Compiti a casa, meglio pochi ma buoni. Docente deve motivare gli alunni assegnando esercizi utili e non generici. Lo studio del pedagogista

Compiti a casa: si, no, tanti, pochi. Si tratta di uno dei dibattiti più caldi dell’attualità scolastica. Fra chi dice che non servono a nulla e chi invece ne sostiene l’importanza. E c’è chi pensa ad una soluzione mediana.
Sul tema proponiamo il pensiero di John Hattie, ricercatore nel campo dell’educazione, che ha condotto uno studio sulle pratiche didattiche più diffuse e sulla loro efficacia, fissando anche un focus per i compiti a casa.
In base allo studio riportato dal sito Portalebambini.it, al di sotto degli 11 anni i compiti a casa non produrrebbero alcun beneficio. Infatti, la loro efficacia è valutata 0.16 su una scala da -1 a 1 (l’efficacia media delle pratiche didattiche è 0.40).
Discorso diverso per gli alunni dai 12 anni in poi, dove invece i compiti sarebbero produttivi: l’efficacia passa a 0.65, ben sopra la media di 0.40.
Hattie nel suo studio mette in ballo il parametro tempo, evidenziando che 10 minuti apportano lo stesso beneficio di un’ora, a patto che lo studente si eserciti con impegno e motivazione. Motivo che spinge l’esperto a suggerire di non esagerare con i compiti a casa.
I compiti a casa, pertanto, dovrebbero impiegare non più di 20 minuti al giorno i bambini della scuola primaria. Tempo che ovviamente può aumentare progressivamente in base al grado di istruzione dello studente.
Tuttavia, un fattore importante, forse decisivo secondo l’autore dello studio, è la motivazione: se un ragazzo svolge i compiti a casa in modo disinteressato, questi si rivelano inutili, a prescindere dall’età.
Motivo per cui, in questo caso, la palla passa all’insegnante, che dovrà dunque assegnare esercizi che non siano eccessivamente ripetitivi e che servano come potenziamento rispetto al lavoro svolto in classe. Dunque, da evitare esercizi generici, formulati male o fuori contesto.