Concorso a cattedra: “Ho superato lo scritto, ma oggi non mi presenterò all’orale per protesta. Ecco perché”. INTERVISTA a Paolo Badalì
“Nonostante la voglia che ho di insegnare e la paura di non avere più incarichi, nonostante tutto preferisco non fare questa prova e dirlo pubblicamente”. Paolo Badalì è un insegnante precario che ha deciso di non presentarsi alla prova orale del concorso docenti prevista per lunedì prossimo, 2 settembre, pur avendo superato la prova scritta nei mesi scorsi. La sua particolare e molto impegnativa forma di protesta è contro l’attuale sistema di reclutamento degli insegnanti che secondo lui negli ultimi anni è diventato sempre meno rispettoso della dignità di chi aspira all’insegnamento.
“Io non so che intenzioni abbiate voi – scrive Badalì sui social, rivolgendosi ai tanti colleghi che insegnano a scuola – ma io non ritengo umanamente dignitoso il sistema di reclutamento dei docenti. Insegno da qualche anno, e da qualche anno nella stessa scuola. Ho i miei studenti ed ex studenti che vengono a trovarmi, ma per il ministero non sono un insegnante. Ho superato il concorso di quest’anno e con un punteggio superiore a molti di quelli che lo hanno effettivamente vinto. Certo loro avranno una certificazione che li fa passare avanti, ma anche io, come precario storico, l’avevo”. E comunque, aggiunge Badalì, il concorso non sarebbe bastato, “avrei dovuto ingrassare anche io un’università online, col mio magro stipendio”. Poi una punta polemica nei confronti della classe docente: “Non so – scrive – quanto queste mie parole possano colpire i colleghi (posso chiamarvi colleghi? non siamo mai d’accordo su niente), ma una cosa la farò, probabilmente inutile, ma me lo detta la mia coscienza: non mi presenterò al prossimo esame orale. Non mi umilierò più di fronte a questo sistema che ci toglie la dignità d’insegnanti e di lavoratori. E ora che ho detto, sinteticamente, la mia, la ripeterò in tutti i canali e gruppi social dedicati in cui potrò. Chi vorrà farlo insieme a me sarà il benvenuto”.
Da quest’anno per diventare insegnante di ruolo non basta più la laurea, un concorso, il servizio accompagnato da un’abilitazione. I posti messi a ruolo vanno solo a coloro che superano il concorso e si trovano in posizione utile per le assunzioni. Il concorso cioè non abilita più gli idonei come succedeva in passato, quando, se non si rientrava nei posti disponibili, venivano immessi in graduatorie a scorrimento in attesa del loro turno, ma perdono tutto e devono prepararsi ad affrontare il concorso che seguirà e, in caso di nuovo insuccesso, gli altri successivi.
Ma non basta neppure questo poiché, adesso, per essere abilitati all’insegnamento, è necessario dotarsi anche dei cfu, i crediti formativi (60, o 30, provvisoriamente, per alcune categorie di insegnanti, ma il prezzo è lo stesso) rilasciati dalle università pubbliche e private, anche quelle telematiche, previa partecipazione, in presenza e online, per la quale serve l’iscrizione a pagamento e le somme richieste sono piuttosto impegnative, spesso non alla portata di tutti.
“Questo – spiega il docente – rende la normale divisione tra insegnanti abilitati e non una questione economica: prima l’abilitazione si prendeva risultando idonei ad un concorso, ora facendo questi corsi”. Nel frattempo vengono chiamati per le supplenze poiché gli insegnanti in classe servono. Sono passati esattamente 10 anni dalla “sentenza Mascolo” con la quale il 26 novembre 2014 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo aveva stigmatizzato il sistema italiano di reclutamento degli insegnanti e l’abuso della reiterazione dei contratti a termine che non fosse giustificata da “ragioni oggettive”. La giurisprudenza che ne era seguita con le tante sentenze risarcitorie e le norme sul reclutamento che si sono susseguite avevano fatto pensare che se non nell’immediatezza almeno in un tempo non lontano il reclutamento dei docenti sarebbe diventato più fluido e coerente con le esigenze della scuola e con le aspettative dei docenti e degli aspiranti tali. Dopo dieci anni la situazione non è certo migliorata, almeno non su certi fronti. Sullo sfondo, la vigilia di un avvio di anno scolastico che parla ancora il linguaggio dei posti vacanti, e di un esercito di supplenti che, a vario titolo, saranno chiamati a coprirli a tempo determinato. Per altri versi, Mario Pittoni, già Presidente della Commissione Cultura del Senato e esperto di scuola per la Lega, spiega oggi che “metà dei docenti idonei del concorso ordinario 2020, che l’anno scorso col decreto PA bis sono entrati in graduatorie di merito valide fino al loro esaurimento, sono già stati assunti a tempo indeterminato e lo scorrimento prosegue, pur momentaneamente rallentato dall’impegno europeo del Governo precedente a favore dei vincitori dei concorsi PNRR. Ieri, per esempio, l’USR Sicilia ha avviato lo scorrimento delle graduatorie dell’ordinario 2020 per il prossimo anno scolastico con la possibilità di assegnare altri 250 posti”. La situazione comunque è quella che è.
Il professor Badalì ha 51 anni, insegna Italiano e Storia a Roma.Prima di avvicinarsi all’insegnamento a scuola, un lavoro che dice di amare, aveva lavorato diversi anni all’Università.
Professor Paolo Badalì, di cosa si occupava prima?
“Ho lavorato per anni all’Università, mi sono occupato di Storia contemporanea e anche Informatica applicata alle Scienze Umane. Ma mi sono reso conto che non avevo nessuna possibilità di avere, lì, un posto stabile soprattutto per il modo in cui funzionano le carriere universitarie. Ho pensato allora che nella Scuola, poiché ci sono le graduatorie, si evita che qualcuno venga favorito, ma non funziona sempre così”.
Beh, non si può dire che si facciano dei favoritismi con le graduatorie scolastiche
“So solo che sono passate persone con un voto più basso del mio: tutte queste persone avevano certificazioni di vario tipo, dalla Legge 104, cosa sacrosanta, al servizio civile nazionale. Ma io rientravo nella quota di precari storici – 30 per cento – che però è stata gestita male, i precari storici sono stati inseriti “a pettine”. Nonostante io abbia avuto un punteggio non soltanto idoneo, ossia superiore a 70/100, ma anche adatto a vincerlo cioè a entrare nei 145 posti messi a concorso, non sono nella lista dei vincitori, e quindi niente abilitazione. Ma quella non l’avrei avuta neanche se avessi vinto il concorso a tutti gli effetti. Niente graduatoria a scorrimento, insomma: come se non lo avessi mai fatto”.
Ripartiamo dall’inizio
“Il concorso che ho sostenuto era stato indetto nel 2023 e le prove sono state espletate nel 2024, nel Lazio sono stati messi a concorso 145 posti, pochissimi per una regione che è la seconda per numero di abitanti e quindi per numero di alunni, immagino. Per la classe di concorso A012 (Materie letterarie nella scuola secondaria di secondo grado) io ho sostenuto la prova orale a maggio 2024. Invece la prova scritta, che era uguale per tutti, per tutte le materie e per tutti gli ordini, l’avevo sostenuta e superata a marzo. Come ho detto ho superato le prove, ma, pur risultando idoneo, non ho vinto il concorso”.
Dunque a quale prova ha deciso di non presentarsi per protesta, sebbene abbia superato lo scritto?
“Lunedi 2 settembre ho la prova orale in un’altra classe di concorso, cioè Lettere per la scuola secondaria di primo grado, non mi presenterò. In realtà non è che io sia contrario al fatto che chi ha problemi, certificazioni e altre situazioni personali abbia un percorso più facile. Il fatto è che i posti ci sono e io, insieme a tanti e tanti colleghi, insegno da anni e neanche così riesco a entrare. Dopo tre anni dovrei essere assunto automaticamente, dice la Corte europea, e l’Italia paga multe su multe per questo mancato adempimento. Non riesco cioè a entrare neanche passando il concorso, perché i posti sono pochissimi, nonostante le cattedre vacanti siano tante, poiché se fossi passato avrei dovuto fare un corso per ottenere i 30 cfu che servono ai precari storici – ossia quegli insegnanti che hanno almeno tre anni di servizio – che mi sarebbe costato 2500 euro: trovo la cosa di per sé lesiva della mia dignità personale di insegnante. Nonostante la voglia che ho di insegnare e la paura di non ricevere più incarichi, nonostante tutto preferisco non presentarmi a questa prova e dirlo pubblicamente”.
Che cosa la amareggia di più?
“Il fatto che per il ministero tu non sei un insegnante, però ti chiamano sempre, perché c’è sempre bisogno. Sei buono per coprire le carenze scolastiche, ma non per essere considerato un insegnante a tutti gli effetti. A scuola nessuno si accorge della differenza tra noi e i colleghi di ruolo, non gli studenti – ed è dura davvero spiegar loro che probabilmente l’anno successivo non ti vedranno – , non i genitori, spesso neanche gli altri colleghi. Alla prima supplenza non è che ti spieghino come fare, ti buttano in una classe a insegnare. Non è stato facile e ho visto colleghi e colleghe soffrirne più di me, soprattutto nel periodo del Covid, quando eravamo tanti precari alla prima esperienza senza alcun aiuto. Poi quando ti sei abituato, hai imparato il lavoro, cominci ad affrontarlo con la tranquillità data dall’esperienza acquisita, cominci a pensare che quello sia il tuo mestiere, e la legge europea dice che hai diritto ad un’assunzione a tempo indeterminato. L’Italia non lo fa mai. Quando dici che sono passati tre anni e vorresti passare di ruolo loro ti rispondono: ma lei non è abilitato, lei non è un insegnante. Se per miracolo – perché si tratta davvero di fortuna – riesci a diventare di ruolo devi fare un anno di prova e ti danno un tutor che può anche avere meno esperienza di te, proprio quando un tutor non ti serve più a nulla, mentre quando ne avevi bisogno non ne avevi diritto. Peraltro, i corsi da 30 cfu riservati ai precari storici quasi non si sono tenuti. Pochissimi posti, ai prezzi che sappiamo e questo incide anche sulle supplenze, perché esistono due fasce di graduatoria di supplenze, chi è abilitato va in I fascia, chi non lo è va in II. Naturalmente per le convocazioni si chiama prima dalla I fascia e poi dalla seconda. Oggi, con questi cambiamenti, chi è appena laureato e magari non è mai entrato in un’aula scolastica ma si è comprato il corso per l’abilitazione avrà un punteggio basso, ma è in I fascia, mentre un precario storico con un buon punteggio, maturato con gli anni si servizio, è in II fascia e verrà chiamato molto più tardi”.
E tutti gli altri?
“Se sei solo laureato, non hai tre anni di servizio come supplente e non sei abilitato ora devi fare il corso abilitante da 60 cfu. Chi per vari motivi volesse vuole passare da una disciplina a un’altra deve farne uno da 30, il tutto attraverso la partecipazione a corsi telematici costosissimi che pochi si possono permettere. Peraltro, stiamo parlando anche di persone che lavorano e che devono andare seguire i corsi, per la parte di lezioni che devono essere svolte in presenza il più delle volte presso università lontane dalla sede di servizio”
Prima come si faceva?
“In generale l’insegnante, fino a poco tempo fa, anche se non vinceva il concorso, ma comunque risultava idoneo – ossia prendeva la sufficienza alle prove – intanto otteneva l’abilitazione e dunque stava in prima fascia per le supplenze e, in secondo luogo, entrava in una graduatoria a scorrimento e prima o poi passava di ruolo. Ora il concorso non ti dà più l’abilitazione ma solo il ruolo per il quale, però, ti serve necessariamente l’abilitazione. E se vinci il concorso l’anno successivo devi fare il corso per l’abilitazione altrimenti non passi di ruolo”.
Certo, ci si scoraggia
“Siamo tutti scoraggiati da sempre, a mano a mano che si va avanti le cose peggiorano. Lo senti tu, lo avvertono gli studenti, che pagano perché non sanno se rivedranno il proprio docente l’anno successivo, lo pagano i colleghi con cui lavori.D’altronde sei un precario, hai tutti i doveri dell’insegnante e nessun diritto.”
E per protestare contro questo sistema lei lunedì non si presenterà all’orale?
“Ritengo che questo sistema di reclutamento sia lesivo della mia dignità personale e di lavoratore. Peraltro ne ho già fatto uno e ne ho avuto la dimostrazione sulla mia pelle”.
Cosa si aspetta dai colleghi?
“Mi piacerebbe che ci fosse qualche mobilitazione. Non mi piace l’immobilismo che ho visto finora da parte dei colleghi. Spero che questo mio gesto spinga gli insegnanti a unirsi in qualche forma di protesta”.
Lei parla di colleghi che “non sono d’accordo su niente”.
“Tutti si lamentano, poi alla fine non si arriva mai a stabilire come muoverci, perché siamo tutti insegnanti, ma viviamo situazioni contrattuali diverse, tanto che spesso non c’è comunicazione tra di noi”.
Secondo le ultime stime mancano 250.000 docenti di ruolo. Molti meno, corregge oggi il ministro Valditara che sottolinea come per la maggior parte siano insegnanti di sostegno privi di specializzazione. Servirà dunque anche quest’anno un esercito di supplenti. Nel frattempo il meccanismo delle assunzioni a tempo indeterminato arranca, non tiene il passo. Cosa ne pensa?
“Come dicevo, ci sono sempre tanti posti liberi e quando servi ti chiamano a insegnare come supplente anche se per lo Stato è come se tu non fossi un insegnante. Non siamo alla fame, anche se qualcuno se la passa davvero male, ma siamo in una situazione che io ritengo non dignitosa. Tenere nel precariato una quota di lavoratori rende più controllabili gli altri. Stiamo parlando di intellettuali, del ceto medio, certo, però come élite intellettuale gli insegnanti sono in grado di capire le cose e quindi di denunciarle e allora che cosa si fa? Li si divide all’infinito, prima tra docenti di ruolo e docenti non di ruolo con i primi che non riescono a capire i termini delle varie categorie di appartenenza dei secondi (triennalisti, abilitati, non abilitati, ecc) perché chi è di ruolo ha altre incombenze e pensieri. Tra gli stessi precari ci sono ulteriori divisioni: si pensi solo a quelli che hanno vinto il concorso nel 2022 che faticano a unirsi con i colleghi che hanno fatto il concorso PNRR. Il prossimo anno ci sarà un altro concorso a cui dovremo partecipare di nuovo tutti. La questione peggiore è che il nuovo concorso creerà nuovi precari che avranno rivendicazioni diverse dagli altri colleghi: i colleghi che sono diventati idonei al concorso 2020/22 , l’ultimo che dava questa possibilità, sono precari come noi ma hanno necessità diverse perché hanno l’abilitazione. Con il nuovo concorso ci saranno ancora nuove categorie di precari con diversi diritti e diverse necessità”.
Il sistema serve a garantire una maggiore preparazione, secondo lei?
“Assolutamente no. Io ho fatto i 24 cfu ma non mi sono serviti a nulla. Ci sono delle necessità che spesso non c’entrano nulla con la crescita dei ragazzi”
Come si esce da questa situazione?
“Ritengo che l’unica soluzione sia l’assunzione di tutti i precari storici senza concorso e il cambio del metodo di reclutamento, attivando un doppio canale che è obbligatorio secondo l’Unione Europea”.
Dal suo punto di vista i sindacati come stanno gestendo questa complessa situazione?
“Ho l’impressione che non facciano niente, parlando in generale. Io non li ho mai visti, se non gli Rsu. Ma gli Rsu sono colleghi di ruolo e non sanno nulla del precariato e d’altro canto la maggior parte dei precari cambia scuola ogni anno. Io sono stato fortunato perché sono stato in servizio sempre nella stessa scuola ma non ho mai avuto a che fare con i sindacati e questo vuol dire molto. Voglio dire, non devo essere io a cercare i sindacati, devono esser loro a sapere quali sono i problemi e venirmi a cercare per spiegarmeli e invece non ne ho mai visto uno. Magari sono nelle loro sedi ad aiutare a compilare le domande e svolgere altri servizi per i precari. Ma in un momento come questo servirebbe di più la lotta e meno il servizio”.