Concorsi e supplenze, i danni psicologici dei docenti precari. Lettera
inviata da Valentina Nicosia – Dovremmo smettere di pensare che il sindacato di oggi sia un sindacato o un collettivo del 68. Il sindacato di oggi non fa altro che inzuccherare la pillola secondo le linee guida del governo di turno e far pensare ai lavoratori che il governo dà delle possibilità che noi dovremmo saper cogliere quando sono solo mere illusioni.
Sono una precaria del mondo della scuola e come tanti in balia di concorsi che escono, che sono banditi a ridosso di 3 settimane di tempo e in pieno anno scolastico dopo anni in cui di concorsi non se ne vedeva neanche l’ombra e per avere come vivere ti dovevi inventare lavori affini, spesso sottopagati nei quali la reinventiva era il denominatore comune.
Bisogna smettere di pensare all’idea di un liberalismo e di uguaglianza tra tutti quando la falla è al sistema. La falla è il sistema, solo che è talmente ben architettata che fa sembrare che la mancanza sia la nostra, di quelli che per anni hanno svolto il loro compito.
Di coloro che per anni hanno seguito per filo e per segno le indicazioni e se ti dicevano che per andare da A a B dovevi fare una strada tu la seguivi, a testa bassa, con tutta l’attrezzatura. Per poi arrivare a B e sentirti dire che ci sarebbe stata una deviazione, magari un ponte, che dovevi prendere un altro mezzo di trasporto e non avevi la patente per condurlo e allora via, a cercare di colmare anche quella lacuna e farlo in fretta perché altrimenti qualcun altro sarebbe arrivato a B con deviazione prima di te e tu saresti rimasto a bocca asciutta. Questa cosa è capitata a molti, forse troppi di noi innumerevoli volte. E ogni volta ci siamo sentiti frustrati, logorati dentro come se fossimo noi i manchevoli. Come se non avessimo abbastanza conoscenze, competenze (tral’altro acquisite solo per esperienza propria) e lo Stato mettesse ogni volta un traguardo spostato di qualche metro e senza darti le giuste istruzioni di attrezzatura per arrivarci. E se non lo raggiungi la colpa è tua perché non sei abbastanza bravo, preparato. Così via, fino a che le analisi certosine di tutto il tuo percorso professionale e scolastico non
trovano una soluzione e ti arrabbi con te stesso perché non sai dove hai sbagliato, in cosa hai mancato, in cosa non sei abbastanza preparato.
Un danno psichico e morale enorme, oltre a quello di immagine e lesa maestà in ambito professionale. Un’autostima che ogni volta si sgretola in pezzettini e che può attingere solo alle tue risorse interiori, che a sua volta ti hanno dato i tuoi genitori o che hai dovuto apprendere nel corso della tua esistenza.
E se non sei abbastanza forte interiormente è facilissimo perdere il senso tuo, di quello che è la tua natura e cadi in depressione. Alla ricerca di qualcosa che in te non va, alla ricerca perenne dei tuoi sbagli o di un tuo sbaglio che magari non ha commesso un altro perché è riuscito li dove tu hai fallito. Che geniale meccanismo di soggiogamento delle masse. Lo
diceva già Marcuse negli anni 60. Che meraviglioso Matrix che non ti permette di vedere la realtà e non sai mai quale tra pillola rossa e pillola blu scegliere perché in questo caso non sei neanche più sicuro del colore che vedi. Non sei più sicuro di niente.
Ecco, il niente. Allora come reagisci per non farti soccombere dall’ipocrisia generale? Come fai a resistere a chi ti dice “ma guarda che belle possibilità ti stanno offrendo, perché non le sai cogliere”? La vera domanda è come fai a rimanere indipendente intellettualmente? Questa è la carenza più determinante nel corso degli ultimi 50 anni. Avere la propria indipendenza intellettuale. Nonostante tutto. Anche nei propri sbagli. Nelle proprie perdite e fallimenti. L’onestà e il coraggio di ammettere che come ognuno su questa terra siamo fallibili ma che se il fallo è nostro possiamo rimediare o imparare da quel fallo. Se il fallo o in questo caso la falla deriva dal sistema non si può fare niente. Anche una reazione è solo una risposta passiva e già impacchettata che ti hanno messo davanti senza che tu te ne accorgessi. Come i tanti prodotti al supermercato. Tutti con packaging diversi e adesso addirittura con cambio di packaging dello stesso prodotto così da confondere ancora di più le idee, così da farti sembrare scemo e stupido anche lì perché non sai più riconoscere se compri la zuppa o la frutta secca.
Molto triste tutto ciò, ancora più triste perché non vogliamo guarire ma ci siamo adagiati sulle scelte preconfezionate. Ci piace che qualcuno scelga per noi, così non pensiamo più, così non fatichiamo. Senza renderci conto che il senso di tutta la nostra
esistenza è la fatica, ma non in senso assoluto. Ma nel senso di ciò che la fatica fa di noi. Delle persone che ci rende. Migliori, più oneste, meno sovrastrutturate. E’ diventato molto difficile vivere così, è diventato alienante quasi straziante dover sopportare ogni giorno un giudizio da non si sa chi, e nello stesso tempo da tutti.
Io vorrei citare in giudizio lo Stato per il danno psicologico che tanti come me hanno subito, nel mondo dei precari. Docenti che svolgono il loro lavoro con passione e che si trovano ogni anno ad abbandonare le loro classi, Docenti che sono il pilastro di
questa scuola, la scuola da Berlinguer in avanti ma che non hanno ricevuto nessuna gloria, solo infamia. Una beffa che si presenta con l’ultimo concorso, anzi gli ultimi 3 concorsi, avallati come false speranze, come opportunità concesse dallo Stato quando proprio lo Stato ha già esaminato noi con una laurea e con n certificazioni. Ma per lo Stato non siamo mai abbastanza.
E ci vediamo sostituire da giovani neolaureati che per quante conoscenze abbiano non sono mai entrati in una classe, non hanno vissuto questi anni, le difficoltà e le strategie da cogliere ogni volta per cercare di insegnare qualcosa. Così quello che rimane è l’amarezza, la stima di sé stessi che svanisce per non essere mai abbastanza, per aver supportato un organo che non solo non ti riconosce il merito ma manda a rotoli il tuo lavoro, non lo vede. Lo rifiuta perché se dopo 6 anni di insegnamento ancora devo sostenere prove su conoscenze che ho dovuto sostenere con una tesi magistrale in fisica nucleare da dire sulla meritocrazia rimane ben poco.
Ecco voglio far causa a uno Stato che non mi merita. A un governo che non mi ha permesso di fare prove per tanti anni e che adesso premia i ragazzini piuttosto che coloro che con sudore e fatica si sono messi in gioco, hanno rischiato, hanno procrastinato la loro certezza e la loro sicurezza solo per passione e perché credono in ciò che fanno. Mi spiace ma ecco non è l’idea di Stato democratico ed egualitario che mi hanno trasmesso i miei genitori.
Non è questo lo Stato in cui mi riconosco, devo solo rimettermi in condizioni per poter affrontare un’ulteriore sconfitta, un’ulteriore umiliazione senza che lo sia nella realtà. Sia perché so fare il mio lavoro, sia perché ho acquisito competenze che mi permettono di essere vicini al concetto presocratico e socratico del Sapere e dell’istruzione, sia perché so chi sono.