Come rivoluzionare il modo di fare scuola nell’era delle Intelligenze Artificiali? Tre proposte che nulla hanno a che fare con le IA

Il dibattito sull’intelligenza artificiale, in particolare ChatGPT, ha amplificato l’annoso dibattito che il mondo della scuola si trascina da troppo tempo: in una società che cambia a ritmi vertiginosi come può la scuola tentare di restare al passo?
Ripensare il modo di fare scuola, ce lo ripetiamo da troppo tempo, ma non è facile dare seguito a questo intento, soprattutto se la burocrazia la fa da padrona. Gli insegnanti sono spesso impegnati a districarsi tra i numerosi compiti intrisi di formalismo che la scuola gli impone di assolvere, senza avere, almeno all’apparenza, un valido significato per l’azione didattica. Allora come far evolvere l’educazione nell’era dell’IA?
La maieutica come punto di partenza
Il professor Novara da tempo si batte affinché la scuola inizi a riflettere su quel modello fallace basato sulle domande illegittime, ovvero quelle domande dalle quali il docente si aspetta una specifica risposta, basato sul pensiero convergente, che pone le fondamenta sulla ripetizione dei contenuti piuttosto che sulla riflessione sui contenuti. L’alternativa che il professor Novara propone è la domanda maieutica, quella domanda generatrice di riflessione che non ha una risposta preconfezionata, ma appunto ingenera nell’alunno spunti sui quali riflettere e sviluppare un pensiero critico, un pensiero divergente, che porta alla rielaborazione dei contenuti oggetto di apprendimento. Il metodo maieutico è un modello antico che nasce con Socrate, uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale, e si evolve fino ai giorni nostri con illustri sostenitori come Mario Lodi, Celestine Freinet, Danilo Dolci e appunto Daniele Novara, ma nonostante ciò viene raramente impiegato in ambito scolastico, se non in determinati contesti. La maieutica permette di valorizzare quello che la professoressa Lucangeli definisce il secondo passo dell’apprendimento, il meno visibile ma forse quello più importante, ovvero la rielaborazione dei contenuti. Se nel primo passo abbiamo l’acquisizione dei contenuti, il da fuori a dentro, e nel terzo passo abbiamo la restituzione dei contenuti appresi, il da dentro a fuori, il secondo passo, il da dentro a dentro, è quello che ingenera la riflessione nell’alunno che nasce dalla rielaborazione dei contenuti acquisiti. Questo permette allo studente di fare proprie le informazioni acquisite e di restituirle come un nuovo prodotto frutto del lavoro svolto nella rielaborazione.
L’elogio del fallimento
Il professor Recalcati parla dell’attuale modello scolastico come un modello del plagio, dove il docente è impegnato nel riempire quei “vasi vuoti” che sono gli alunni con nozioni da riportare così come sono state insegnate, plagiando, appunto, le menti dei propri alunni. E quali sono gli alunni più bravi? Quelli che riportano esattamente le informazioni acquisite, nel modo in cui gli sono state insegnate. Così facendo nella scuola fondiamo la valutazione su quello che è il modello del plagio. Qui si incentra il tema del fallimento, dove tutto ciò che esce da questo schema, ovvero l’irregolarità, l’unicità, la bizzarria, fino al fallimento, è visto come un qualcosa da correggere. Invece è proprio il fallimento il punto di partenza dell’apprendimento e del successo, solo riflettendo su quel fallimento posso avviare un processo di rielaborazione che porti ad un nuovo risultato, un nuovo prodotto. Se non diamo spazio al fallimento, se lavoriamo solo su contenuti omologati, come potranno nascere nuovi pensieri? Nuovi prodotti dell’intelletto? Come può uno scrittore o un pittore generare qualcosa di nuovo se tutto il lavoro che ha svolto fino a quel momento è stato basato sui lavori già svolti da chi lo ha preceduto? Si crea un effetto di inibizione che non ci permette di sviluppare quel pensiero personale che nasce dalla riflessione e dalla rielaborazione. La scuola ha il compito di valorizzare quel pensiero differente, compito del docente è dar vita al pensiero del proprio allievo che nasce dalle sue unicità, anche se possono apparire strambe, e dai suoi fallimenti, da tutti quegli aspetti che possono diventare i punti di forza dell’allievo. La scuola tende ad imbrigliare lo stile singolare dell’alunno, invece dovrebbe valorizzarlo.
La scuola come luogo d’incontro
La scuola è luogo di relazione, dove gli alunni si formano come persone, dove si creano relazioni tra pari, con i propri compagni di classe, tra generazioni, con i propri docenti, e con le istituzioni. la scuola è Il luogo fondamentale della formazione, del dare forma, è il luogo dove si fanno degli incontri, ma, come dice il professor Recalcati, gli incontri non sono tutti positivi, ci sono buoni e cattivi incontri. Sia i buoni che i cattivi incontri lasciano un segno. Il cattivo incontro è l’incontro che chiude la possibilità di accesso al mondo, il buon incontro è l’incontro che allarga, distende, dilata l’orizzonte del mondo. Il professor Novara afferma che si impara con gli altri, condividendo, nel mutuo apprendimento, nello scambio. Per Novara la relazione con i propri compagni di classe è fondamentale, si impara più dai propri compagni di classe che dall’insegnante. Quello che siamo è il risultato dei nostri incontri, di come questi incontri ci hanno modellato. Sempre secondo Recalcati, ogni buon incontro è un incontro d’amore, gli incontri formativi, che danno forma alla vita, sono incontri erotici che nella scuola possono essere fatti attraverso gli insegnanti oppure attraverso la lettura di libri, andando alla ricerca di quei libri ti portano all’innamoramento della lettura, che ci aprano a nuove visioni. In questo contesto è fondamentale l’incontro con l’insegnante, colui che sa lasciare un segno, che non è fatto di sapere, perché se riflettiamo sul nostro passato ricordando gli insegnanti che ci hanno lasciato un segno e che non abbiamo dimenticato, vedremo bene che questi sono coloro a cui ripensiamo non per quello che ci hanno insegnato, ma per la forma con cui hanno insegnato, il loro stile, il corpo e la voce dell’insegnante, ma anche il suo modo di entrare rispetto al sapere. Per Recalcati “un insegnante che lascia il segno, che è degno di questo nome, è un insegnante che innanzitutto ama ciò che insegna, cioè che entra in un rapporto fisico, corporeo, erotico, con il sapere e fa del sapere non qualcosa di astratto, ma un corpo erotico. Questa è una delle grandi doti di un insegnante, trasformare tutti gli oggetti teorici che trasmette ai propri allievi in corpi erotici. Se avviene questa trasformazione, nella parola dell’insegnante, questo genera una seconda trasformazione che avviene nell’allievo che non è più un contenitore da riempire, ma, grazie alla trasformazione del concetto astratto in corpo erotico, l’allievo si trasforma in amante, amante del sapere che il maestro trasmette”. Questo porta a comprendere che quando un incontro è formativo più che effettuare un riempimento del proprio allievo si effettua uno svuotamento che crea lo spazio necessario al fine di accogliere i pensieri unici dell’allievo stesso, le sue riflessioni e rielaborazioni. Questo passaggio non è affatto semplice, richiede molto lavoro da parte del docente perché lo costringe ad osservare e a stare in costante ascolto sui bisogni di ogni singolo allievo. È un lavoro difficilmente realizzabile in classi numerose ma che comunque bisogna almeno avviare.
Dalla competizione alla collaborazione
Un ultimo aspetto che mi preme di evidenziare per un cambiamento del modello educativo, è il fondamentale passaggio da un apprendimento competitivo a un apprendimento collaborativo, dove gli allievi non sono avversari ma alleati. In molte realtà questo passaggio è già avvenuto, là dove vengono utilizzate metodologie come il cooperative learning o il tutoring si è già in una metodologia di collaborazione. Non più sfida a chi è il “più bravo”, ma lavoro di squadra per raggiungere gli obiettivi. Purtroppo si lavora ancora poco sul rafforzamento delle competenze emotive dell’allievo, quelle che poi faranno la differenza nell’ingresso in società tra chi saprà affrontare le difficoltà in maniera positiva e chi rischia di crollare di fronte a queste difficoltà, anche se con alle spalle un costante successo scolastico. L’ansia da prestazione è sempre più diffusa tra gli alunni, specialmente tra quelli con performance più elevate, ma questo comporta uno stress negativo per l’allievo che difficilmente saprà accettare positivamente gli insuccessi, che invece andrebbero rielaborati per individuare i giusti correttivi. L’idea dell’allievo che non sbaglia mai è fallace e negativa per l’alunno stesso. Il ruolo dell’insegnante è quello di essere alleato del proprio allievo, non giudice, nell’affrontare le difficoltà e regista di una classe nella costruzione di un’identità sociale. La classe come semplificazione di società è il modello nel quale far crescere gli alunni, formali e educarli al vivere sociale, in questo contesto l’azione da regista del docente è fondamentale.