Come fanno gli studenti sordi a sentire la campanella? E i genitori sordi a parlare con la segreteria? “La mia esperienza di interprete della lingua dei segni”. INTERVISTA a Nicola Noro
Come fanno gli studenti sordi a sentire la campanella che suona? Come fanno i genitori sordi a parlare con la segreteria o con il dirigente della scuola frequentata dai propri figli? Sono figli di un Dio minore, questi ragazzi, anche a scuola, anche nel 2024.
Sembrano della banalità, quelle descritte. Sembrano della banalità per chi non ha il problema ma per i tanti studenti e per le tante studentesse affetti da sordità l’inclusione nella scuola pubblica è ancora un problema. Ne è convinto Nicola Noro, insegnante che si occupa di formazione dei docenti e formazione in classe, per conto delle scuole polo per l’inclusione della Regione Veneto ed esperto in formazione dei docenti e formazione nella scuola polo per l’inclusione della Regione Veneto. Grazie a lui e alle sue lezioni in classe gli studenti e gli insegnanti coinvolti nella formazione riescono a comunicare con gli alunni e i compagni sordi. Un successo che andrebbe replicato nelle scuole di ogni provincia e di ogni comune d’Italia.
“La cosa positiva delle classi dove ci sono i sordi – spiega Noro – è che gli alunni tutti sono motivati a imparare la lingua dei segni. Con i corsi si avvia quella che è la comunicazione in classe. E’ bello vedere dopo un anno i ragazzi che hanno sfruttato le conoscenze tramite i miei corsi che comunicano con i loro compagni sordi. E c’è una grande soddisfazione da parte dei ragazzi sordi che si accorgono di riuscire a comunicare con i compagni e con i docenti”. E ancora: “La cosa che mi porto a casa – insiste Noro – è la consapevolezza che con il mio lavoro sto piantando dei semi perché il sistema scolastico cambi”.
Laureato in Linguistica per la sordità e i disturbi specifici del linguaggio presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, Nicola Noro, 28 anni, è insegnante di lingua dei segni italiana e lingua dei segni italiana tattile ed esperto in sordità. Dopo la laurea non pensava minimamente all’insegnamento né alla scuola e agli alunni, ma poi è stato catturato dall’entusiasmo per i corsi di Teach for Italy, l’organizzazione non profit che combatte da anni le diseguaglianze educative presenti nelle nostre scuole e della quale ci siamo occupati con alcune interviste nei giorni scorsi. “Sarebbe bello e necessario – riflette Nicola Noro – che tutte le scuole d’Italia si impegnassero a essere maggiormente inclusive, non solo con corsi di LIS ma anche rendendo l’edificio scolastico accessibile alle persone sorde e disabili in generale”.
“Crescenti disuguaglianze socio-economiche, caos amministrativo, e mancanza di una visione per il futuro – spiegano i responsabili di Teach for Italy – fanno sì che la scuola pubblica non riesca più ad essere un efficace ascensore sociale, specialmente nelle comunità più svantaggiate del Paese”.Da qui l’impegno di questa organizzazione nel formare in maniera efficace e competente e gratuita il maggior numero di docenti, di ruolo o anche iscritti nelle GPS, ma anche dirigenti scolastici, per fornir loro degli strumenti didattici che meglio rispondono alle esigenze di inclusione e di azzeramento o limitazione delle diseguaglianze. Grazie a un primo periodo estivo in cui si viene formati presso le sue strutture e al successivo tutoraggio in classe durante l’anno scolastico, gli insegnanti che si accostano a Teach for Italy acquisiscono la qualifica di Alumni.
Lavorano molto con gli istituti professionali e con i Cfp, i centri di formazione professionale, che sono considerati l’ultima rete prima dell’abbandono scolastico. I ragazzi e le ragazze non ce l’hanno fatta nelle scuole tecnico professionali e vanno nei centri di formazione professionale. L’utenza qui è particolarmente svantaggiata, ma non necessariamente meno dotata rispetto a quella dei licei. Sono semplicemente studenti che provengono da contesti socio culturali marginalizzati che li portano all’insuccesso scolastico. I centri di formazione professionale lavorano benissimo ed è un peccato che vengano considerati come l’ultima spiaggia. Ma lavorano anche nelle altre scuole purché ci siano delle situazioni di criticità sul piano dell’uguaglianza sostanziale nelle condizioni di partenza, come nel caso della presenza di alunni sordi
Come funziona nella pratica? La fellowship di Teach For Italy prevede un impegno di due anni a tempo pieno come insegnante di scuola primaria o secondaria preceduto da un corso di formazione intensivo prima dell’ingresso in classe. Il programma include un percorso di formazione e supporto personale e professionale volto a sviluppare le capacità di impatto in classe, a scuola e nel sistema educativo italiano. Al termine dei due anni di programma, i Fellow entrano nella Comunità di Alumni Teach For Italy. “La nostra visione per gli Alumni – spiegano i responsabili – li vede come futuri leader collettivi e facilitatori del cambiamento in tutti gli ambiti di impatto maggiormente strategici dell’ecosistema educativo italiano.
L’obiettivo è che rimangano connessi tra di loro, con il territorio e con la missione di Teach For Italy e che possano formare reti con i vari attori necessari per facilitare iniziative intersettoriali orientate al cambiamento della scuola. In qualsiasi settore i nostri Alumni scelgano di operare, come insegnanti, dirigenti scolastici, rappresentanti istituzionali, policy makers, imprenditori, innovatori sociali o ricercatori, noi crediamo che possano contribuire a praticare, studiare e promuovere approcci in ambito educativo inclusivi e a favorire scelte politiche incentrate sull’equità educativa”.
Noro è soddisfatto dell’emanazione, avvenuta esattamente tre anni fa, il 19 maggio 2021, della legge che ha riconosciuto ufficialmente la lingua dei segni. “Il 19 maggio 2021 entra di diritto nella storia della comunità sorda italiana – confermal’Ente nazionale Sordi – È un giorno storico per tutti noi. L’Italia, oggi, colma il grave ritardo che l’aveva portata ad essere l’ultimo dei Paesi in Europa a non aver riconosciuto la propria lingua dei segni nazionale. Dopo una lotta pluridecennale, speranze deluse, battaglie in tutte le sedi, campagne di sensibilizzazione, sit-in, petizioni, convegni, progetti e imponenti manifestazioni di piazza e dopo questo periodo così complicato, che non ha fatto altro che mettere a nudo e amplificare le discriminazioni che vivono ogni giorno le persone sorde, siamo arrivati finalmente a questo risultato importantissimo, un segno di civiltà e una conquista non solo per le persone sorde, ma per tutta Italia”. E tuttavia sono solo due le Regioni, il Veneto e la Puglia, che hanno deciso di utilizzare i fondi per l’inclusione nelle scuole.
Professor Nicola Noro, se la legge è nazionale perché sono solo due le regioni nelle quali si fa formazione sulla lingua dei segni nella scuola pubblica?
“Perché le altre Regioni hanno deciso di investire i soldi in altra maniera”.
E come?
“Investendo in accessibilità nella sanità, fornendo interpreti agli ospedali”.
Pratica sbagliata?
“No, solo si è deciso di puntare sull’accessibilità e inclusione nella sanità invece che sulla scuola”.
Lei che cosa insegna?
“Io insegno strumenti per l’inclusione e lingua di segni per la lingua italiana. La legge riconosce la Lis come linga minoritaria. Siamo stati l’ultimo Stato a riconoscere questa lingua. La Repubblica italiana ha finalmente riconosciuto la lingua dei segni e grazie alla legge sono stati attivati dei progetti per l’introduzione della lingua dei segni all’interno delle scuole pubbliche e quindi dal 2021 mi occupo di questo per le scuole polo per l’inclusione delle scuole del Veneto. Ogni scuola polo gestisce corsi per l’inclusione degli studenti sordi e io mi occupo della formazione che prevede 17 ore annue con le classi e 25 con i docenti sull’inclusione sulla lingua dei segni”.
Com’è questa esperienza?
“E’ molto bello andare in classe per creare inclusione spesso dove ci sono ragazzi che non hanno la possibilità di comunicare con i compagni e con gli insegnanti. Questi corsi danno a ragazzi e agli insegnanti la possibilità di includere all’interno delle lezioni anche gli studenti sordi”.
Com’è nato questo interesse?
“Sono laureato in Linguistica per la sordità e i disturbi specifici del linguaggio presso l’università Ca’ Foscari di Venezia. Grazie alla felloship di Teach for Italy ho approfondito le conoscenze in didattica. Prima l’idea di insegnare era laterale nella mia testa. Non avevo pensato mai all’insegnamento”.
Quale mestiere pensava di voler svolgere?
“La mia idea era quella di fare l’interprete per la lingua dei segni. Poi grazie a Teach for Italy ho approfondito la conoscenza degli strumenti di didattica innovativa e inclusiva e ho anche potuto approfondire la realtà della scuola in Italia, della quale non avevo conoscenza. Tenevo dei corsi già di lingua dei segni italiana ma la mia didattica è stata rivoluzionata in positivo dal percorso di Teach for Italy”
Ha conosciuto solo per caso questa organizzazione?
“Mi occupavo di integrazione lavorativa per le persone migranti, a Vicenza. Stavo cercando lavoro e tra i vari annunci mi è comparso quello di Teach for Italy e da lì ho presentato domanda era il 2019. Ho fatto i due anni di felloship e ora sono alumno di felloship”.
In che cosa consiste la peculiarità di questo tipo di formazione?
“La formazione è di qualità e in più sei seguito per due anni da alcuni coach, e la cosa più importante è il confronto costante con altri docenti che stanno facendo il tuo stesso percorso e con i quali c’è un costante scambio di idee e di buone pratiche”.
Quando parla delle classi dove insegna si avverte una grando entusiasmo
“La cosa positiva delle classi dove ci sono i sordi è che gli alunni tutti sono motivati a imparare la lingua dei segni. Con i corsi si avvia quella che è la comunicazione in classe. E’ bello vedere dopo un anno i ragazzi che hanno sfruttato le conoscenze tramite i miei corsi che comunicano con i loro compagni sordi. E c’è una grande soddisfazione da parte dei ragazzi sordi che si accorgono di riuscire a comunicare con i compagni e con i docenti. Peraltro, pensando ai docenti è bello vedere come si impegnano per far diventare accessibili le loro lezioni a tutti gli studenti”.
Tutto questo, grazie a una legge intelligente. Ma se non ci fosse la legge?
“Se non ci fosse la legge avremmo solo dei corsi singoli e legati alla volontà delle scuole di attivarli e con un costo che ricadrebbe sull’istituto stesso. Grazie a questa legge invece i corsi sono gratuiti per gli insegnanti e per le scuole e sono corsi sistematici in tutte le classi dove ci sono studenti sordi”.
Si fanno solo dove ci sono sordi?
“Si fanno negli istituti dove ci sono sordi, e in questo caso anche in classi dove non sono presenti. Talvolta si svolgono anche in istituti dove non ci sono proprio alunni sordi”.
Quanti siete come formatori specializzati su questo fronte? Quali titoli sono richiesti?
“Una decina in Veneto, altrettanti forse in Puglia. In alcune province è richiesta la laurea specifica, in altre è richiesta una laurea e il diploma di interprete in lingua dei segni italiana”.
Qual è il vostro inquadramento professionale? Non esistono graduatorie, immagino.
“Io lavoro a chiamata, con partita Iva. A meno che un giorno al Mim non venga in mente di inserire una disciplina scolastica apposita”.
Sarebbe favorevole?
“Auspico che in tutte le scuole di ogni ordine e grado venga insegnata la lingua italiana dei segni”
Lei quindi sarebbe disponibile a svolgere dei corsi in scuole di altre regioni se la chiamassero?
“Se la scuola avvia dei progetti io sono disponibile per progetti singoli che avrebbero una buona ricaduta. Per esempio fuori da questo progetto lavoro per istituti e scuole che preparano per il sociale”.
Qual è l’incidenza degli studenti sordi nelle scuole italiane?
“Non ci sono dati certi, ma ci sono 7 milioni di sordi in Italia su tutte le fasce di età”
E’ una esperienza che andrebbe estesa, secondo lei?
“Sarebbe bello e necessario che tutte le scuole d’Italia si impegnassero a essere maggiormente inclusive, non solo con corsi di LIS ma anche rendendo l’edificio scolastico accessibile alle persone sorde e disabili in generale”
Non lo sono?
“Basti pensa alla campanella. Non c’è nessuna segnalazione visiva che indichi l’inizio delle lezioni. Allo stesso modo se un genitore sordo dovesse comunicare con gli insegnanti o con la segreteria la scuola non fornirebbe interpreti, non sono previsti. C’è tanto da fare ancora. Si spera che questi corsi siano un piccolo passo che porti a una maggiore inclusione e accessibilità scolastica”.
Se la legge è nazionale perché l’hanno attivata solo due Regioni?
“Perché le altre Regioni hanno deciso di investire i soldi in altra maniera”
E come?
“Investendo in accessibilità nella sanità, fornendo interpreti agli ospedali”.
E’ una pratica sbagliata?
“No, solo si è deciso di puntare sull’accessibilità e inclusione nella sanità invece che sulla scuola”.
Quali altre esperienze sta conducendo attualmente come Alumno di Teach for Italy?
“Stiamo lavorando per l’implementazione di alcune strategie sul linguaggio di genere e sull’inclusione di persone Lgbt-plus nelle scuole. Attualmente molte scuole stanno attivando dei percorsi alias per l’inclusione degli studenti trans, però ancora oggi la conoscenza da parte degli insegnanti e delle scuole è scarsa e gli insegnanti stessi non hanno strumenti per affrontare questi argomenti in classe per cui l’obiettivo di Teach for Italy è quello di fornire strumenti pratici affinché gli insegnanti possano trattare questi argomenti a scuola”.
Che cosa vede nel suo futuro professionale?
“Nel futuro mi piacerebbe contribuire sempre più all’inclusione degli studenti sordi in classe e vedere delle scuole che sono veramente per tutti gli studenti indipendentemente dall’identità degli stessi”.
All’università c’è il problema dell’inclusione per le persone affette da sordità?
“Alcune università forniscono interpreti di LIS però non tutte le università sono accessibili”.
Molti rinunciano agli studi, per questo?
“Assolutamente sì”
E a scuola?
“No, ma alcune famiglie preferiscono iscrivere i propri figli sordi in istituti per soli sordi – dunque non in una scuola pubblica – perché sono preparate all’accoglienza delle persone sorde”.
Che cosa si porta a casa dopo una giornata di lavoro a scuola?
“La consapevolezza che con il mio lavoro sto piantando dei semi perché il sistema scolastico cambi”.