Concorso a cattedra. A.D.A.M. sulle cause della débâcle di circa 110.000 docenti

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A.D.A.M. – Prima resa dei conti sul concorso scuola 2016: dopo la sconcertante débâcle dei 165000 candidati (due terzi dei quali, stando alla tendenza emersa finora, non saranno ammessi alle prove orali), inizia il dibattito sulle cause del generale insuccesso, che costerà alla scuola pubblica italiana altri anni di precariato selvaggio.

A.D.A.M. – Prima resa dei conti sul concorso scuola 2016: dopo la sconcertante débâcle dei 165000 candidati (due terzi dei quali, stando alla tendenza emersa finora, non saranno ammessi alle prove orali), inizia il dibattito sulle cause del generale insuccesso, che costerà alla scuola pubblica italiana altri anni di precariato selvaggio. E’ certo destinato a far discutere l’articolo apparso il 4 agosto su Repubblica.it, nel quale il giornalista Corrado Zunino riporta le ipotesi formulate da imprecisati “dirigenti del MIUR”: secondo quanto riferisce il cronista, i burocrati di Viale Tratevere starebbero puntando il dito contro i candidati (impreparati, anzi in certi casi collocati oltre la soglia del ridicolo) e contro le commissioni giudicatrici, inadeguate (perché composte da docenti troppo anziani, o troppo giovani, o troppo affezionati alle vecchie nozioni) o addirittura impegnate in un volontario sabotaggio della “Buona Scuola e del Governo che l’ha progettata.

Questa opinione, che ha già scatenato le reazioni dei sindacati, non può che risultare parziale: essa banalizza e stravolge i termini della questione, e tace sulle evidenti responsabilità del Ministero e dei suoi tecnici. A nostro avviso bisogna invece sottolineare ancora una volta che la vera ragione del tracollo, la causa reale del rendimento di tanti candidati va ricercata nella natura stessa del compito a cui sono stati sottoposti:

  • una prova anomala, che è stata impostata secondo una formula priva di precedenti nella storia dei concorsi a cattedra (sei quesiti a risposta aperta, più i quiz in lingua straniera), e che soprattutto è stata trasformata in una sorta di stress test: la scelta (ministeriale) di concentrare lo svolgimento del compito in soli 150 minuti ha stimolato i nervi dei candidati ben più del loro ragionamento, la loro vis di improvvisazione ben più della loro capacità di riflessione e progettazione;

  • una prova che è rimasta fino all’ultimo avvolta nel mistero: nei mesi precedenti al concorso l’articolazione delle prove scritte è stata oggetto di annunci contraddittori e repentine smentite (da parte del Ministero, quando non dello stesso Ministro); non sono stati forniti ai candidati quesiti-modello che potessero chiarire l’impostazione che la prova avrebbe assunto; non è mai stata fatta luce sul concetto (presentato come fondamentale ma di fatto lasciato in una comoda ambiguità) di “approccio metodologico-didattico”;

  • una prova in buona parte incoerente con il percorso formativo che i candidati hanno affrontato per guadagnare l’accesso al concorso stesso: la conoscenza non superficiale (livello B2 del QCER) di una lingua straniera, diventata un elemento fondamentale per il superamento della prova scritta (7 punti su 40), non è mai stata contemplata durante i corsi abilitanti che i concorrenti hanno svolto in passato; del resto solo poche settimane prima dello svolgimento delle prove un decreto (ovviamente ministeriale) ha portato all’accorpamento di molte classi di concorso e al conseguente ampliamento in extremis dei programmi d’esame.

Gli effetti della combinazione di questi dati sono sotto gli occhi di tutti. La celerità delle procedure connesse a un concorso è un fatto in sé auspicabile, e può essere letta come un segno dell’efficienza di un sistema burocratico; è tuttavia evidente che la pretesa di rapidità diventa dannosa se le regole non sono rese note per tempo, o non sono sufficientemente chiare, o si rivelano incoerenti con il contesto, o vengono modificate un mese prima dello svolgimento di una prova. Nonostante il tentativo di riversare altrove le responsabilità, le scelte fortemente discutibili che hanno pesato sulle prove scritte non possono essere di certo imputate né alle commissioni, tantomeno ai candidati: quei candidati dei quali oggi i vertici del MIUR lamentano la preparazione insufficiente, ma che si sono tutti abilitati mediante corsi predisposti e preordinati da rigide direttive ministeriali.

Assistiamo dunque all’ennesimo fallimento di un meccanismo interamente voluto e gestito dal Ministero, che più e più volte ha trascurato i problemi che affliggono i precari e non ha mai prospettato loro valide ed eque soluzioni. In questo scenario diventa davvero paradossale che il ministero scarichi ancora una volta tutte le colpe sugli insegnanti (precari e commissari), segno più che evidente della bassa considerazione che classe dirigente italiana ha di tutta la categoria degli insegnanti di scuola. Una vera e propria sciagura per il nostro sistema formativo e per la crescita culturale del nostro paese.

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