Comunicare con i “nativi digitali”, missione possibile? Quale contributo può dare la scuola

La Comunicazione nell’epoca dei “nativi digitali” è un argomento considerato scottante. Soprattutto perché ci si sta rendendo conto pienamente di come la tecnologia sta drasticamente mutando la quotidianità dei giovani e, dunque, anche quella di noi adulti che con loro si relazionano giorno per giorno.
Insegnanti, educatori e adulti in generale, a prescindere dall’ambito nel quale ci muoviamo, spesso siamo un popolo di – concedetemi l’espressione con ironia – “analfabeti tecnologici” che da adolescenti scrivevano lettere, cartoline o, al massimo, e-mail e prendevano accordi su dove vedersi e cosa fare con gli amici usando il telefono di casa oppure con gli Sms.
Questi siamo stati noi e, ovviamente, portiamo adesso la nostra esperienza di “immigrati digitali”.
E loro, invece, “i nativi” chi sono?
Sono i nuovi adolescenti di questo nostro tempo digitale. Le loro comunicazioni passano in maniera quasi esclusiva attraverso i Social o App di messaggistica come WhatsApp… Tutto ciò, al di là di ogni considerazione, si annuncia come un epocale cambiamento dei comportamenti e delle modalità di interazione.
I nativi digitali, come li ha definiti lo studioso americano Marc Prensky, benché abbiano la possibilità di sviluppare più ampie competenze mentali e notevoli capacità creative e di effettivo multitasking, rischiano d’altro canto maggiori livelli di fragilità e limiti di intelligenza emotiva.
La comunicazione digitale, ad esempio, non trasmette emozioni e invece assottiglia in maniera preoccupante l’empatia, che è la capacità di sentire dal di dentro quello che prova il nostro interlocutore.
E’ essenziale chiarire queste iniziali criticità che sono anche innegabili; anzi conoscerle è un primo importante passo per noi adulti – educatori – genitori – per muoversi in modo più efficace.
Spesso assistiamo a dibattiti e interazioni del tipo: “noi contro loro” – nativi contro immigrati… DIGITALI si intende!
Questo non è esattamente funzionale per il futuro dei singoli e, soprattutto per il futuro della Scuola stessa.
Per costruire una relazione positiva è sempre necessario un approccio orientato all’ascolto … alla comprensione delle esigenze e dei punti di vista dei nostri interlocutori, i nostri ragazzi.
Per poter ascoltare, è necessario poter comprendere e, dunque, avere in comune un codice linguistico e un contesto condiviso…
E qui si gioca la fondamentale partita della condivisione, la più importante.
E’ necessario che gli adulti facciano un passo verso la conoscenza degli strumenti legati alla tecnologia altrimenti non possono governarli, né tanto meno essere presi sul serio nel momento in cui, con la giusta autorevolezza che contraddistingue l’età adulta, come per un insegnante, scelgono di limitarne l’uso, poiché, in alcuni casi, pericolosa e improduttiva.
Sono fondamentali i “patti collaborativi” già a partire dal contesto scolastico, un ambito determinante per questo spinoso argomento.
Con le iniziative da parte del MIUR, negli ultimi anni, seppur tra moltissime difficoltà e intoppi economico-progettuali, si sta cercando di portare docenti ed educatori a un livello maggiore e migliore di conoscenza degli usi strategici della tecnologia e dei dispositivi. E’ fondamentale che noi adulti e insegnanti, oltre che genitori, siamo in grado di navigare, chattare o agire da modello quando cercano contenuti su Google o usano i social network.
Utilizzare ogni giorno la tecnologia non significa infatti conoscerla, né saperla utilizzare consapevolmente.
La sfida allora, è soprattutto educativa. Per sostenere lo sviluppo psicologico e relazionale dei nuovi adolescenti, è fondamentale che i migranti, cioè gli adulti, sappiano capire il loro modo di comunicare e valorizzare ciò che è positivo di questo mondo tecnologico. Evitando di demonizzare la comunicazione dei nativi digitali è importante conoscere a fondo questo nuovo codice. Servirà per essere in relazione con loro senza rinunciare a trasmettere e ad allenare il linguaggio delle emozioni, quello che permette di entrare in contatto e immedesimarsi con l’altro.
Conoscenza vuol dire consapevolezza
In conclusione, prima di concedere o vietare l’uso della tecnologia (telefono, computer o dispositivi in genere) a un nativo digitale, soprattutto in ambito scolastico, è necessario compiere una serie di azioni programmatiche:
- conoscere e governare gli strumenti e gli aspetti tecnologici nel modo migliore e più approfondito possibile;
- utilizzare gli strumenti tecnologici come un modello e con maggiore consapevolezza e responsabilità di quella che userebbe un nativo digitale, quindi in modo etico;
- studiare, leggere, approfondire e frequentare attività di formazione per genitori e insegnanti perché la rete cambia in tempo reale e con essa arrivano nuove opportunità e potenziali rischi;
tenere conto che la tecnologia non può essere ridotta a una questione di “mera tecnica”, ma di uso efficace nella quotidianità.
Senza la dovuta attenzione e una buona dose di fiducia “guidata” in modo sapiente, ad esempio già a partire dal “sistema-Scuola”, il rischio è che questa generazione di giovani potrebbe manifestarsi come quella di adulti profondamente incapaci di comunicare sul piano affettivo, con evidenti manifestazioni di violenza e aggressività, oppure di incapacità relazionali. Peggio ancora potrebbero averne paura. La freddezza emotiva e l’indifferenza sono la naturale conseguenza di una comunicazione arida, incapace di esprimere sentimenti e partecipazione affettiva. Purtroppo vediamo tutti i giorni i presupposti di una tale situazione…
La Scuola non può pensare di “creare” dei giovani protagonisti della società del futuro senza che si lavori prima su coloro, come insegnanti ed educatori, che hanno adesso la responsabilità civile – morale e professionale – di guidare i nativi digitali.