Come possiamo aiutare i nostri ragazzi a crescere in modo sano, anche dal punto di vista mentale, se li priviamo della relazione? INTERVISTA al docente Stefano Vicari
Educazione e salute mentale, dopo due anni di pandemia ci sono aspetti che i nostri ragazzi rischiano di pagare pesantemente. Ne abbiamo parlato con il Professor Stefano Vicari, Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
In questa fase di pandemia si è pensato prevalentemente alla salute fisica quasi dimenticando quella psicologica. Pensiamo alle restrizioni in ambito scolastico che di fatto hanno cancellato tutti gli aspetti legati alle relazioni e alla socializzazione. Nella primavera dello scorso anno è stato pubblicato il suo libro “Bambini autonomi adolescenti sicuri. Crescere i nostri figli nel benessere mentale”. Come possiamo aiutare i nostri ragazzi a crescere in modo sano, anche dal punto di vista mentale, se li priviamo della relazione.
Gli aspetti che lei sottolinea sono, a mio avviso, particolarmente rilevanti. Un primo aspetto riguarda il fatto che la pandemia ci ha resi consapevoli, di fatto, di una realtà che era già presente, ovvero di un livello di sofferenza psicologica nei nostri ragazzi particolarmente rilevante, nel senso che non sono rare eccezioni i ragazzi che presentano un disturbo o comunque una difficoltà psicologica. Questo perché, come ha sottolineato anche lei, nella pandemia è mancato, o quantomeno è stato fortemente ridimensionato, l’aspetto relazionale, cioè la possibilità che i ragazzi si potessero frequentare. L’ aspetto della relazione, e purtroppo la pandemia ce lo ha ricordato, rappresenta un elemento molto importante nella crescita dei ragazzi. Quando bambini ed adolescenti si relazionano con i propri coetanei, in particolar modo per gli adolescenti, imparano a capire chi sono, quali sono i propri limiti e le proprie capacità. Con la relazione si costruisce l’immagine di sé che è fedele alla realtà e non è qualcosa di ipotizzato o di virtualmente costruito. Tutti noi abbiamo imparato a capire se siamo simpatici, antipatici, intelligenti proprio stando in mezzo agli altri e guardando le reazioni che i nostri comportamenti provocavano nell’altro. La pandemia ha limitato moltissimo la possibilità per i ragazzi di frequentarsi ed a questo si è associato un altro fattore molto importante che riguarda il fatto di vivere uno stress continuativo legato al fenomeno di potersi ammalare o di poter far ammalare. Tutto questo ha determinato un aumento delle situazioni difficili, critiche dal punto di vista psicologico. Qui arriviamo al punto della sua domanda, ovvero come riuscire a far crescere sani i nostri figli dal punto di vista psicologico se li priviamo delle relazioni, credo che sia molto difficile perché la relazione costituisce un elemento fondante della salute mentale. Come ho detto precedentemente, la pandemia ce l’ha dimostrato e documentato in modo ancora più netto di come noi sapessimo già rispetto all’esperienza passata.
Un altro aspetto particolare è legato al recente provvedimento del Governo che, in caso di contagi in una classe, manda in DAD i non vaccinati. Come spieghiamo ad un bambino, o ad un adolescente, che non può andare a scuola semplicemente perché non è vaccinato e cosa può comportare in loro questo tipo di esclusione dal gruppo dei pari.
È una questione che ha suscitato grande dibattito, un po’ perché qualcuno vede in questo una sorta di discriminazione. Non voglio addentrarmi in questo perché non è l’ambito di cui mi occupo, mi limiterò a rispondere su come spiegare ai ragazzi il perché di questa scelta. Bisogna partire dicendo loro la verità. Mentre il vaccino ci dà una garanzia rispetto al rischio di prendere una malattia, che può assumere anche forme pericolose, sebbene nella maggior parte dei bambini non lo sia, per chi non è vaccinato, ed è una scelta rispettabilissima che spetta ai genitori, ha meno protezione, è come se avesse una corazza meno forte rispetto alla malattia e quindi, in questo senso, deve seguire delle precauzioni particolari. Avrà, almeno a seconda dei loro genitori, dei vantaggi in più, ma anche degli svantaggi che sono questi. Come aiutarli a non perdere i contatti con la classe, beh ovviamente mantenendo, là dove è possibile, la didattica a distanza, che, ovviamente, anche per le cose che abbiamo detto prima, non è neanche lontanamente paragonabile con la frequenza in presenza, ma è l’unico strumento che rimane a disposizione.
Lei ha un passato anche negli scout, partendo da questa esperienza possiamo affermare che il mondo degli adulti, siano essi genitori o insegnanti, deve tirar fuori il massimo del potenziale in ognuno dei nostri ragazzi. Quanto è importante aiutarli ad affrontare le sfide e soprattutto educarli all’autonomia.
È fondamentale. La ringrazio di aver ricordato il mio passato negli scout, è un passato che ricordo con orgoglio e con grande piacere. Tra l’altro faccio questo mestiere perché da ragazzo quindicenne scout facevo il volontario con due bambini con una paralisi cerebrale infantile e quindi con la spasticità. L’autonomia è l’elemento fondante, lei nella domandava citava Baden-Powell nell’aiutare i ragazzi a maturare il buono che c’è in loro, ma varrebbe la pena ricordare anche Maria Montessori, che è stata un vanto per la nostra comunità nazionale, un’educatrice sempre di estrema attualità, insegnami a fare da solo. Essere autonomi vuol dire imparare non solo le cose pratiche, ma anche imparare a gestire le proprie emozioni, riconoscerle, valorizzarle, attenuarle lì dove sono meno funzionali. Il bambino che impara a gestire la frustrazione è un bambino che ha molte più risorse psicologiche rispetto ad un bambino che dipende sempre dagli adulti. Dicevamo prima degli aspetti postivi che la pandemia ci lascia, sebbene in un quadro di drammaticità, e tra questi è importante sottolineare l’aspetto che i genitori sono innanzitutto degli educatori e quindi devono farsi carico delle necessità dei propri figli, non soltanto di tipo materiale, ma soprattutto formativo e trovo questo un aspetto molto importante. Se vogliamo degli adolescenti solidi, capaci di far fronte alle sfide, a volte molto impegnative per quella fascia d’età, dobbiamo farceli arrivare con più strutture possibili, con più autonomia possibile. Autonomia è quel bagaglio che consente ai ragazzi di affrontare le sfide con qualche risorsa in più rispetto a chi dipende o è dipeso sempre dal mondo degli adulti.
Spesso noi genitori tendiamo a sostituirci ai nostri figli anche semplicemente per allacciare le scarpe, invece, come ci ha appena detto lei, dovremmo assumere più l’aspetto di educatori ed aiutarli a fare da soli. È giusto?
È esattamente così. L’esempio di allacciarsi le scarpe può risultare a molti banale, ma è indicativo di un accudimento eccessivo che inibisce al bambino, o al ragazzo, la possibilità di rendersi autonomo. Se noi trasportiamo tutto ciò dalle cose più pratiche anche al mondo delle emozioni, come dicevo poco fa, diventa un aspetto di particolare importanza. Personalmente non ho mai visto così tanti bambini disregolati come in questo momento, cioè bambini che fanno fatica a gestire la frustrazione, bambini che di fronte al “no” reagiscono in malo modo e che quindi non sono in grado di posticipare una gratificazione, un premio, ma vogliono tutto e subito. I genitori rincorrono queste richieste che però non hanno mai una fine, perché i bambini, se non poniamo dei limiti, loro non ne hanno, non sanno quando è il momento di smetterla. Questo costruisce nei bambini un mondo affettivo ed emozionale che è un mondo fortemente inquinato dagli adulti e che quindi avrà sempre bisogno di qualcuno che gli stia vicino per capire che cosa gli sta capitando.
Nel suo libro lei parla dello sviluppo emotivo. Oggi è un argomento di attualità essendo allo studio un provvedimento di legge che esplicita l’educazione delle competenze non cognitive in ambito scolastico. La difficoltà è formare genitori ed insegnati ad una corretta educazione emotiva. Ci aiuta a capire quanto sono importanti le emozioni, come già ci ha accennato, durante lo sviluppo e come approcciarci ad una vera educazione delle emozioni?
La salute mentale, argomento di cui stiamo parlando, si basa su due grandi pilastri. Uno è l’autoregolazione, cioè la capacità di saper gestire le proprie emozioni. Io sono in equilibrio psicologico se, ad esempio, di fronte ad un evento negativo non mi abbatto, ne risento, ovviamente, manifesto una tristezza, ma non mi abbatto definitivamente. Oppure se di fronte ad un successo, un elemento positivo per le mie emozioni, non mi esalto a tal punto da tralasciare tutto il resto. Un equilibrio emozionale fa parte della nostra salute mentale. L’altro pilastro, come abbiamo accennato prima, è la capacità di costruire relazioni positive. Io sono in equilibrio con me stesso psicologicamente se mi autocontrollo emotivamente e se ho delle buone relazioni non solo con le persone a me care, parenti ed amici, ma anche con le persone che incontro per la prima volta. Quand’è che impariamo a capire le nostre emozioni e a gestire le relazioni? Da subito, quindi bisogna aiutare i bambini fin da piccoli a gestire la frustrazione, il “no”, il senso del “questo ora non si può fare, lo faremo più tardi” oppure “hai già avuto molto e un’altra caramella non puoi averla”, banalizzo molto ma è per cercare di far capire meglio. A me capita di vedere molti bambini che chiedono e pretendono delle cose ed i genitori hanno paura delle loro reazioni. Molti genitori mi dicono che se non accontentano il proprio figlio lui fa un macello. Abbiamo genitori che cominciano ad aver paura delle reazioni dei propri figli anche molto piccoli, questo ovviamente non crea un’armonia, un equilibrio per la crescita dei bambini e dei ragazzi. Le emozioni sono molto importanti e non c’è un’età in cui si comincia, certe cose o si apprendono subito, ovviamente nei modi e nei tempi che l’età del bambino consente, oppure questo processo, se viene rimandato troppo a lungo, verrà subito dal bambino ed avrà delle difficoltà per potersi realizzare.
Movimento e benessere mentale hanno un legame stretto tanto che verrà introdotto gradualmente anche nella scuola primaria già dal prossimo anno scolastico. Ci spiega quanto è importante l’attività motoria e quali sono le benefiche ripercussioni nei bambini in fase di crescita?
È fondamentale, basti pensare che molti studi, nemmeno tanto recenti, documentano come il linguaggio stesso sia movimento. Noi impariamo a comunicare con l’atro utilizzando il gesto, l’azione motoria è un’azione che presiede lo sviluppo dell’intelligenza. I bambini che passano molte ore in un’attività sedentaria, ad esempio chattando o videogiocando, è vero che potenziano alcuni aspetti della propria fantasia, però viene molto compromessa l’attività motoria, che è invece un’attività centrale per il benessere non solo emotivo, ma anche cognitivo. Ci sono studi dai quali è emerso che l’attività motoria migliora i processi di memorizzazione e di apprendimento. Ricordiamo meglio se associamo un’attività motoria fisica ad un’attività esclusivamente intellettuale. Questo è vero per l’adulto ma lo è ancora di più per il bambino. Purtroppo la pandemia, in alcuni casi, ha ridotto moltissimo questo aspetto. Abbiamo anche dei dati che ci dicono quali sono le caratteristiche dei ragazzi che hanno sofferto meno, quindi non solo quelli che hanno avuto problemi durante il Covid. Tra i vari elementi che hanno protetto i ragazzi nella prima fase della pandemia c’è l’avere a disposizione spazi aperti dove poter sperimentare un’attività all’area aperta. Lei ricordava gli scout, che fanno dell’attività all’area aperta uno strumento educativo molto importante. Stare a contatto con la natura ci permette di sperimentare i nostri limiti e le nostre capacità. Nel gioco fisico un bambino capisce quanto è forte, quanto, ad esempio, sa accettare una sconfitta, quindi ancora una volta la frustrazione, quanto invece sia importante la collaborazione con gli altri per raggiungere un obiettivo, la determinazione. Ecco quante cose ci sono in un’attività fisica.
Un’ultima domanda, recentemente è stato approvato il bonus psicologico che per metà servirà a rafforzare le strutture sanitarie. Sappiamo che attualmente il servizio pubblico non riesce a soddisfare le richieste che arrivano dalle famiglie. Questo provvedimento può rappresentare un punto di partenza per migliorare l’assistenza psicologica dei nostri figli?
È una domanda a cui bisogna fare attenzione nel risponder per non suscitare le reazioni negative di molti. È sicuramente qualcosa, quindi non è negativo di per sé. Devo dire che i fondi stanziati sono piuttosto limitati. Da quello che ho letto, spero corrisponda alla realtà, in base al reddito personale si potrà usufruire di un bonus fino ad un massimo di 600 € in un anno, che, suddivisi per i costi delle singole terapie, corrisponde a circa una decina di incontri, che sono niente. Spesso questo numero di incontri è sufficiente per capire qual è il problema e cominciare un lavoro, poi dipende dalla gravità del disturbo che viene affrontato. La mia preoccupazione è che questo possa essere un intervento a pioggia che non risolve il problema alla radice ma mette una pezza. La mia opinione è che invece abbiamo bisogno di servizi territoriali di salute mentale che siano permanenti ed efficaci, quindi non qualcosa che come finisce il bonus rischiamo di vanificare tutti gli sforzi. Abbiamo bisogno di qualcosa che resti, che faccia sistema e quindi investire su unità di salute mentale che coinvolgono il neuropsichiatra, lo psicologo e spesso anche degli abilitatori, in modo che i territori che sono sguarniti, e sono moltissimi, possano trovare, finalmente, una soluzione stabile nel tempo. La mia paura è che il bonus sia invece una soluzione tampone, qualcosa che probabilmente accontenterà alcuni, certamente gli psicologi che vivono un momento difficile, e pochi fortunati pazienti, ma in realtà lascerà scoperto un bisogno che da anni non viene affrontato.