Collaboratore scolastico con titolo falso: ma per i giudici il suo operato è stato utile all’amministrazione. Ecco cosa hanno detto

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Un collaboratore scolastico ha avuto accesso all’impiego pubblico producendo un titolo di studio, necessario per ricoprire l’incarico ottenuto, successivamente risultato falso a seguito dei controlli effettuati dall’amministrazione datrice di lavoro. Vicenda nella quale, secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza contabile, il danno sopportato dall’erario pubblico è individuato nelle retribuzioni percepite dall’autore della frode. Vediamo come si pronuncia la Corte dei Conti in questa casistica che nel tempo ha visto diversi pronunciamenti della giustizia contabile.

La questione

L’azione erariale scaturisce da una segnalazione d con la quale il Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale segnalava una fattispecie di danno erariale a carico di un collaboratore scolastico per avere questi ottenuto incarichi di supplenza presso diversi istituti scolastici mediante false dichiarazioni e per aver conseguentemente percepito indebitamente il trattamento economico connesso allo svolgimento delle prestazioni del profilo professionale di collaboratore scolastico.  L’interessato è stato destinatario di un patteggiamento in relazione all’imputazione per i reati di falso e di truffa aggravata ai danni dell’Amministrazione scolastica concernenti i medesimi fatti oggetto del presente giudizio sentenza che, osserva la Corte dei Conti per la Lombardia nella sentenza in commento n. 30627 Sent. 124/2024 pur non formando giudicato né potendo fornire prova dei fatti contestati in altro giudizio, ha però comunque un valore indiziario innegabile.

Nel merito, la difesa ha rilevato che il convenuto, nella domanda di terza fascia per le graduatorie provinciali, ha dichiarato due diplomi, sia quello oggetto di contestazione da parte della Procura, sia il diploma di ragioniere e perito commerciale . Da ciò, si sostiene, il fatto che il C.S possedeva il titolo per accedere all’avviso pubblico per lo svolgimento del ruolo di collaboratore scolastico, possedendo il requisito della professionalità. Ha, quindi, contestato l’esistenza del danno erariale, avendo il lavoratore svolto con correttezza e diligenza le mansioni generiche di collaboratore scolastico, in assenza di contestazioni disciplinari e/o ammonimenti verbali dal Dirigente dell’Istituto scolastico. Inoltre, sebbene disconosciuto di diritto, il rapporto di lavoro si è però svolto di fatto, avendo il lavoratore reso la propria prestazione lavorativa, con conseguente diritto alla retribuzione, ai sensi dell’art. 36 della Costituzione.

Si deve tenere conto dei vantaggi ottenuti dalla P.A anche con prestazione resa senza titolo

La Sezione ha evidenziato come l’ordinamento contabile, caratterizzato da spiccati elementi di specialità rispetto a quello di diritto comune, contiene una norma la quale impone al giudice di tenere conto dei vantaggi “comunque conseguiti” dalla P.A. o dalla comunità amministrata (norma che, proprio in ragione della specialità dell’ordinamento contabile di cui si è detto, dovrebbe prevalere sulla disposizione di cui all’art. 2126 c.c., nella parte in cui priva di effetti, per tutta la durata di esso e, quindi, anche per il periodo in cui ha avuto esecuzione, il rapporto lavorativo affetto da nullità per illiceità dell’oggetto o della causa). E si è anche rilevato che, secondo la giurisprudenza costituzionale (v. giurisprudenza ivi richiamata), l’art. 2126 c.c. impedisce la tutela del lavoro soltanto in caso di illiceità “in senso forte”, cioè per contrasto con norme generali e fondamentali e con principi basilari dell’ordinamento. A chiusura del percorso argomentativo, la Sezione ha peraltro osservato che l’orientamento più rigoroso della giurisprudenza contabile sul tema, che tende a negare tout court l’utilità della prestazione resa da un soggetto che difetti del titolo di studio richiesto, si fonda, per l’appunto, su tale circostanza che, nel caso ivi esaminato come in quello in esame, all’evidenza non ricorre (essendo, come detto, il convenuto in possesso di altro valido titolo di studio richiesto per l’accesso al posto di collaboratore scolastico).

Sull’utilità della prestazione resa con titolo di accesso non conforme

Nel caso di specie, tale utilità, osservano i giudici, deve ritenersi investa l’intera prestazione (in assenza di qualsivoglia contestazione sulla inidoneità di quella in concreto svolta), stante,  il fatto che sia il possesso, da parte del convenuto, di un valido titolo di studio attinente alla qualifica di collaboratore scolastico, sia la natura della prestazione inerente a detta qualifica, considerato che “le mansioni e la qualifica del CS non sono regolate da specifiche norme di legge attinenti a profili di ordine pubblico, né richiedono professionalità altamente specifiche, ma configurano ordinarie mansioni operative ben svolgibili in modo adeguato quale che fosse il voto del diploma comunque conseguito dal convenuto, in assenza di prova contraria” (sentenza n. 97/2024 cit.). Quanto alla considerazione svolta in dibattimento dal Pubblico ministero secondo cui la decisione della Sezione si tradurrebbe in un avallo di comportamenti illeciti (una sorta di “liberi tutti”), vi è da dire che, pur se nella responsabilità amministrativa si rinvengono anche elementi latamente sanzionatori, essa mantiene però un saldo contenuto patrimoniale, in cui l’elemento del danno rimane, almeno a legislazione vigente, fondamentale. Come detto, il legislatore ha infatti imposto alla Corte di valutare anche gli eventuali vantaggi derivanti dalla condotta illecita e, tra le ragioni di esclusione della responsabilità amministrativa, come dispone l’art. 31, comma 2 c.g.c., vi è anche la “accertata insussistenza del danno”, che ben può manifestarsi anche in presenza di condotte illecite e, talvolta, anche sommamente illecite, la cui repressione è demandata alla giustizia penale (senza considerare anche gli eventuali riflessi disciplinari sul rapporto di lavoro).

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Pubblicato in ATA

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