei Presidenti di commissione.

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